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Costume e SocietàLetteratura

Dall’unificazione del paese al codice Rocco

Breve storia giuridica della confisca dei beni


Edil Merici

Di Enzo Nobile e Francesco Donato Iacopino

I concetti sviluppati dai riformatori illuministici vennero coltivati dagli aderenti alla cosiddetta Scuola Classica, i cui massimi esponenti furono Francesco Carrara, Giovanni Carmignani, Enrico Pessina e Giuseppe Zanardelli.
Grazie all’operato di tali giuristi il cui obiettivo, per come già detto, era quello di porre fine all’assoluto potere discrezionale di cui disponevano i giudici nell’applicare la legge e all’uso strumentale del diritto penale da parte dei governanti del tempo, nacque e prese forma il cosiddetto diritto penale del puro fatto, ossia il diritto che, senza tener in conto di possibili cause sociali, aveva individuato nella sola valutazione del fatto la condotta antigiuridica.
Corollari di tale tipo di diritto penale, furono la nascita e l’affermazione di quelli che tutt’oggi sono i principi fondamentali del nostro diritto penale, quali il principio di legalità, il principio della certezza o determinatezza del diritto, il divieto di analogia in materia penale, nonché i principi, squisitamente processual-garantistici, della presunzione d’innocenza e del diritto alla difesa.
I fautori della Scuola Classica, inoltre, partendo dall’idea che il reato consista in una violazione cosciente e volontaria di una norma penale, da parte di un soggetto dotato della capacità d’intendere il disvalore etico sociale della sua azione che, autonomamente, si è determinato a delinquere, posero a fondamento del diritto penale una concezione etico-retributiva della pena.
Secondo costoro, infatti, la pena comminata al reo doveva essere proporzionata alla gravità del reato compiuto e percepita da questi come il corrispettivo materiale e morale necessario per il male compiuto (teoria della retribuzione).
A tale corrente di pensiero si contrappose, dalla seconda metà del XIX Secolo, la Scuola Positiva, espressione del positivismo in Italia.
I positivisti Italiani, i cui massimi esponenti furono Enrico Ferri e Cesare Lombroso, partendo dal presupposto che scientificamente è il principio o nesso di causalità a regolare ogni fatto, applicando tale principio al fenomeno criminale, teorizzarono che “il delitto non è una manifestazione libera e responsabile del reo, bensì un fenomeno determinato da cause specifiche” dando vita, in tal modo, alla teoria del diritto penale dell’autore.
Conseguenze inevitabili di tale diversa teoria del reato, o suoi corollari, furono il sovvertimento dei concetti di pena e di funzione della pena.
Secondo costoro, infatti, nel prevedere e applicare le pene, non si doveva tener conto della responsabilità morale del delinquente, bensì della sua pericolosità sociale, ossia della probabilità che questi, per l’effetto di determinate cause, possa delinquere ancora.
In altri termini, essi contrapposero alla concezione retributiva della pena, quella special-preventiva, attuabile con la comminazione di una misura di sicurezza indeterminata.
Però, nonostante la scuola positiva abbia avuto l’innegabile merito di aver valorizzato il nesso di causalità, di aver posto l’accento sulle incidenze che genetica e ambiente sociale hanno sulla personalità del reo, nonché sul problema della risocializzazione del reo, le idee che furono trasfuse nel primo codice dell’Italia Unita, ossia il Codice Zanardelli del 1889, furono quelli della scuola classica.
A onor del vero, però, le idee propugnate dalla Scuola Positiva non furono scartate dal legislatore, anche se esse non trovarono spazio nel codice Zanardelli, giacché contemporaneamente alla pubblicazione di tale codice, il Primo Ministro Francesco Crispi emanò un Testo Unico di Pubblica Sicurezza (Regio Decreto nº 6.535 del 19 novembre 1889) con cui riconobbe alle forze di Polizia il potere di adottare pesanti misure contro determinate categorie di soggetti sulla base del mero sospetto e prescindendo dalla commissione di reati.
Testo unico che, oltre a rappresentare l’archetipo delle leggi di PS fasciste e delle attuali misure di prevenzione, accoglieva le idee dei positivisti, ponendosi anche in aperto contrasto con quelle liberali del Codice appena adottato.
Principi, quelli testé elencati, che furono normativizzati col codice Zanardelli, che rappresenta il momento di massimo recepimento nel nostro ordinamento giuridico delle idee liberali propugnate dalla scuola classica.
Tale codice, nel suo 3º titolo, aveva abrogato la confisca generale e aveva, invece, collocato quella speciale tra gli effetti penali della condanna, come sanzione accessoria alle pene principali.
Sanzione accessoria che poteva essere facoltativa od obbligatoria, ma solamente in relazione ai beni strumentali alla commissione del delitto o che ne rappresentassero il profitto, a eccezione di quelli appartenenti a terzi soggetti, estranei al reato, salvo che l’uso o la vendita dei beni costituiva di per sé reato, nel qual caso, la confisca era sempre obbligatoria, anche nei confronti dei beni appartenenti a terzi.

Foto: mostre.sba.unifi.it


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