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Costume e SocietàLetteratura

Lungo la via Francigena

Templari - Alla ricerca del Libro dei morti XVII


Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

La distanza da colmare lungo la via Francigena era di circa cinquanta miglia, un viaggio che il Barone di Altavilla, Malachia da Hildesheim, Cosimo da Firenze e Jean d’Anneau stimarono di compiere nell’arco di un giorno. Durante il cammino ripresero spesso il discorso dell’esperienza fatta lungo il Nilo. All’imbrunire si trovarono al cospetto del castello edificato attorno all’anno 1240, per volontà di Federico II di Svevia.
I Cavalieri si fermarono dinanzi all’ingresso principale nel più assoluto e ossequioso silenzio. Il portale è rivolto a Est e sulle due colonne che fiancheggiano la porta sono accovacciati due leoni. Quello di destra guarda verso sinistra, quello di sinistra guarda verso destra. In altre parole i loro occhi sono rivolti verso i punti dell’orizzonte in cui sorge il Sole alle date dei Solstizi d’Estate e d’Inverno. Le date dei solstizi coincidono con le festività dei due San Giovanni (il Battista, il 24 giugno, e l’Evangelista, il 27 dicembre) e, contemporaneamente, con le cosiddette Porte Solstiziali (quella degli uomini e quella degli Dei). Federico era morto 54 anni prima del loro arrivo a Castel del Monte e di lui non rimaneva altro che il ricordo. L’opera eretta per sua volontà, non era altro che un enorme forziere Iniziatico. C’è chi ritiene che al suo interno sia custodito il Santo Graal e che lo stesso castello lo simboleggi.
I Templari furono ospiti del castellano per tre giorni e tre notti. In quei giorni trascorsero la maggior parte del loro tempo a leggere i vari manoscritti presenti nella fortezza. All’alba del terzo giorno, ripresero il cammino in direzione della Città Eterna.
Era ormai passato tanto tempo, da quando erano partirono alla volta della Terra Santa alla ricerca della Conoscenza perduta. Sentivano il bisogno di rientrare a casa e rivedere i propri cari. Avevano acquisito, in Egitto, una grande Conoscenza del Mondo dell’Invisibile, ma nel contempo la consapevolezza della transitorietà della vita. Era nato in loro il desiderio di riabbracciare le proprie famiglie e di passare gli ultimi anni nei luoghi in cui avevano trascorso la propria fanciullezza. Il Barone spesso ricordava ai compagni di viaggio il precetto “L’uomo non è altro che un folle, intento ad acchiappare il vento. La maggior parte della nostra esistenza la trascorriamo all’insegna dell’insensatezza.”
Cosimo parlava raramente, preferiva ascoltare. Quel giorno fece, però, un’eccezione, formulando un ragionamento che andava oltre la blasfemia. La riflessione si articolava sui paradossi della Creazione. I compagni lo guardarono con immenso stupore, ma – nel contempo – stavano molto attenti per carpire la profondità del suo pensiero. La complessità concettuale espressa, aveva imposto ai Cavalieri di concedersi una lunga pausa. Si sedettero sotto una grande pianta di olivo, lungo la Via Francigena. Era la dodicesima ora del giorno e il sole era allo Zenit. A poca distanza dall’ulivo vi era una roccia da cui sgorgava dell’acqua tanto fredda che a stento riuscivano a tenervi le mani immerse per qualche minuto. Onde evitare di far prendere un malanno alle bestie, la gente del luogo aveva costruito un abbeveratoio collegato tramite una piccola roggia, in modo che l’acqua si stemperasse rendendola di temperatura accettabile.
Dopo aver fatto abbeverare i muli, ognuno riprese posto sotto l’ulivo e, data l’ora, iniziarono a mangiare. Il Barone guardò Cosimo, come se volesse invitarlo a esporre il proprio pensiero. Cogliendo l’attimo, Cosimo prese a dire:
«Quello che ho potuto osservare, fin dalla mia giovane età, è che tutto ciò che ai nostri occhi appare perfetto, in realtà nasconde il massimo dell’imperfezione.»I Cavalieri si guardarono tra di loro, tradendo il proprio stupore e incomprensione. Cosimo riprese il suo discorso, menzionando una parte di quanto vi era impresso sul portale in Egitto:
«Poiché tutto è me, non vi sono due, la creazione è me stesso, dappertutto.Quello che concedo a me stesso, lo prendo da me stesso e lo do a me stesso, l’unico, poiché sono il Padre e il Figlio.
Quanto a quello che voglio, non vedo altro che i Miei desideri, che sgorgano da
me.
Sono, infatti, il conoscitore, il conosciuto, il soggetto, il governante e il trono.
Tre in
uno è quello che sono, l’inferno è solo un argine che ho messo al mio stesso fiume, allorché sognavo durante un incubo.Sognai che non ero il solo unico e così io stesso iniziai il dubbio, che fece il suo corso, finché non mi svegliai.
Trovai, così, che
io avevo scherzato con me stesso.
Ora che sono sveglio, riprendo di sicuro il Mio trono e governo il Mio regno che è
me stesso, il Signore per l’eternità.
»I Cavalieri rimasero sgomenti nel sentire recitare quanto vi era scritto sul portale trovato in un antico sacro sito egizio. Al Barone, nel sentire quelle parole, il cibo andò di traverso, tanto che stava quasi per rendere l’anima a Dio. Allo stupore degli altri seguì un lungo e interminabile silenzio… non riuscirono nemmeno a dire a Cosimo di chiudere o continuare l’argomento.
La curiosità innata del l’uomo prevalse sulla religiosità degli altri.

Continua…


“Birra”

Redazione

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