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ArteCostume e Società

Maternità, Sacralità e il fuoco della creatività che brucia negli artisti di Calabria


Edil Merici

Di Carmela Salvatore

L’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario consente l’ingresso in carcere a tutti coloro che “avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera”.
Difatti sono le regole minime europee che suggeriscono di “ricorrere per quanto possibile alla cooperazione di organizzazioni della comunità per aiutare il personale nel recupero sociale dei detenuti.”
Accade tutto ciò a Locri presso la Casa Circondariale: nella stanza in fondo a uno dei corridoi di quel labirinto di cancelli aperti con grossi mazzi di chiavi e controlli a ogni ingresso c’è infatti un laboratorio di pittura. Al suo interno, tra chi s’ingegna con matita, pennello, colori e lo sguardo concentrato e chi, con colla e cartoncini, si attiva in lavoretti laboratoriali, c’è chi in passato ha maneggiato armi, commesso reati e alzato le mani troppe volte.
A guidare il laboratorio però non è un avvocato né un giudice, né un assistente sociale, ma Carmela Salvatore, una pittrice e docente calabrese che ha avviato l’iniziativa dopo aver svolto per diversi anni attività di volontariato con l’Associazione Culturale Arteterapia Zefiroart iscritta all’Albo della Consulta delle Associazioni di Gioiosa Ionica.
Dopo aver varcato le soglie del carcere insieme al direttore dell’epoca, Patrizia Delfino, e al Comandante Caterina Pacileo, l’artista ha deciso di offrire la sua conoscenza tecnica e culturale per creare una nuova attività, facendo prenderne parte anche ai detenuti. Un’esperienza che, nel tempo, ha creato un legame profondo tra l’operatrice e i reclusi.
Educare al bello è montessoriano: «È la bellezza in tutte le sue forme che aiuta l’uomo interiore a crescere». L’esperienza del laboratorio di pittura, infatti, attiva le esperienze visive, sonore, olfattive, tattili, di movimento e di linguaggio che vanno oltre il puro concetto di bellezza. Insieme alla manualità, la vista del bello accompagna un sano processo di crescita. Serve per prevenire e curare l’indurimento provocato dalla cessazione della creatività. Occorrono progetti come Maternità e Sacralità per ricordarci quanto l’arte e la cultura siano materia viva e inarrestabile, anche in tempi di pandemia. Maternità e Sacralità, nata nel territorio della valle del Torbido, unisce arte, cultura e sport, con l’obiettivo di valorizzare anche i luoghi dalle bellezze paesaggistiche più nascoste e non soltanto; un progetto di inclusione, di denuncia e allo stesso tempo promozione.
È un progetto che vuole portare l’arte e la collaborazione tra le eccellenze locali, favorendo un nuovo rapporto, diretto e di scambio reciproco, tra natura e arte/cultura, vuole insomma tessere una rete. In un percorso che conduce alla scoperta della bellezza, in tutte le sue forme, della Calabria attraverso l’arte, e che a sua volta svela quanto l’arte, e soprattutto gli artisti, abbiano bisogno di entrare in contatto con il luogo che più ci appartiene. Sono tredici gli artisti chiamati a esporre opere. In stretta relazione la tematica della Maternità e Sacralità assieme ai detenuti della Casa Circondariale. Infatti, ognuno di loro, in sintonia con la loro poetica, rappresentano un territorio, un paese. Ognuno di loro è stato prescelto assieme alle opere che ritiene di valorizzare e che contraddistingue nella matrice culturale del paese che rappresenta.
Il concetto stesso di Maternità e Sacralità viene da lì: da altri luoghi, dal proprio modo di prendersi cura, amare, la propria terra, ma ugualmente interessanti. Gli artisti sono invitati a lavorare sul tema, non facile, dell’autocelebrazione intensa come mettersi su un altro piano al pari di una parte della società che non può autocelebrarsi in quanto non ne ha il diritto, poiché l’ha perso assieme alla libertà. Maternità e Sacralità si promuove come recupero di una memoria storica legata anche al territorio, come conservazione dei tratti salienti del paesaggio e della civiltà del passato, nel tentativo di creare una mappatura che coinvolga i sei comuni di Gerace, Locri, Siderno (dove la mostra sarà visitabile presso il Palazzo De Mojà del borgo Superiore da oggi al prossimo 1 luglio), Marina di Gioiosa, Gioiosa Ionica, Roccella, attraverso cui costruire un nuovo percorso culturale. Un percorso che accoglie, riabilita, difende, protegge tutti: uomini, strutture architettoniche e paesaggi. La Calabria possiede un territorio altamente e culturalmente storico: palazzi, chiese, resti archeologici. Luoghi solitamente accessibili e visitabili ma non con l’attenzione che meriterebbero per quanto riguarda la salvaguardia e la tutela. Questo deve essere anche il potere della cultura e dell’arte. Non si tratta, certo, di parlare di politica nei termini più usuali e consuetudinari, ma è indubbio che sia un atto politico creare un’immagine del sé o del collettivo. Oggi possiamo affermare che nel cuore della nostra terra di Calabria si muovono decine e decine di artisti nei quali brucia il fuoco della creatività. L’artista infatti è colui che dà forma a questo sacro fuoco.
Il motivo di tutto questo risiede nell’obiettivo stesso dell’opera d’arte, concepita come mezzo per destare emozioni potenti e complesse e certamente possiamo dire che nel progetto non è presente dal punto di vista stilistico il mondo accademico delle regole e dei canoni. Al contrario, l’opera d’arte diventa espressione, linguaggio, quasi parola trasportata fuori dalle mura della Casa Circondariale per riappropriarsi, seppur momentaneamente, del suo posto in società. Quella società di cui si percepisce il grado di cultura direttamente proporzionale da quanto questo avviene. L’arte utilità per la vita, oltre che a creare legami e a far sorgere comunità, diventa necessaria funzione civile, diventa libertà (come scrive Delfino nella lettera indirizzata ai relatori dell’evento geracese). Una funzione civile che si nutre nell’interpretazione degli artisti, detenuti compresi, e questo implica “riconoscere ed elaborare quelle emozioni che le immagini suscitano in noi”, emozioni che non sono di ordine semplicemente estetico, ma coinvolgono l’intero ambito della nostra esistenza. Possiamo anche affermare l’inscindibilità tra arte e politica. Significa che elevare l’arte stessa al di sopra di quell’irrilevanza in cui la nostra società sembra averla relegata, e allo stesso tempo significa affermare la libertà di chi esercita una tale, vitale funzione per le nostre democrazie.


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