La guerra in Ucraina e il comune sentire che ci ricorda che siamo tutti fratelli
Di Maria Antonietta Panetta – Liceo Classico Ivo Oliveti di Locri
Pochi giorni dopo lo scoppio della guerra, una ragazza ucraina di circa 20 anni ha inviato una lettera che descriveva le condizioni nelle quali si trovava a un programma televisivo di propaganda politica, che si è impegnato a leggerla per sensibilizzare l’audience. Uno dei passaggi più toccanti era certamente quello che riguardava un suo amico, anche lui molto giovane, che si era improvvisamente trovato costretto a impugnare le armi per difendere la sua patria da una guerra che qualcuno, “più in alto”, aveva deciso di scatenare in virtù di interessi che nutriva nei confronti del territorio ucraino, interessi con i quali la popolazione civile, naturalmente, non aveva nulla a che fare. Dalle parole della ragazza si evinceva perfettamente il timore che questa nutriva per il destino del ragazzo, poiché l’ultima immagine che aveva di lui non era certo quella di un soldato, ma più probabilmente quella di un giovane che stava ancora imparando ad affrontare la vita. Non molto tempo dopo l’esercito ucraino ha catturato alcuni soldati russi e i video della cattura sono stati trasmessi sui più seguiti programmi televisivi: si trattava di giovani la cui età si aggirava attorno a quella della ragazza sopra citata. Una volta ripresisi dal combattimento contro gli ucraini, a questi è stata data la possibilità di contattare le proprie famiglie in Russia: i filmati trasmessi in televisione, il più delle volte, mostravano la paura di questi giovani russi, che si sfogavano con il pianto in videochiamata con i famigliari. Innumerevoli sono gli episodi di questo tipo che potrebbero essere proposti, ma la cosa che più dovrebbe far pensare è quanto comune sia il sentimento che accompagna i ragazzi al fronte: il terrore di perdere quella vita che, pur riservandogli ancora tanto, rischia di finire “in un bel giorno di primavera”, per usare le parole di Fabrizio De André. Sembra, dunque, non avere alcun peso il loro Paese di provenienza perché, se non li ascoltassimo parlare nella loro lingua, se non guardassimo i colori della bandiera sulla manica delle loro divise, vedremmo solo dei volti paralizzati, incapaci di spiegarsi perché si trovino in quel luogo, quale guadagno possano trarre da quel senso del dovere che li ha spinti al fronte. Una guerra che in Russia è stata giustificata come missione per sconfiggere i regimi nazi-fascisti in Ucraina si è invece rivelata un conflitto fratricida, che ha coinvolto due popoli le cui storie avevano la stessa origine. E allora mai come in questo caso si sono rivelate profetiche le parole di De André che, parlando del giovane Piero lo descrive quando, mandato al fronte, vide “un uomo in fondo alla valle, che aveva il tuo stesso e identico umore, ma la divisa di un altro colore”…
Foto: torresette.news