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Costume e SocietàLetteratura

I fuggiaschi di Locri Opunzia

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri XVII - Sciolto il nodo della datazione, è il momento di capire perché un gruppo di greci antichi si sentì costretto ad abbandonare la propria patria per trovare riparo in Italia e qui fondare una colonia che sarebbe poi divenuta Locri Epizefiri. È così che scopriamo che la nascita della città potrebbe essere stata determinata da una serie di eventi innescati niente meno che dalla Guerra di Troia…

Di Giuseppe Pellegrino

La storia è nota, ma va ripetuta perché importante, e la collocazione temporale che viene data con l’incrocio di varie leggende porta a considerazioni fino ad ora mai fatte. È bene precisare che non vi è letteratura diretta, ma che tutti gli storici antichi sono concordi che l’origine delle fuga degli abitanti di Locri Opunzia sia stata la guerra messenica, che portò Sparta a ben tre conflitti, l’ultimo dei quali fatale per la polis spartana. Ora, posta come data certa l’epoca della prima guerra messenica, non vi è alcun supporto storico che possa autorizzare a pensare che Locri Opunzia abbia partecipato alla guerra, se non una considerazione di ordine logico. Ossia, che quella dei locresi opunzi verso Sparta fosse una sorta di dipendenza psicologica che li portava sempre dove andavano gli spartani, oltre al fatto che tutti gli storici antichi concordano che la fuga da Locri avvenne  proprio nel periodo del conflitto. Quando Menelao chiese ad Aiace Oileo, re di Locri, di vendicare il suo onore per il ratto di Elena, seppure l’obiettivo di distruggere Troia fosse solo commerciale, questi immediatamente si imbarcò, commettendo tra l’altro l’orrendo oltraggio di violare Cassandra, che non poche conseguenze ebbe su Locri e i suoi usi.
Quando gli Spartani partirono per la Messenia si portarono certamente dietro degli iloti, poiché ogni soldato aveva un servo, ma non tutti poiché occorreva anche che essi coltivassero la terra; si portarono certo dei perieci, ma non tutti,perché occorreva lasciare un minimo di difesa alla città e poi era necessaria la loro opera nel commercio. Gli òmoioi (gli uguali, ovvero i cittadini liberi) andarono tutti in una guerra che si stimava breve e vittoriosa. Analogamente i Locresi.La guerra di Troia fu lunga, ma durò solo dieci anni rispetto alla prima guerra messenica, che ebbe invece una durata di circa venti anni. Le donne spartane e quelle locresi rimasero sole. Vi era necessità di prole che garantisse il futuro delle poleis ma, soprattutto, trascorsi dieci anni, nella mente di ogni donna penetrò il convincimento che l’armata fosse stata distrutta. Ci furono nuove unioni e nuovi matrimoni sia a Locri che a Sparta. Uomini liberi non c’erano, per cui l’unione fu con gli iloti, servi e schiavi (okeis, schiavi presso l’abitazione, non douloi, schiavi per la coltivazione dei fondi) e cittadini non di razza dorica (i perieci).
Nacquero figli che erano già grandi quando un araldo portò l’annuncio di dovere festeggiare l’armata ritornata vittoriosa. A Locri come a Sparta. Nella testa dei vecchi schiavi balenò la paura di morte sicura; in quella delle donne la ricerca di una via di scampo. Le donne proposero la fuga, convincendo anche gli uomini restii, per la ragione che ovunque si fosse andati gli schiavi erano solo schiavi, ossia carne da macello.
Così le donne divennero, si dice, Donne delle Cento Case. Non è vero, ma è vero che le donne locresi di Opunzia (ma non solo esse) avevano il diritto di dare il matronimico ai figli. Quando a Locri venne lo storico Polibio (che di Locri non capì un granché), egli fece una sorta di sondaggio demografico. Come egli stesso conferma nella sua opera, fu molto interessato all’origine dei locresi, estimatore com’era di Aristotele. Fu interessato ai costumi delle Donne delle Cento Case e anche alla Festa della Sacra Prostituzione, perché secondo lui riconfermava l’origine servile dei locresi. Allo storico Timeo, che obiettava di avere conosciuto a Locri gente dalla cultura raffinata, retta da istituzioni democratiche e da leggi di grande moralità, lo storico obiettò che erano solo parole e che di tutto questo, a Locri non aveva visto traccia. Come si vede, anche uno storico di non notevole livello (più che altro è un cronista, anche se di somma importanza per la mole di notizie che dà) si fa prendere dai pregiudizi, oscurando la mente sulla sostanza delle cose.
Lo sbarco avvenne sulla fiumara La Verde che, all’epoca, era una insenatura che portava fino a Samo.
La ricostruzione, storicamente attendibile, dei posti in cui sono arrivati i primi Locresi e il porto, ha determinato il credito che si dà al racconto che alla fiumara La Verde esistesse un’insenatura che si addentrava per oltre due chilometri all’interno del territorio e il mare circondasse sul lato nord il promontorio, con un misto di acqua salata e acqua dolce, sì che la zona a ridosso, denominata Aretusa, era da considerare una sorta di rada. La prova è di natura, per così dire, etimologica, ma anche archeologica. Esiste un sito, sulla fiumara La Verde, nei pressi della cittadina di Samo, non molto alto rispetto al livello dal mare, chiamato Paleocastro o Palecastro. Il nome è formato dalle parole paleos (che in greco vuol dire antico) e la parola castrum, che per i romani indicava sia l’accampamento, sia un primo insediamento di abitazioni. La dizione della seconda parola (castrum) è latina, la prima greca, ma essi distinguevano l’antico abitato (Paleocastro, all’origine Paleopoli) dal nuovo (che si trovava più vicino all’attuale insediamento di Samo). I più anziani ricordano, lì vicino, l’esistenza di un porto (sic). Di più: nell’indicare i siti, i vecchi ricordano che “i ‘ntichi ‘cca’ vitturu sbarcari i Greci ‘nta ‘nguna” (“gli antichi qui videro sbarcare i Greci nell’insenatura”).

Foto: Achille trascina il corpo di Ettore attorno alle mura di Troia, affresco del palazzo dell’Achilleion a Corfù

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