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Costume e SocietàLetteratura

Le Donne delle Cento Case

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri XIX - Stanziatisi nell’attuale Calabria, i fuggiaschi di Locri Opunzia assunsero immediatamente delle abitudini che, pur essendo profondamente legate a quelle della madre patria, acquisirono una “forma” particolarissima a causa della composizione singolare delle famiglie che avevano fondato la nuova città. Questo elemento, un’antica maledizione e un legame con Siracusa alimentarono il mito delle “Donne delle Cento Case”.

Di Giuseppe Pellegrino

L’origine delle Γυναίκες του εκατοντάδες σπίτια (Gunaìkes tou ekatondàdes spìtia,Donne delle Cento Case),dal punto di vista mitologico, trova spunto dall’oltraggio a Cassandra di Aiace Oileo, che entrò armato nel Tempio di Minerva e violò la sacerdotessa. Aiace, che già non era particolarmente simpatico alla Dea Minerva che, in occasione dei giochi funebri in onore di Patroclo, lo fece scivolare sul letame, durante la corsa, così da avvantaggiare Ulisse (Iliade, libro XXIII), pagò il suo fio durante il ritorno a casa, quando la sua nave fu colpita da una tempesta e fu salvato solo grazie all’intervento di Poseidone, che lo portò su uno scoglio (Odissea, Libro IV). Ma il re di Locri ritenne la sua salvezza frutto del suo valore e, addirittura, sfidò gli dèi ad affrontarlo, motivo per il quale Poseidone lo fece affondare spaccando con il suo tridente lo scoglio.I suoi compagni d’armi non furono più fortunati perché, arrivati in patria, furono falcidiati da una grande pestilenza. Fu predetta la fine della peste a condizione che Locri mandasse due fanciulle vergini ogni anno a Ilio, presso il Tempio di Minerva. Le fanciulle venivano scelte tra le cento famiglie più nobili. Da qui il mito delle Donne delle Cento Case.In concreto, a Locri, vigendo il matriarcato, la discendenza era matrilineare. La ragione stava nel fatto che gli sposi erano tutti schiavi e come tali non potevano dare il patronimico ai figli, anche se Johann Jakob Bachofen racconta un’altra storia, che forse è più credibile di ogni leggenda. Tra il 180 e il 150 a.C., venne a Locri Polibio, al seguito del nipote di Scipione l’Africano, che questa condizione la descrive in modo particolareggiato. Per qualcuno, l’usanza in questione, come quella della Festa della Sacra Prostituzione era di origine sicula, come il culto di Persefone.
Sicuramente furono le donne a ricordare che, in quanto non schiave e proprietarie di una casa nella quale vivevano i compagni di desco, potevano dare il matronimico ai figli, che perciò non potevano essere considerati degli schiavi.
La partenza fu veloce e improvvisa e l’arrivo a Capo Zeffirio sicuramente fu una meta non del tutto improvvisata.
L’arrivo dei Locresi, per i siracusani, rappresentò una grande opportunità economica, dati i presupposti della ricchezza. I siracusani non potevano fermarsi a Zeffirio, perché era diverso dal luogo scelto dalla Pizia per la fondazione di Siracusa, ma la presenza locrese fu un’opportunità che non si fecero sfuggire. Quando il grande Alfonso De Franciscis, dalle tabelle bronzee locresi, potè accertare che almeno il 30% della popolazione era di origine siracusana, non sapeva spiegarsene la ragione se non come frutto di un’alleanza politico-commerciale tra le poleis di Locri e Siracusa. Sicuramente, il suo ragionamento era viziato dal presupposto errato dello sbarco dei locresi a Zeffirio. Ma se lo sbarco locrese coincide (e coincide) con la partenza dei Siracusani verso la terra di destinazione, il tutto non è più un mistero.
Quanto sopra viene avvalorato anche dalle ricerche del geografo Domenico Romanelli, che nel 1816, per conto dei Re Borboni, venne nella Locride e cercò la polis di Zeffiria. Non sembri questa una concezione originale, perché, in quanto fuggitivi, i locresi non avevano alcun diritto di poter dare alla nuova terra il nome della patria di origine. Certo, essi erano locresi e come tali si definirono, ossia come locresi accampati sul promontorio di Zeffirio. Essi, appunto, si fecero chiamare οὶ Λοκροὶ οὶ Επιζεφύριοι,(oi Lokroi oi Epizephyrioi).La dizione è al plurale, perché Locri si dice in greco Λοκροs (Lokros), così il termine indica gli abitanti e non la città: i Locresi presso (Επι) Zeffirio, ossia Zefiroti (ζεφύριοι).
Dunque, i locresi zefiroti, come va tradotto letteralmente οὶ Λοκροὶ οὶ Επιζεφύριοι, non avevano il diritto di poter rappresentare la madre patria Locri Opunzia, perché non locresi maschi (la cittadinanza si concedeva per jus sanguinis ed etnia, ed essi non potevano averla, perché erano solo servi e schiavi). Aiutava in tal senso l’abitudine dei Greci di non far riferimento alla polis ma all’etnia. Controprova è che la Festa della Sacra Prostituzione, l’obbligo di inviare due vergini al Tempio di Minerva e lo stesso rito del matrimonio, sono eventi al femminile, legati cioè alle Donne delle Cento Case. Anche il phialeforos nella processione della festa di Persefone, a Locri, era di sesso femminile, al contrario di quanto avveniva in tutta la Grecia. Tuttavia non bisogna dimenticare che, presso i Greci, la discendenza, e quindi l’etnia, si verificava anche per il genere femminile.Dell’importanza della madrilinearità è prova indiretta anche la festa di Persefone, la cui processione in genere era aperta da un kouros, un ragazzo, mentre a Locri era aperta da una kòre, una ragazza. Prova concreta, la seguente storia tratta da Socii Navales (Franco Pancallo Editore, 2009):

Le torce illuminavano il cammino, che era preceduto dalla phialeforos, una fanciulla diafana e vergine, una kòre vestita da un peplo robusto e leggero che la avvolgeva. Una corona di fiori le cingeva la testa. Un tempo, quando il rito apparteneva più ai siculi che ai locresi, la processione era proceduta da un kouros, un ragazzo che portava la fiale. Con il passar del tempo i greci presero il sopravvento e il predominio delle donne, le Donne delle Cento Case, si fece sentire e la kòre sostituì il kouros.

Foto: pennainviaggio.com

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