ADVST
Costume e SocietàLetteratura

Le sofferenze di una piccola pazza

Наталина - Solo due mesi d’amore


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Feci sgommare, come ormai di prassi, la mia Panda e ripresi la via di casa.
Lei dormiva ancora, non s’era neanche accorta della mia assenza.
Aprì appena gli occhi quando mi sentì nella camera per poi richiuderli di nuovo.
Andai in cucina e le scaldai del latte. Ci misi dentro una tazza di caffè, lo zuccherai e glielo portai.
Senza alcuna fatica la tirai un po’ su e le accostai la tazza alle labbra. Lei fece di no con la testa.
«Bevi un poco, se no ha detto la farmacista che ti devo abbattere.»
Lei aprì gli occhi di nuovo e mi guardò in faccia e, vendendo il mio sorriso, sorrise a sua volta. Bevve qualche sorso, poi non ne volle ancora e rimise la testa sul cuscino madido di sudore.
«Dobbiamo fare la puntura.»
Lei era semi nuda sotto il lenzuolo e non feci nessuna fatica a farle la puntura in quel gluteo da bambina. Non emise alcun lamento, poi preparai la flebo. Rufolai nella busta. La scorbutica farmacista era stata previdente e aveva aggiunto anche il laccio emostatico con il quale le strinsi il braccio per evidenziare meglio le vene. Aveva le braccia minute e magre e le vene risaltarono molto bene. Le conficcai l’aghetto nella vena, ne fuoriuscì una piccola goccia di sangue, poi le posizionai l’aghetto e lo bloccai col cerotto, appesi la bottigliona a un fregio del letto e le rimisi a posto le lenzuola.
Mi soffermai a guardarla. Era piccola, bella e stanca.
«Hai sofferto tanto, eh piccola pazza?»
La guardai ancora un poco, poi mi sedetti sulla vecchia poltrona accanto al letto, mi piaceva guardarla. Avrei voluto sapere di più, sul suo conto, mi incuriosiva moltissimo. Qual era la sua storia? Qualcuno, un giorno, mi aveva detto in un’intervista che niente a questo mondo accade per caso, ma questa era una vera fregatura.
Avrei dovuto lavorare, non potevo stare a casa a fare l’infermiere a una ragazza che neanche conoscevo e che in una notte era stata capace di cambiare il mio stato da giornalista e fotografo a complice di una rapina di mezzo milione di euro.
No, cara, appena starai meglio, per favore, te ne vai e ti porti via anche la tua preziosa sacca. Io ho fatto tutto il possibile. Ti ho, forse, salvato la vita ma adesso basta, noi ci fermiamo qui.
«Acqua, un pochino, please» Sussurrò vedendomi accanto al letto.
«Sì, aspetta, torno subito.»
Possibile che l’antibiotico avesse già cominciato a fare effetto? Sarà stato per le pezze bagnate o chissà per quale diabolico motivo, ma la febbre era un po’ scesa. Avrebbe dovuto mangiare qualcosa. Chissà da quanto non toccava cibo.
Le avvicinai alle labbra un bicchiere con dell’acqua, che bevve con avidità, poi mi guardò con i suoi occhioni un poco a mandorla, come se mi volesse ancora una volta ringraziare.
«Vuoi mangiare qualcosa? Ti riscaldo il latte?»
Lei fece di no con la testa.
«Bambola, devi mangiare qualcosa, il piccolo che porti nel pancino se ne frega se non hai voglia di mangiare e ti succhia lo stesso quel poco di sangue che ti è rimasto.»
«Non sgridare me, please.»
Mi vergognai un poco per averle parlato con la voce alterata, ma è il mio carattere che mi fa infervorare subito.
«Scusa» le sussurrai mentre posavo il bicchiere ormai semi vuoto sul comodino accanto al letto.
Minchia!
Da quanto non chiedevo scusa a una donna!
Ma che cazzo mi stava succedendo?
«Poi mi racconterai quello che hai combinato, piccola incosciente» le dissi guardandola negli occhi, che lei abbassò colpevole. Poi, con un lamento, cercò di mettersi di lato girandomi la spalle.
«Adesso sono stanca, poi io racconto tutto a te. Fammi dormire ancora un poco. Poi, se vuoi, vado via.»
Le aggiustai un poco le lenzuola tirandole per coprirla meglio e mi ritrovai a pensare: “Ma dove cazzo vuoi andare, in queste condizioni? Vuol dire che ancora per qualche giorno resterai qua, poi si vedrà…”
Era passata la Pasqua da poco più di una settimana. Si era ormai in aprile, ma la primavera stentava ancora ad arrivare e faceva freddo. Il freddo che può fare in una Città come Messina.
Guardai fuori dalla finestra. Lo scirocco si stava impadronendo della Città e le navi della Caronte che ormeggiavano alla banchina si vedevano appena e sembravano enormi fantasmi bianchi che, silenti, attraccavano ad un porto anch’esso fantasma.
Jacopo, il caporedattore, mi aveva telefonato due volte, la prima per chiedermi dove diavolo mi ero cacciato e che avevo bucato la notizia della rapina come un deficiente, la seconda per dirmi di correre al giornale perché aveva del lavoro da farmi fare.
Ci mancava solo la piccola rapinatrice a complicare la mia già disordinata vita.
L’ultima ragazza che avevo ospitato in quel letto era stata Flavia, la stangona che lavora alla cronaca nera. C’era rimasta un giorno intero a ciarlare, ridere e fare l’amore. Poi, con i miei proverbiali garbi, l’avevo messa alla porta all’alba del secondo giorno dopo un’abbondante colazione a base di cornetti caldi, caffè e profondi baci.
Stavolta era diverso: Natalina aveva bisogno di me. Anche lei era il secondo giorno che abitava il mio letto e non ci avevo fatto neanche l’amore.
“Lo sa che lei è un porco?” Le parole della vecchia impicciona mi risuonavano ancora nelle orecchie. Un porco, sì, ma con il cuore pensai sorridendo alla macchinetta che diligentemente mi riempiva l’ennesima tazzina di caffè. Alzai gli occhi verso il grande orologio della cucina: erano quasi le otto di sera e avrei dovuto fare la seconda dose di antibiotico alla mia ricoverata. Preparai la fiala ed entrai nella stanza da letto.
Lei era sveglia, grazie a dio. «Come ti chiami?» chiese.
«Bruno» risposi, poi aggiunsi sorridendo: «Era ora che ci presentassimo!
«Ti darò un mio pigiama poi domattina andrò a comprati qualcosa da metterti. Ti fanno male, le ferite?»
«Un po’» rispose la ragazza abbassando i suoi occhioni.
«Certo che l’hai fatta proprio grossa…»
Lei mi guardò di nuovo, ma non rispose. Io non volli infierire e mi apprestai a farle la puntura. Lei se la lasciò fare senza dire nulla, poi mi disse: «Hai visto cosa c’è nella mia bag
«L’ho visto e li ho pure contati, sono oltre 500mila euro.»
«Te li puoi tenere tutti, se vuoi» disse d’impeto la ragazza.
Risi alle parole di Natalina e le risposi:
«E io che cosa ci faccio? Oltretutto saranno anche segnati e andiamo in galera tutti e due. Pensa, piuttosto, a rimetterti in salute e poi, appena ti sarà possibile, te ne torni da dove sei venuta. Io devo lavorare e non puoi stare con me.»
«Sei sposato?»
«No e non ho nessuna intenzione di farlo, ma non amo avere gente per casa.»
«Sei gay?»
«Non sono gay, non ho niente contro i gay o le lesbiche, ma sono fatto così.»
Uscii dalla stanza e andai a cercare nei miei cassetti accuratamente disordinati per scegliere il mio miglior pigiama e glielo portai.
«Non stiri mai la tua roba?»
«Senti, bella, ma tu cazzi tuoi non ne hai?
Indossalo, non puoi rimanere nuda. Altrimenti, se non muori per le ferite, morirai di polmonite!»

Foto: lisiebartolomei.it


GRF

Redazione

Redazione è il nome sotto il quale voi lettori avrete la possibilità di trovare quotidianamente aggiornamenti provenienti dagli Uffici Stampa delle Forze dell’Ordine, degli Enti Amministrativi locali e sovraordinati, delle associazioni operanti sul territorio e persino dei professionisti che sceglieranno le pagine del nostro quotidiano online per aiutarvi ad avere maggiore familiarità con gli aspetti più complessi della nostra realtà sociale. Un’interfaccia che vi aiuterà a rimanere costantemente aggiornati su ciò che vi circonda e vi darà gli strumenti per interpretare al meglio il nostro tempo così complesso.

Related Articles

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button