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Costume e SocietàLetteratura

Il cacciatore di sangue

Roswell Legacy


Edil Merici

Di Francesco Salerno

Hunt e Dolmer entrarono correndo dentro il ranch, davanti a loro il militare dello squadrone nero col fucile spianato. I colpi d’armi da fuoco erano cessati poco prima che i tre raggiungessero la casa, il perché divenne chiaro non appena vi entrarono. L’interno dell’abitazione era un immenso caos. Sedie rotte, mobili a terra, tende strappate, oggetti sparsi ovunque sul pavimento.
Il militare diede un rapido sguardo in giro poi, senza battere ciglio, corse alle scale che portavano al piano superiore.
Hunt e Dolmer restarono inebetiti a fissare quel macello. «Ma cosa diavolo è successo qui?» domandò Dolmer, facendosi largo tra i detriti. Hunt scosse la testa con sconcerto, non avendo idea di cosa fosse potuto accadere in quella casa. All’improvviso, il tenente mise piede su qualcosa di appiccicoso e denso. Gli ci volle qualche istante per rendersi conto che era sangue.
«Mio Dio, Dolmer! È ovunque» disse con sconcerto rendendosi conto dello stato del pavimento.
«È anche sulle pareti…» gli fece eco il detective, mostrandogli i muri della casa. Ovunque si voltassero vi era sangue rappreso e maleodorante, sebbene non vi fosse alcun segno di cadaveri.
Il rumore di una finestra rotta li fece voltare di colpo verso la porta da cui erano entrati. Qualcosa era voltato giù dal primo piano per ricadere dinnanzi all’abitazione. Hunt e Dolmer corsero per vedere di cosa si trattava, ma vennero bloccati sull’uscio della porta.
Una figura mostruosa che pareva fatta di ombra scese dal tetto, piombando dritta dinnanzi a loro.
«Oh, cazzo…» fu l’unica cosa che riuscì a dire Dolmer fissando lo Tsik Tsek.
Il mostro era alto ben oltre i due metri e aveva una forma umanoide. Il copro era magrissimo, quasi emaciato, e ricoperto da una specie di esoscheletro nero bluastro. Le braccia e le gambe erano lunghe e muscolose, ed entrambi terminavano con artigli da far invidia a un orso bruno. Ma era la testa ad essere la cosa più spaventosa. Era glabra, dalla forma triangolare allungata all’indietro. Non parevano esserci occhi ma, in compenso, la bocca era enorme e ripiena di denti aguzzi. Hunt pensò allora che, se quello era davvero il cacciatore di sangue, allora i navajo non avrebbero potuto dargli nome più adatto.
La creatura mosse la testa prima verso Hunt, poi verso Dolmer, quasi come se volesse capire se i due fossero o meno una minaccia.
«Che facciamo?» chiese Dolmer al compagno. Erano entrambi immobili dalla paura e nessuno voleva muoversi per paura che la creatura li attaccasse.
«Nulla, sta fermo e zitto» gli dispose Hunt mentre cercava una soluzione per uscirne vivi. All’improvviso, però, un rumore ruppe il silenzio. Era semplicemente un’anta in cucina che si staccava e cadeva al suolo, ma alla creatura non interessò. Emise un sibilo profondo e minaccioso poi attaccò.
Con un rapidissimo movimento colpì Dolmer col palmo della mano, facendolo volare via oltre il soggiorno. Dolmer tentò di reagire, ma di nuovo la creatura fu più rapida. Lo afferrò per il collo e lo sollevò senza sforzo da terra, salvo poi scagliarlo contro il muro. Il colpo potente fece perdere fiato al tenente che si accasciò al suolo con la vista annebbiata.
La creatura urlò ancora, pronta a reclamare il sangue dei due uomini ma, prima che potesse lanciarsi su di loro, qualcuno entrò dalla porta. Era il militare che era corso al piano superiore e che il mostro aveva scagliato dalla finestra. Il volto era una maschera di sangue e il braccio destro era praticamente a pezzi, ma l’uomo era ancora vivo. Mentre la creatura si voltava verso di lui per finirlo, il militare portò avanti la mano sana e la aprì proprio in faccia al mostro. Sul palmo, una granata senza sicura.
Hunt ebbe appena il tempo di urlare a Dolmer di mettersi al riparo. Poi, un’esplosione spaventosa investì tutti. Il tenente si sentì sollevare e sbattere contro il muro, i sensi lo abbandonarono e un attimo dopo il mondo, per lui, divenne nero.

Continua…

Foto di grottaglieinrete.it


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