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Costume e SocietàLetteratura

L’abbraccio dello spirito che vagava per il mondo

Il cartomante di Torre Normanna XV


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

La villa, pur essendo sul mare, era lontana da occhi indiscreti. I bagnanti si erano riversati negli stabilimenti balneari della costa e quella fettina di spiaggia solitaria era diventata il loro angolo di paradiso. La canicola che durante il giorno aveva torturato le teste e i cervelli adesso era diventata un ricordo e una dolcissima e profumata aura sembrava cullarli.
«Rimango con te stasera, vuoi?»
«No, stasera no, devo lavorare e credo che cenerò da sola. Ci vediamo domani a pranzo, se ti va.»
Il conte Alvise, colpito dal tono risoluto della donna ,non ebbe il coraggio di ribattere e, terminato il suo Martini, la baciò teneramente sulle labbra prima d’infilarsi nella sua BMW decappottabile e tuffarsi nel traffico cittadino che avrebbe superato per recarsi nella sua villa in quel di Gioiosa.
La contessa si alzò dalla sua poltroncina e interruppe David Oistrach proprio nell’ultimo e impegnativo movimento del concerto di Beethoven. Entrò nel suo studio, chiuse tutte le imposte e accese cinque candele sulla sua scrivania già apparecchiata per il rito che si apprestava a compiere.
Accese il registratore del cellulare e lo mise accanto a uno dei candelieri.
La stanza profumava delicatamente d’incenso ed ella prese da un cassetto della sua scrivania un libro che sfogliò velocemente. Trovato il segno, lo depose religiosamente sul piano dello scrittoio.
Poi chiuse gli occhi, giunse i palmi e appoggiò il volto alle mani. Restò così concentrata per un po’ di tempo, quindi cominciò a leggere le formule del libro in una lingua che neanch’ella conosceva, ma che pronunciava fedelmente come altri le avevano insegnato. Pronunciò più volte un nome, quel nome che aveva sentito in riva al Brenta per la prima volta, ripensò alla ragazza, al suo sangue e al suo dolore.
«Veronica, Veronica, io ti sono amica, fammi provare la tua stessa angoscia. Non temere, manifestati e raccontami. Parlami del tuo dolore, io voglio aiutarti e farti tornare tra le anime buone che anelano l’unione della tua sostanza di spirito. Veronica, ti aspetto.» Poi continuò a leggere le antiche formule alla luce delle candele.
Un torpore innaturale s’impadronì della contessa e una profonda voglia di morte s’insinuò nelle membra della donna. Calde lacrime le scesero sulle guance e dalla sua bocca uscì un lungo e lugubre lamento.
Un puzzo di marcio, d’un tratto, aleggiò per la stanza vincendo il profumo dell’incenso, e la visione di lei si materializzò sulla poltrona dall’altra parte del tavolo, di fronte alla contessa.
«Veronica, sei arrivata. Allora hai veramente fiducia in me.»
Una candela prese a gocciolare lenta sullo stesso candeliere. La cera fusa percorreva tutto il gambo d’argento fino a raggiungere l’ampia base dove lentissimamente si raccoglieva in un grumo di cera tra il candeliere e il tappeto rosso che ricopriva il tavolo, mentre la luce del giorno, fuori dalle imposte chiuse, cedeva il passo alle luci della strada. Nessun rumore penetrava nella stanza buia. Solo un cane, lontano sulla spiaggia, cominciò ad abbaiare con furia. Poi il suo abbaiare si trasformò in un latrare sordo e in un lungo ululato che si spense nella sera.
Veronica aveva accettato il suo invito e adesso la guardava con i suoi occhi grandi, neri e profondi.
«Ho bisogno di te, di quello che sai e di quello che hai visto. Raccontami, ti prego, quello che hai provato e quello che sai.»
Con voce lenta e profonda Veronica iniziò a parlare: «Non ci è permesso di parlare di noi. Guardate le carte, scoprirete tutto. No, non sarai tu a farlo perché anche il tuo tempo è giunto ormai alla fine e fra un poco tu verrai via con me. Ho provato tutto nella mia vita, l’amore più intenso e il suicidio. Per questo sono stata punita. Ho provato la vergogna e il disonore. Ho amato chi mi ha fatto soffrire ma, adesso, tutto si è tramutato in odio e anche per questo il mio spirito è obbligato a vagare ancora per il mondo.»
«Dimmi di più, Veronica, ti prego, io voglio far pagare tutti quelli che ti hanno fatto del male.»
Una terribile risata risuonò per la stanza. Poi Veronica si alzò lenta dalla sua poltrona, andò verso Luisa e l’abbracciò fino a soffocarla, lei ebbe fame d’aria ma Veronica le chiuse le labbra con le sue in un orrido bacio, l’ultimo, irripetibile ed eterno. La mano della contessa incontrò nello spasimo della morte uno dei candelieri che si rovesciò sul tavolo. Tutto prese immediatamente fuoco. A uno a uno tutti i quadri d’autore appesi alla parete furono lambiti dalle fiamme, poi fu la volta dei tappeti che coprivano il pavimento dello studio e le carpette e le carte sparse sul tavolino basso vicino alla libreria e l’arazzo raffigurante la dea Persefone appeso accanto alla porta. Poi prese fuoco anche il leggero abitino in satin che la donna indossava, finché tutto fu un unica grande vampa.
La contessa, quella sera, dopo che il sole era già morto dietro l’Aspromonte, seguì Veronica sulla strada che non ha ritorno.
Infarto, disse il dottor Iaquinta esaminando i resti carbonizzati della contessa. Nulla si era salvato dall’incendio, in quella stanza, tutto era stato bruciato con una velocità incredibile. Al mattino trovarono anche il cellulare, che fu affidato alla scientifica perché fosse esaminato.
«Mi stava sulle palle, ma mi dispiace immensamente» disse Stracuzza quando apprese la notizia.
Cristina gli lanciò un’occhiataccia, giudicando l’apprezzamento proprio fuori luogo.
Come per scusarsi, Luciano aggiunse: «Beh, ho anche detto che mi dispiace immensamente. E che caz…»
«Abbiamo capito» troncò immediatamente, Cristina che aggiunse: «Non capisco con questo caldo che cosa ci facesse con tutte quelle candele accese.»
«Era fissata. Stanotte c’è stata la luna piena e lei avrà fatto uno dei suoi soliti riti. Poi l’infarto e l’incendio.»
«Sembra tutto, così semplice, così scontato» disse Cristina, pensando a voce alta.
«Oooh Cristina! Smettila di fare sempre l’investigatore» disse Stracuzza per chiudere l’argomento. Poi uscì dalla stanza.
Ma, vi prego, non giudicate male Luciano Stracuzza. È un buono e non sempre è un fatto positivo essere troppo buoni. È anche sincero e non sempre è un fatto positivo essere troppo sinceri. In quel periodo era anche molto confuso. Aveva dubitato di Giulia che, invece, era semplicemente andata a mangiare una pizza da sola e lui l’aveva trattata come un marito tradito tratta la moglie fedifraga. La contessa stava a Luciano Stracuzza come l’acqua al cioccolato, non erano riusciti a legare, tutto qua, e lui aveva sempre odiato gli atteggiamenti del PM, che lo ferivano costantemente nel proprio virile orgoglio di militare. Fatto sta che quella mattina il telefono dell’Ufficio di Stracuzza suonò ancora.
«Carabinieri» disse il maresciallo con un tono che non faceva presagire nulla di buono.
«Buongiorno, maresciallo, sono il dottor Longo della Procura, volevo dirle che ho preso io l’indagine Mastrangelo assieme a quella per la morte della dottoressa Trombetta.»
«Buongiorno, dottore, grazie…»

Foto: mylove.ru


“Birra”

Redazione

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