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La Calabria Greca: dalle Rocche di Prastarà alla Rocca di Santa Lena

Locride… e dintorni in Mountain Bike


Edil Merici

Di Rocco Lombardo

Il nome Calabria in se stesso ha non poco di romantico. Nessun’altra provincia del Regno di Napoli stimola tale interesse o ispira tanto ancor prima di avervi messo piede…

Così cominciava il Diario di un viaggio a piedi, il racconto itinerante che il pittore-scrittore Edward Lear compì nell’estate del 1847, lungo gli impervi sentieri dell’Aspromonte che, oggi come allora, nonostante avessero la fama d’essere inaccessibili, selvaggi e inospitali, conservano intatta la loro natura primordiale. I borghi abbandonati, i paesaggi, i costoni arenarici e gli insediamenti rupestri tratteggiati nel diario di Lear, costituiscono un vero e proprio patrimonio da rileggere in termini di ricchezza ambientale e culturale, ancora e soprattutto oggi, proprio come l’illustre paesaggista e letterato inglese ebbe l’ardire quasi due secoli fa di rappresentare.
Continuiamo anche oggi le nostre escursioni in mountain bike nella cosidetta Area Grecanica, nell’estremo lembo meridionale della Locride, sul versante orientale dell’Aspromonte che si affaccia sullo Ionio, testimonianza ancora viva di un passato e di una terra in cui si parla ancora il grecanico, la lingua dei Greci di Calabria, un greco antico tramandatosi in quest’area fin dai tempi della Magna Grecia, e rinvigoritosi nel periodo bizantino insieme al rito ortodosso, per essere successivamente declassato a lingua di pastori e contadini, ma che proprio grazie all’isolamento di questi luoghi si è tramandato per secoli oralmente fino circa alla Seconda Guerra Mondiale, per quasi scomparire del tutto. Solo recentemente è stato riconosciuto come minoranza linguistica e si sta cercando di recuperare.
Ripercorreremo la prima parte del Sentiero dell’Inglese, con la stessa curiosità che animò il paesaggista inglese, in un territorio che abbiamo avuto modo di visitare e raccontare altre volte, dal fascino particolare rappresentato dalle ampie fiumare, asciutte, lunari e transitabili in questo periodo, attraverso lunghe strisce di pietre bianche che serpeggiano tra le strette gole dei canyon dai monti fino al mare. Vie di comunicazione attraversate per millenni da gente che camminava, chi per abitarvi, chi per procurarsi i mezzi di sussistenza, chi per recarsi da una parte all’altra, oppure pregare.
La nostra terra, nel tempo, è stata attraversata anche da altri viaggiatori stranieri, tra tutti Algernon Swinburne, anch’egli poeta e scrittore di cui conserviamo reminiscenze liceali, che aveva visitato Locri, Roccella e Bovalino rimanendone affascinato e suggerendo a Lear stesso l’ospitalità presso alcune famiglie con tanto di lettera di presentazione. L’intenzione iniziale del paesaggista inglese era dapprima di visitare tutta la Calabria ma, in seguito, decise di esplorare questa parte di territorio, a suo dire, per completare il lavoro dei sui precedessori, definendola una “regione appartata tra le torreggianti forme di Aspromonte”. La sua presenza aleggia ancora in tutta l’area grecanica ed è indissolubilmente associata al cosiddetto Sentiero dell’inglese, così denominato in suo onore, che viene riproposto agli appassionati di terkking, come soggiorno naturalistico e itinerante nel Parco dell’Aspromonte, e che oggi, con le nostre MtB, percorreremo nel tratto che dall’area delle Saline Joniche, s’inerpica fino alle porte di Montebello Jonico, passando per le Rocche di Prastarà, per spingersi fino alla Rocca di Santa Lena e concludersi infine, con il prossimo appuntamento, nella magica Pentedattilo.
L’Inglese più volte ha avuto modo di rimarcare la cordialità della gente del luogo, animata da un sacro senso di ospitalità che affonda, oggi come allora, le radici in un tradizione greca consolidata, tratteggiandone la bellezza maestosa del territorio, dalla visuale privilegiata e in presa diretta da parte di chi cammina a piedi, offrendo lo spaccato di una terra e di una comunità che viveva all’epoca di bachicoltura e zootecnia. In un clima politico difficile, a malincuore Lear dovette però interrompere il suo viaggio a causa dell’esplosione dei moti di Reggio, a cui dedicherà le ultime pagine del suo diario: “profonda malinconia ombreggia la memoria di un viaggio incominciato così piacevolmente…
Pedalare in questo antico territorio, suggestivo e impervio allo stesso tempo, offre un percorso di struggente bellezza tra spazi aperti e lunari, ripidi e scoscesi, tra giardini di agrumi e di ulivi con scenari mozzafiato per chi ama, come noi, avventurarsi in luoghi ormai dimenticati. Un remoto angolo del nostro territorio, in gran parte nascosto dentro i confini del Parco Nazionale dell’Aspromonte, ricco di fiumare, alture e colline che degradano verso il mare, caratterizzato da sentieri antichi che attraversano borghi fantasma e piccoli agglomerati urbani, ruderi e insediamenti ancestrali, consentendoci di immergerci completamente nella magia della storia e delle tradizioni.
Lasciamo l’asfalto della Strada Statale 106, nei pressi del porticciolo industriale di Saline Joniche, e pieghiamo a destra attraversando alcuni costoni arenarici che costeggiano, tra fitti canneti e piantagioni di bergamotti, la Vallata di Sant’Elia. Dalla Borgata Caracciolino iniziamo la risalita verso l’interno, pedalando duramente sulle rampe che, dopo alcuni tornanti, intercettano la Contrada Tigani, riservandoci il panorama unico e impareggiabile, dal forte impatto scenografico, del borgo di Pentedattilo e delle Rocche di Prastarà, in una cornice paesaggistica unica.
Dopo circa dieci minuti si raggiunge infatti lo spiazzo panoramico dov’è stata eretta la stele dedicata proprio a Edward Lear, a simboleggiarne la partenza, concedendoci una provvidenziale sosta utile anche per alcuni scatti fotografici con alle spalle le cinque guglie di Pentedattilo.

Si prosegue in salita attraverso una mulattiera in terra battuta che conduce, dopo circa 20 minuti di pedalata, alle Rocche di Prastarà: monoliti giganteschi di formazione rocciosa, imponenti e austeri, che si presentano come contrafforti naturali dirempettai alla rupe di Pentadattilo, che si staglia sul versante opposto della fiumara.
Il sito di Prastarà viene indicato come uno dei più importanti siti storici e archeologici del territorio: qui sono stati infatti ritrovati reperti archeologici, pezzi di vasi in terracotta, frammenti di punta di lancia e frammenti di utensili, risalenti all’età del bronzo, nel periodo compreso tra il 2.200 e il 900 a.C.
Tra le due imponenti formazioni rocciose si ritrova una grande spelonca, denominata la caverna dei Ladri, dove sono stati rinvenuti utensili e suppellettili di epoca antica che confermano il carattere eremitico e anacoretico del sito, riconducibile al fenomeno del monachesimo basiliano, più volte trattato nella nostra rubrica. Il colpo d’occhio che queste particolarissime formazioni geologiche suscitano è spettacolare ed inquietante allo stesso tempo per la solennità e il silenzio irreali che le circonda.
Lasciate le MtB ci siamo spinti a piedi alla ricerca del fantomatico Monastero di Sant’Elia, che la tradizione indica situato ai piedi delle Rocche. La leggenda del luogo narra infatti che Sant’Elia, durante uno dei suoi numerosi viaggi in Oriente, ebbe in visione Gesù, che gli avrebbe chiesto di fondare un monastero presso un particolare monte. Il monaco siciliano ritenne di riconoscere quel monte nelle Rocche Prastarà, e seppure le testimonianze di frequentazione dell’area siano antichissime, difficilmente l’edifico identificato dalla tradizione con il monastero di Sant’Elia può essere considerato tale, è più verosimile che si tratti di un luogo di romitaggio, com’è stato suggerito da altri studiosi locali: un ricovero sacro punto di riferimento per il territorio, ricavato in una concavità delle Rocche, composto da blocchi di pietra sbozzata: un’opera perfettamente in armonia con la quiete che si respira nelle Rocche di Prastarà.
Un’altra leggenda popolare, non confortata però dai rilievi effettuati e dai reperti ritrovati, indicava le stesse come un vecchio passaggio per il mare; riprendiamo le bici e la sterrata in lieve salita: da qui, lungo il percorso, è possibile ammirare sulla sinistra il panorama dello stretto di Messina e, sullo sfondo, l’imponente sagoma dell’Etna. Costeggiando un sentiero delimitato da muri a secco ci imbattiamo in una piccola struttura rurale dedicata ai Santi Cosma e Damiano. Ci dirigiamo, quindi, verso alcuni piccoli insediamenti di case (Prumbaca e Liano) fino a raggiungere l’abitato di Masella, anch’essa una frazione di Montebello. Attraversiamo l’abitato passando davanti alla Chiesa principale del paese per poi proseguire sulla Provinciale fino alle porte di Montebello Jonico.
Il percorso consente interessanti e panoramici affacci sulla Fiumara di Montebello e/o Sant’Elia dalle gole molto strette e profonde. Il centro storico del piccolo comune, il cui nome deriva dal latino mons belli, cioè monte di guerra, è caratterizzato da viuzze e scalinate molto ripide, che affrontiamo non senza difficoltà. Costeggiamo in rapida successionela Chiesa Maria Santissima al Tempio, patrona del paese, la chiesa di San Leonardo, la Cappella dei Santi Pietro e Paolo, le rovine del castello baronale, i ruderi della Chiesa di Santa Maria extra moenia, il Palazzo baronale e la Chiesa dei santi Cosma e Damiano.
Arrivati alla fine del borgo, nonostante la traccia GPS ci indicasse un percorso alternativo per raggiungere la Rocca di Santa Lena, chiediamo conforto ad alcuni anziani intenti a chiacchierare sul sagrato della Chiesa sul percorso più breve da seguire per raggiungere il sito. In effetti, incuriositi ma non sorpresi, a comprova che altri ciclisti sono soliti percorerre queste strade, ci indicano una scorciatoia che si rivelerà quanto mai impegnativa e faticosa, prima tra le strette viuzze del borgo per poi inerpicarsi con punte di dislivello fino al 13-15%.
Il percorso in salita ripercorre la mulattiera di contrada Leone Sgrò, densamenteabitata nella prima parte e disseminata di alberi di ulivo a mezza costa, e alla cui sommità sorge appunto A Rocca i santa lena, una roccia molto particolare che ricorda un pò la cresta di un punk.
Non possiamo non rimanere ammaliati dall’imponenza degli ancestrali monoliti granitici, in bilico tra il passato e il futuro. Una suggestione tutta particolare sferzata dal vento e dal silenzio irreale e a tratti inquietante, che solo il fascino di un luogo magico può trasmettere. Un sito che affonda le origini nella memoria della Terra e degli Uomini che l’hanno abitato prima di noi. La selvaggità geologica della Rocca è disarmante, quasi a sentirsi infinitamente piccoli difronte all’imponenza di queste rocce multistrato, lavorate dal tempo e dalla natura, percependo, tra le rughe granitiche, la potenza dell’origine e della trasformazione.
Un panorama mozzafiato, un’esperienza unica, a tratti alienante tanto da farci smarrire tra i sentieri che ridiscendono a valle, al netto del GPS sempre utile e prezioso, ma mai come in questa circostanza, quanto mai salvifiche sono risultate essere le indicazioni forniteci dagli anziani incontrati in paese, che con dovizia di particolari e riferimenti naturali ci avevano indicato il sentiero giusto per raggiungere la Vallata della Fiumara Annà, e quindi potere raggiungere il borgo di Pentedattilo di cui vi parleremo nel prossimo appuntamento sempre in compagnia del fidato compagno di avventura Giuseppe Piccolo.


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