Genesi e influenze delle leggi locresi
Di Giuseppe Pellegrino
Tutti parlavano greco, seppure con grandi variazioni: l’attico era diverso dallo jonico e dal dorico; addirittura, i Locresi parlavano un sotto dialetto dorico, dalla difficile lettura e traduzione, tanto che tutti devono essere grati a Alfonso de Franciscis e a qualche altro se le tabelle locresi hanno avuto una loro traduzione e interpretazione, anche se spesso non sono condivisibili le conclusioni.
Dunque, da Micene derivano i presupposti delle leggi locresi, adattate ad un popolo di rifuggiati di origine servile.
Prima di arrivare al Codice di Gortina è bene soffermarsi su alcune caratteristiche di ordine generale di Micene, che la tradizione ci tramanda da Omero. Nel secondo libro dell’Iliade, Omero fa il cosiddetto catalogo delle navi, dove enumera i vascelli che hanno preso parte alla spedizione contro Troia. In base allo stesso si può evincere che a Micene si prevedevano varie entità politico-territoriali indipendenti tra loro, ma con interessi economici e famigliari convergenti. Certo, Micene era il Centro di questo insieme, ma anche Pilo (Messenia), Tebe (Beozia) e Tirinto (Argolide) avevano una loro importanza. Il potere era di tipo assoluto e monarchico. L’attività del Monarca era di natura guerresca. La divisione sociale era rigida e ben specificata. Il Wanax è il Principe; il Lawagetas l’alto funzionario con funzione militare e religiosa, che affianca il re; gli Equetai gli ufficiali; i Telestai pubblici funzionari con cariche amministrative; il Basileus,diversamente dalla lettera del termine, era solo un funzionario di medio livello, a capo di potenti organizzazioni artigianali; la Dàmosè la Comunità, il Popolo, la base produttiva del Territorio.Dalla dsitribuzione delle terre si capisce l’importanza e il potere delle singole figure, esistendo qualcosa molto simile al klèros,ossia il Tèmenos,un pezzo di terra privilegiato che veniva assegnato ai Wanax e ai Lawagetas, mentre ai componenti della Dàmos erano date in gestione sia terre private sia publiche di minor pregio.
Le affermazioni di Omero, trovano una conferma diretta e indiretta nel cosiddetto Codice di Gortina, per il quale è opportuno dare più di una spiegazione, con specifico riferimento alla norma regina di questo Codice, che riguarda l’uso del patronimico a Locri da parte delle donne (matrilinearità).
Il Codice di Gortina è una epigrafe di 625 righe, incisa su un muro semicircolare, in origine forse appartenente a un edificio pubblico, sulla quale ciascun cittadino, passando, poteva osservare e ricordare la legislazione della città. Era quasi sicuramente una forma di pubblicità delle leggi, che permetteva la conoscenza delle stesse non diversamente dalla forma cantata. L’epigrafe non permette una datazione, se non alla prima metà del V secolo. Senonché occorre fare tesoro della distinzione che il giurista Alberto Maffi fa distinguendo, sull’epigrafe, leggi di antica data, leggi antiche di tradizione orale messe per la prima volta per iscritto, norme che riprendono altre norme già esistenti, inserendole in un testo organico, norme scritte che riprendono altre ma non in modo retroattivo, norme scritte che inetgrano norme scritte, intermedie e leggi contemporane. Uno studio adeguato permetterà di datare le stesse in relazioni alle leggi locresi.
Già per quel che riguarda la matrilinearità si è trovato un addentellato sostanziale per giustificare, fuori dal mito falso delle Donne delle Cento Case,le ragioni del diritto che permettevano alle donne locresi di dare il patronimico ai figli nati da una donna libera con uno schiavo. Altre in materia di successioni sarà possibile enuclearle.
Un’influenza notevole ebbero, per come qualche storico sostiene, le leggi di Micene. A Pilo sono state rinvenute delle tavolette, risalenti al XIII secolo a.C. Fino al 1960 non erano leggibili, poiché non ancora decifrata la cosiddetta scrittura lineare B. Da qualche tempo si hanno studi, ma stranamente nessuno accosta tale legislazione a quella locrese. Senza addentrarsi molto nel problema, riteniamo indiscutibile l’influenza della Legislazione micenea su quella Locrese per due ordini di motivi: il primo sostanziale, il secondo razziale. Una delle previsioni contenute nelle Tavolette di Micene sono le disposizioni in materia di distribuzione delle terre. La stessa Assemblea popolare portava il nome di Dàmo, che a Locri divenne Dàmos. La Dàmo, ossia la Comunità dei politai, assegnava ai singoli cittadini una porzione di terra che veniva chiamata kotona kekemena. La terra era concessa dietro il pagamento di un corrispettivo. Oppure, vi era un altro tipo di concessione, la cosiddetta kotona kitimena. In quest’ultimo caso, sembra che il diritto su tale forma di concessione fosse di proprietà, in ogni caso, in mancanza di eredi, il bene tornava allo stato.
Dunque in linea di Massima, vi era un divisione in due classe sociali, per cui nella prima, quella dei Lawoi,era rappresentata la classe guerriera, non diversamente da Sparta. A questa classe era affidato in proprietà il Klàros denominato kotona kitimena, per il quale non vi era da pagare alcun contributo allo stato che la aveva assegnato. È intuitivo che solo in apparenza non vi fosse un gravame, anche se sotto forma di liturgia. Poiché era una classe guerriera era obbligo degli stessi la cosiddetta panoplia, ossia l’obbligo di provvedere agli armamenti, come forse pure ai sissizi.Tali oneri non erano da poco, posto che entrambe le previsioni erano dal punto di vista economico e anche personale, gravose.
Foto di Sharon Mollerus