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Costume e SocietàLetteratura

Monica

Наталина - Solo due mesi d’amore


GRF

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Natalina mi diede l’ultima terna.
«È la data del loro matrimonio» mi disse trepidante.
Girai la manopola come da prassi, prima a destra e poi a sinistra scandendo a voce alta 15, 08 e 60. Spinsi il pulsante nero. Si udì un ticchettio poi si accese la luce verde.
Era giusta!
Uno scatto e la cassaforte si era aperta. Natalina, per abbracciarmi, mi cadde addosso mentre ero chinato a terra sulla cassaforte. Rideva e piangeva allo stesso tempo.
«Ma sei proprio pazza! Stai attenta!»
«Guardiamo cosa c’è – mi disse. – La bag e poi cos’altro?»
Tirai fuori la sacca con i soldi e, accanto a essa, c’erano i gioielli di Carla, belli e preziosissimi, riposti con un ordine maniacale. Erano collane e anelli e bracciali e orologi, i regali di una vita assieme al suo Vittorio, ma non solo: c’erano anche oggetti preziosi, orologi e monili antichi sicuramente appartenuti agli avi di Carla. «Non sono miei – disse Natalina. – È tutto di Lara. Così avrebbe voluto Carla e così sarà.»
Non sembrò interessarsi per niente ai gioielli, che erano tanti e bellissimi, il suo unico interesse era rivolto alla sacca da ginnastica che andò a nascondere nella stanza da letto.
Questa volta non le andai dietro, richiusi la cassaforte della quale ormai sapevamo la combinazione e rimisi a posto il tappeto.
Mi sentivo stanco e stremato come se avessi fatto chissà quale lavoro. Mi sedetti sulla poltrona e la memoria ritornò a quella sera in quel distributore di benzina. Avrei voluto fare solo dieci euro di nafta e invece avevo cambiato la mia vita, definitivamente.
Era ormai sera. Natalina uscì dalla stanza da letto e mi porse dei soldi.
«C’è da fare un po’ di spesa. Non c’è molto nel frigo, ci pensi tu?»
Presi le banconote e le feci un sorriso che voleva trasmettere solidarietà, accondiscendenza e amore.
«Non essere arrabbiato con me. È che sono anche molto preoccupata. Come faremo con Lara?»
«Come vuoi che facciamo? La nascita di una bimba è la cosa più naturale del mondo, vedrai che ce la faremo.»
«Tu e io da soli?»
“Certo – dissi con sicurezza. – Tu e io da soli, senza alcun problema». Schioccai un bacio tenero tenero sulla guancia di Natalina, poi presi il giubbino ed uscii.
Era una bella serata di primavera, anche se un brezzolina leggera proveniente dal mare mi carezzava umida la faccia e il collo. Tirai su il bavero ed entrai nel negozietto tra via Boccetta e Via Latina per prendere un po’ di salumi, un po’ di formaggio, un pezzo di focaccia e qualche fettina di carne nella macelleria accanto.
Se non hai una macchina, a Messina, sei proprio tagliato fuori.
Ed era proprio così che mi sentivo. Avrei dovuto fare una spesa più sostanziosa, ma senza un mezzo mi era quasi impossibile.
Presi le mie buste e mi incamminai verso casa. Incrociai sul mio cammino un negozietto di frutta e presi delle fragole, delle nespole e un po’ di verdura, stavo pensando di passare anche da una gelateria per prendere una vaschetta di gelato ed entrai in un vicolo stretto e già buio a quell’ora che mi avrebbe consentito di accorciare la strada verso casa quando una grossa auto s’infilò a forte velocità nello stretto vicolo. Salii sul gradino di una casa per non essere travolto quando l’auto, con un forte stridio di gomme si fermò. Qualcuno dall’interno aprì uno degli sportelli posteriori e cacciò fuori un grosso involto colorato. Poi ingranò la retromarcia e uscì dal vicolo sempre di gran carriera per reimmettersi in Viale Boccetta.
Mi avvicinai all’involto che si lamentava a tratti debolmente. Era una donna, una bella signora che perdeva sangue abbondantemente da una ferita alla gamba. Aveva il volto tumefatto, un occhio era quasi chiuso e gonfio e aveva pure un profondo taglio sulla guancia sinistra che lei cercava di tamponare con uno straccio sporco.
«Ma che t’hanno fatto?» dissi avvicinandomi alla donna. «Riesci a tirati su? Ti aiuto io!»
Subito dopo aggiunsi: «No, aspetta, adesso chiamiamo un ambulanza, sei messa proprio male!»
«No, por favor! No ambulanza, te lo pregunto» disse la donna con un accento sudamericano.
L’avevo già sentita quella frase qualche mese prima in fondo a Via La Farina, in un’altra lingua, proprio accanto al distributore di benzina, e non era stata di buon auspicio.
«Non ho la macchina ma abito proprio qua vicino. Vieni a casa mia, ti potrò medicare, ce la fai a camminare? Appoggiati pure a me, non ti preoccupare.»
La donna si appoggiò e sapeva di profumo dozzinale, con il quale doveva essersi fatta letteralmente la doccia. Le sue mani sapevano di varechina e il suo alito era quello di una fumatrice incallita, ma mi fece pena mentre, ad ogni passo, si lamentava flebilmente. La presi in braccio arrivati nell’androne di casa e, tra me e me, risi pensando che nel giro di tre mesi, da rampante e arido giornalista d’assalto, mi ero trasformato in una specie di istituzione benefica. Talvolta la vita ti fa degli scherzi che non puoi evitare in nessun modo e riesce a cambiare, tuo malgrado, tutto il tuo essere.
A stento riuscii ad aprire la porta di casa e chiamai a gran voce Natalina, che si precipitò immediatamente per vedere che cosa fosse successo.
«Cos’ha?» mi chiese trepidante. Poi vedendo che la donna aveva i pantaloni inzuppati di sangue, corse a prendere un lenzuolo che stese sul divano della sala.
«Stendila qua e medichiamola subito.»
«Gracias, muchas gracias» Ebbe a dire la donna ferita non appena la stesi sul divano.
«Monica! Sei proprio tu?» esclamò Natalina non appena vide la donna.
«Ma, vi conoscete?»
«Sì, ci conosciamo! Chi è stato? Andrej, vero?» continuò Natalina rivolgendosi a Monica.
La donna fece un gesto di assenso, poi reclinò la testa sul bracciolo del divano, stremata.
Seguii Natalina nella stanza da letto per aiutarla a prendere l’occorrente per medicare la donna.
«Chi è quella donna?»
«Non è una donna – mi rispose Natalina a bassa voce. – È un trans e lavora al porto.»
Non c’erano molte altre domande da fare e avevo capito anche il genere di lavoro che svolgeva la donna.
Tornammo tutti e due in sala. Monica stava con gli occhi chiusi e la testa ancora appoggiata sul bracciolo del divano e si lamentava flebilmente.
Ci demmo da fare per medicare al meglio la donna ferita.
Aveva un profondo squarcio sulla gamba sinistra ma era stata fortunata, perché la coltellata non aveva reciso né la safena ne l’arteria, che si svuotano entrambe, come diceva Hemingway prima di finire un pater noster.

Continua…

Foto: pinterest.it

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Gedac

Redazione

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