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Costume e Società

Anche Aldo Moro, a suo modo, era calabrese!


GRF

Di Vincenzo Speziali

L’unico! Anzi, il grandissimo, l’immenso, Aldo Moro (Moro, sempre Moro, solo Moro!) è pure lui calabrese, come lo erano Amintore Fanfani, e anche Emilio Colombo. Per dirla tutta, però, è uguale al rieccoloso Amintore, poiché al pari di costui, fu la parte riconducibile alle rispettive madri, a dare loro corregionalità calabra: Anita Leo per Fanfani, Fida Stinchi per il presidente Moro.
In tal modo, quindi, si rafforzò, pure così, il solido rapporto tra i due cavalli di razza della DC (parole destinate all’indirizzo di entrambi, da un altro grande, cioè Carlo Donat Cattin, che a sua volta si rivolta nella tomba, per essere stato ricordato, per sommi e parziali capi, un anno fa, purtroppo in mia presenza, dall’attuale sottosegretaria Maria Tripodi… e ho detto tutto!).
Insomma, i due purosangue democristiani hanno le loro solide radici in terra calabra, proprio grazie alla figura più importante per qualsiasi uomo (soprattutto per noi italiani, come mia moglie Joumana ripete spesso, in quanto, da straniera, conosce il mito del Bel Paese), cioè la mamma. Rosa Falasca, ovvero le genitrice di Giulio Andreotti, era una romana de Roma, eppure il cognome farebbe propendere a un lecito sospetto induttivo, circa la sua origine nella nostra regione, ma il Divo Giulio, mai lo ha accennato, né io (per la verità) l’ho chiesto a lui, in vita. Rimane il sospetto, ma tant’è.
Per tornare al presidente, invece, purtroppo non l’ho conosciuto (quando morì avevo solo quattro anni) epperò nella mia vita, attraverso le preghiere, con riflessioni e dialoghi profondi, è presente, è sempre presente. Eccome! Quando lo sconforto, il timore, la paura, mi assologono, pur non facendolo vedere agli altri, il mio rifugio, le ancore, sono Nostro Signore, mia nonna e lui, sempre lui, solo lui! Come d’incanto, con la stessa puntualità ineluttabile del sole che sorge al mattino, vengo illuminato, graziato, rassicurato e il cammin riprende, quasi vi fossero presenze, tipo la sua, a vegliare su di me e sul mio percorso di vita: patti chiari, non solo in politica!
Ecco, il mio legame imprescindibile è più di qualcosa in senso onirico/ancestrale, perché basato al tempo stesso, su un solido rapporto famigliare e personale, tra mio nonno Francesco e il presidente, per poi proseguire tra mia madre e Maria Fida, la quale con me ha garbo, affetto, stima, dolcezza e tante altre attenzioni, che lei ripete verso la mia persona in modo commovente. A dirla tutta, aggiungo finanche che Maria dice sempre e lo riporto, letteralmente, come molti sanno (da Lillo Manti, Franco Petramala a Lorenzo Cesa, per esempio) «Anche da parte di papà. Sei tra i pochi che gli somiglia e lo difendi. Ogni giorno!»
Già, pur se il sottoscritto non può confermare se ne è degno, una cosa rimane certa, ovvero che io sono e sempre sarò dalla parte giusta, cioè dalla parte di Aldo Moro, punto e basta! Potrebbe essere diverso? Giammai, poiché sarebbe più facile che nevicasse in agosto, ma io non indietreggerei, non rinnegherei, in quanto Aldo Moro c’è e continua a esserci. Sempre! Lui e mio nonno si conobbero durante gli anni dell’associazionismo cattolico (in piena cattività dittattorialfascista) allevati, loro due come gli altri (tra cui Andreotti) da monsignor Giovanbattiata Montini (futuro San Paolo VI e vero fondatore della Democrazia Cristiana assieme al coevo Vescovo di Bergamo, Bernareggio, che con Paronetto convocò l’assise di Camaldoli, nel luglio del 1944) e lo stesso Montini fece da guida protrettrice ad Alcide De Gasperi.
Quella nidiata di giovani leve fucine (cioè della Federazione degli Universitari Cattolici Italiani, di cui proprio Montini era l’Assistente Spirituale), fu uno dei perni della rinascita dell’impegno politico dei cattolici nel secondo postguerra, in quanto fu pure da qui che la DC attinse a piene mani, per costruire la sua futura classe dirigente. E che classe… e che dirigenza! Ecco, sta proprio in ciò, in siffatto aspetto, il significato dell’impegno politico di Moro (Moro, sempre Moro, solo Moro), perché la tal cosa rappresentava una naturale prosecuzione di un credo cristiano fortissimo e sempre presente, nella sua vita. D’altronde non è un mistero per nessuno, neppure per i suoi avversari politici (e anche per i carnefici) come egli abbia vissuto da santo e sia morto da martire.
Ciò detto, la sua esistenza è un susseguirsi di intuizioni, interpretazioni e visioni, che lo fanno assurgere nell’Olimpo dell’infinito, rendendolo superiore a tutti gli altri, sublime più di chiunque, inarrivabile rispetto a ognuno, persino più grande di De Gasperi. Quando l’arcivescovo di Bari lo convince a candidarsi per la Costituente (1946), il presidente aveva già elaborato ed esclamato alcuni dei suoi capisaldi tipo «Il centro è dinamico», oppure, «occorre una pacificazione nazionale» (quest’ultimo concetto, espresso nel suo discorso a Radio Bari, nel 1944).
Per non parlare della frase immensa, pronunciata nella sua prima lezione di docente di Diritto Penale a Bari (8 novembre 1942, in sostituzione del titolare di cattedra, Giovanni Leone, obbligato al servizio militare) quando, in pieno regime fascista, condensò un concetto rivoluzionario e intensamente mariteniano, ovvero «ogni persona è un universo». Sinfonie dell’anima e del pensiero, paragonabili a una musicalità concettuale, più melodiosa di uno spartito di Wolfgang Amadeus Mozart!

Foto: raicultura.it


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