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Costume e SocietàLetteratura

L’ultimo del Clan Yi

Samurai: la spada e l’onore


Edil Merici

Di Francesco Salerno

La luna brillava con straordinaria bellezza, illuminando con la sua candida luce il paesaggio sottostante. Migliaia di fuochi brillavano sul terreno, rivelando così l’enormità dell’esercito nemico. Naomasa Yi lo osservava in silenzio dall’alto della rupe sulla quale si trovava. Spostando lo sguardo verso nord, ecco il castello di Tanaka. Erano passati ormai tre mesi da quando Toyotomi Hideyoshi, potente daimyo, aveva messo sotto assedio la fortezza. I difensori, meno di un migliaio, avevano resistito eroicamente, ma la loro fine era certa.
Naomasa erano stato inviato lì, insieme ad altri 3.000 samurai, per tentare di rompere l’assedio. Un’impresa praticamente impossibile, ma ci avrebbero provato comunque. Tutti loro avevano giurato fedeltà al signore di Edo, Tokugawa Ieyasu, loro daimyo e padrone.
«Naomasa, vieni! Il riso è pronto!»
Naomasa si voltò con lentezza, chiamato da uno dei propri compagni, Hide del clan Kinsho. Erano entrambi molto giovani, quasi coetanei. Entrambi erano samurai di basso rango. Forse, anche per questo Tokugawa li aveva considerati sacrificabili. Naomasa, tuttavia, non lo biasimava. Un tempo il suo clan, gli Yi, era molto rispettato. Suo padre, Naochina, era stato giustiziato dal loro signore con l’accusa di tradimento quando lui era appena in fasce. Da quel momento, poveri e in disgrazia, lui e la madre avevano viaggiato per l’intero paese, prima di essere accolti a servizio da Tokugawa. Cresciuto sulla via del bushido, Naomasa aveva sempre aspettato l’occasione per mettersi in mostra. Avrebbe vendicato l’onore del padre, risollevato le sorti del suo clan e dimostrato all’intero Giappone quando valeva, anche a costo di morire gloriosamente sul campo di battaglia! Con quest’ultimo pensiero nella mente, si diresse infine al campo.
I fuochi erano stati spenti per sicurezza, il nemico non doveva sapere che erano lì. Stretti in piccoli gruppetti, i samurai se ne stavano per conto loro. Alcuni pulivano le armi, altri chiacchieravano sommessamente, altri ancora componevano i propri haiku, le poesie brevi che racchiudevano gli ultimi pensieri di un guerriero samurai.
Hide lo chiamò a sé gesticolando e Naomasa si diresse dritto da lui. L’amico aveva finito il proprio riso, ma ne aveva lasciato abbastanza per lui. Mentre mangiava, Naomasa notò la maschera da guerra di Hide.
«È molto bella» disse sinceramente. Gli occhi di Hide si illuminarono a quelle parole.
«Apparteneva a mio padre. Insieme alla katana è l’unico ricordo che ho di lui.»
Detto ciò la passò a Naomasa. La maschera raffigurava il muso ghignante di una scimmia ed era completamente rossa. Un oggetto magnifico da portare in battaglia. Lui, ultimo del clan Yi, non aveva nulla di così elaborato. La sua armatura proveniva dalle riserve di Tokugawa ed era di un bianco sporco, sebbene ancora utilizzabile in battaglia. Idem per la katana. L’unico oggetto fuori dal comune era la sua lancia. Regalatigli dalla madre, era stata forgiata attingendo agli ultimi fondi del clan, secondo lo stile tipico del clan Yi.
«Adesso riposiamoci, amico mio. Domani affronteremo il nemico» gli disse infine Hide, sdraiandosi a terra. Naomasa gli sorrise amichevolmente. L’indomani avrebbe partecipato alla sua prima battaglia. Il suo onore, il suo futuro, la sua stessa vita, si sarebbero decisi dinnanzi alle mura del castello di Tanaka.


Fragranze

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