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Costume e SocietàLetteratura

I kosmi

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri LXXV

Di Giuseppe Pellegrino

La presenza dei kosmi a Locri trova il suo fondamento in un passo di Polibio che è bene riportare in modo integrale, non solo per capire se lo storico (retius:cronista, o quasi) abbia riportato un dato, un’ipotesi, una diceria, o un menzogna.
Vi è più di un giurista che lo richiama ma, in particolare, in un suo scritto molto approfondito, la giurista Vania Ghezzi della Università degli Studi di Milano Dike, facoltà di Giurisprudenza, ipotizza la presenza a Locri degli arkonti-kosmopoli, con il compito di interpretare la legge e, quindi, di applicare la norma del laccio contro colui che proponeva un’interpretazione che veniva ritenuta contraria al suo spirito. A supporto cita Polibio, che parla della contesa tra due giovani per la proprietà di uno schiavo. In concreto, una sorta di Corte Costituzionale impersonata dalla Dàmos che, invece di dichiarare illegittima una norma, condannava al laccio chi la interpretava male.
Invero, nella fattispecie richiamata, la contesa non è tra chi ha perso la causa e la sua controparte. Nel corso del processo, viene contestata la formulazione della legge applicata e il Kosmopolide assevera la sua conformità. Se colui che protestava voleva proprorre una modifica, o anche una sorta di interpretazione autentica che, in concreto, comportava una modifica, doveva seguire la procedura del laccio. Poiché chi voleva modificare le norme doveva presentarsi alla Dàmos con il laccio al collo.
Per ritornare alle osservazioni di Vania Ghezzi è bene sottolineare che la conclusione ha più di un errore. Il primo, eclatante, è che a Locri non esisteva la schiavitù. Il secondo, che in una contesa in via civile (come la proprietà di uno schiavo) occorreva tentare la conciliazione. Non è neppure possibile che la condanna per quella che oggi chiameremo lite temeraria comportasse l’applicazione del laccio. Neppure come conseguenza di una pretesa non solo temeraria, ma che metteva in discussione l’Ordine pubblico. Infine, Polibio ha molto astio verso Locri. Certo, il suo censimento della popolazione e dell’origine servile dei locresi ha più di un fondamento. Per il resto, l’uomo di Megalopoli non sa riferire neppure di Zaleuco e/o di altro. Infine, dalla Tabelle di Zeus, emerge che il termine kosmopolis sia citato una sola volta e che con lo stesso si indicasse solo Zaleuco. Il che si capisce per la ragione che kosmopolis significa colui che ha dato l’ordinamento alla città.
Nelle sue Sorie, al libro XII, 16 (da verso 1 a 14),per come tradotto da Manuela Mari, Polibio scrive:

Due giovani erano in contrasto per un servo (οικετου − δούλος); costui era stato per parecchio tempo presso l’uno, ma l’altro, due giorni prima, venuto nel campo mentre il padrone non era presente, si era portato lo schiavo a casa con la forza.
Poi l’altro, quando se ne era accorto, era venuto alla casa, lo aveva preso, e condotto al cospetto dell’autorità (επι τεν αρκεν − letteralmente, al singolare: davanti al giudice), e diceva, prestando garanti, che doveva essere lui il padrone; la legge di Zaleuco ordinava infatti che doveva detenere il possesso di ciò che era in disputa, fino alla sentenza, colui al quale era stato sottratto.
Poiché però l’altro, in forza della stessa legge, sosteneva che era stato sottratto a lui – lo schiavo che era condotto di fronte all’autorità veniva infatti dalla sua casa – i magistrati che presiedevano al processo, incerti su come dirimere la questione, chiamarono il cosmopolide e lo informarono (συμμτα − δουναι τω κοσμοπολιδι).Quest’ultimo interpretò la legge dicendo che l’oggetto della contesa si considerava sempre sottratto a coloro presso il quale fosse rimasto da ultimo per qualche tempo senza contestazioni;se uno lo portava via con la forza a un altro per condurlo a casa propria e, in seguito, il precedente padrone lo sottraeva a lui, questa non era in termini legali sottrazione. Di fronte alla contestazione del giovane, che sosteneva non essere questa l’intenzione del legislatore, dicono che il cosmopolide lo invitasse a discutere di tale parere secondo la legge di Zaleuco. Ciò significava discutere del parere del legislatore davanti all’assemblea dei Mille riuniti in seduta e con le funi per l’impiccaggione già appese: quello tra i due che avesse dato l’impressione di intendere peggio l’intenzione del legislatore sarebbe morto impiccato sotto gli occhi dei mille. Di fronte a questa proposta del cosmopolide, il giovane sostenne che il patto era iniquo; all’altro restavano infatti due o tre anni di vita (il kosmopolide aveva poco meno di novant’anni), mentre a lui rimaneva ancora, verosimilmente, la maggior parte della vita. Il giovane dunque, mostrandosi così arguto, alleggerì la gravità del momento: i magistrati però giudicarono la sottrazione secondo il parere del cosmopolide.

È necessario riportare per intero il passo di Polibio che contiene qualche menzogna ma anche una procedura esatta. La questione era già stata rappre-sentata in via romanzata dall’autore nel primo libro della Trilogia: La legge è uguale per tutti. Innanzi tutto le menzogne: Nessun locrese poteva possedere né schiavi né schiave. Dunque un contenzioso di mera falsità ideologica. Invero, tutti gli storici rappresentano la questione avvertendo che Polibio era, più che alla verità, interessato a confutare Timeo di Tauromenio, per il quale aveva un’avversione che implicava questioni di natura psicologica di inferiorità. Ergo, nessuna questione poteva avere per oggetto uno schiavo. Peraltro il termine usato da Polibio è οικετου (oichetu)che sta a indicare lo schiavo tenuto presso l’abitazione del padrone, mentre quello che serviva nei campi veniva chiamato δούλος (doulos). Inesatta la traduzione dunque della Mari con il termine servo,anche se si capisce la necessità di non essere ripetitivi. Ma quello che dà per certo che Polibio parli per sentito dire è la seguente affermazione:

Ciò significava discutere del parere del legislatore davanti all’assemblea dei Mille riuniti in seduta e con le funi per l’impiccaggione già appese.

Ora, pacifico che in una proposta di legge e/o di modifica a una legge stabilita, il proponentedovrà presentarsi con il laccio al collo”.Nessuno sventolio di lacci per l’impiccaggione. E poi il laccio non era solo a Locri.
Occorre una premessa: Polibio, a Locri, viene in occasione della guerra contro i Dalmati, più o meno nel 156 a.C. Le leggi di Zaleuco sono cadute in disuso da secoli, seppur mai formalmente revocate. Si è in presenza di una nuova legislazione. Ne deriva che il richiamo alla precedente legislazione è frutto di memoria, più che contemplazione, come doveva essere, di leggi scritte. Dunque l’episodio narrato da Polibio, con riferimento specifico a Zaleuco, è un semplice racconto che nel tempo ha perso la sua connotazione. Tuttavia Polibio ci dà delle notizie importanti: l’esistenza di una azione cautelare a tutela del possesso; la necessità che tale possesso per essere tutelato debba avere un suo spazio autonomo apprezzabile e non essere frutto di una mera occasione; che il possesso in quel frangente non sia stato messo in discussione da nessuno. Non solo, ma poiché dal racconto di Polibio emerge una costrizione per la quale il servo-schiavo viene da un contendente preso in possesso brutalmente, ne deriva che vi erano due presupposti per ottenere la tutela giuridica: che il possesso fosse, diremmo oggi, nec vi nec clam. Ossia pubblico, pacifico, e senza violenza. Come nelle moderne azioni possessorie.
Tutte cose, queste, che aiutano a chiarire la portata dei supposti cosmi. Questo il metro di lettura. Poi è bene andare nello specifico.
L’affermazione vera è che Polibio non parla di Cosmi, ma usa sempre il termine kosmopolis (cosmopolide)al singolare. In concreto, in una discussione tra due soggetti per la quale occorreva applicare l’azione caute-lare che prevedeva “ciò che è in questione durante una lite resterà presso colui che ne era in possesso prima di cominciare”(viene utilizzata la terminoliga del regio giudice Bonaventura Portoghese, senza nascondersi che l’ha tratta da Polibio). La contestazione di uno dei giovani non riguarda la decisione dei magistrati (αρχοντας), ma la lettera della norma. Il kosmo-polis altri non era che colui che teneva il testo delle leggi scritte, che era una figura diversa dal Magistrato Eponimo. A questo punto, poiché il giovane contesta la lettera della legge, il contrasto si sposta tra il giovane che contesta la legge e il kosmopolis. In concreto, infatti, il giovane sta proponendo una riforma di legge di Zaleuco, mentre il magistrato riafferma l’utilità di quella esistente, e rileva che occorre procedere secondo la stessa legislazione zaleuchiana “se alcuno delle promulgate leggi si conoscerà non essere convenevole sarà posta in miglior forma”,ma si prevedeva anche che “se alcuno vorrà che si abroghi una legge stabilita e permanente, e se ne adotti un’altra, sarà proposta al popolo; ma egli intanto dovrà presentarsi con il laccio al collo. Se la novità sarà giudicata giusta si accetterà ed egli partirà libero, se ingiusta verrà strangolato(sempre secondo la dizione di Bonaventura Portoghese).
Si capirà meglio alla luce del racconto estrapolato da La legge è uguale per tutti, dove vi è un contrasto tra Tirso e Zaleuco sulla applicazione della norma “all’adultero e all’adulterà cavar si debbon gli occhi”.Ovviamente, sempre sulla linea della serendipità. La parte di racconto riportata è quasi alla fine del romanzo. Tra Zaleuco e il suo antagonista Tirso avviene uno scontro, che è di natura politica, di potere, e di concezione diversa da parte del secondo del modo conservatore di amministrare la polis. Lo scontro si conclude con una accusa di tradimento verso lo stratega Tissaferne, che però, per un’astuzia del Legislatore, diventa di reato comune e contro Tirso, al quale non si vuole dare l’onore delle armi e lo si accusa di adulterio. Il passo è lungo, ma servirà ad avere una visione della Dàmos riunita a giudicare una riforma legislativa: servirà soprattutto a chiarire Polibio laddove lo scontro tra il giovane che rivendica lo schiavo e il kosmopolis che difende la legge diventa uno scontro diretto, sulla volontà o meno di riformare una legge stabilita. Tirso andrà fino in fondo. Il giovane di Polibio ha paura. Il Vecchio kosmopolis ha pochi anni davanti a sé; il giovane una vita. La posta in gioco non valeva una vita giovane. È bene precisare che il racconto è datato, per cui si parlerà di kyloi e aristocratici in modo difforme da quanto facciamo in questa sede. Per il resto, tutto è uguale e gli ultimi studi ci rassicurano sulla bontà delle nostre tesi.

In foto: statua di Polibio


Edil Merici

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