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Costume e SocietàLetteratura

Il guardiano del Castello – 2ª parte

Novelle Ioniche


GRF

Di Luisa Totino

L’uomo disse che sarei diventato il custode di quel potere, prendendo quello che era stato il suo posto per tantissimo tempo. Aggiunse, però, che sarei entrato in possesso della clessidra, solo dopo il mio spettacolo, a cui non avrebbero assistito le solite persone. Dopo avermi detto che il mio numero sarebbe stato l’indomani, non feci in tempo a chiedere ulteriori spiegazioni, che già era scomparso sotto il mio sguardo.»
Federico disse a fra Galdino: «Non hai temuto quell’uomo? Poteva essere il Diavolo in persona. Mi vengono i brividi solo a pensarci!»
E Gregorio: «Il patto era solo a voce, niente di scritto. Poteva ingannarti come voleva, sei stato ingenuo ad accettare.»
E fra Galdino: «In quel periodo mi sentivo capace di tutto, e anche fosse stato Satana in persona, avrei accettato qualsiasi cosa, pur di vedere la mia fama aumentare. Ma è proprio all’apice della vanagloria che comprendi le conseguenze delle tue azioni, e io stavo per scoprirlo o, meglio, Dio stava operando per me. Pensai, insieme ai miei amici Febo e Tara, al numero migliore da presentare, peraltro non avrei avuto, come spettatori, persone comuni. Dovevo fare bella figura o non mi sarei guadagnato la clessidra della vita e della morte. Dopo aver concordato tutti i dettagli dello spettacolo, cenammo in una locanda in cui alloggiammo per la notte, dormendo profondamente. La nostra vita, il giorno seguente, sarebbe cambiata completamente, e già pensavo a cosa avrei ottenuto con quella clessidra. Sicuramente i miei guadagni si sarebbero centuplicati. Avrei avuto bisogno di qualcuno che amministrasse il denaro. Avrei allargato i miei spettacoli, con più personale e più animali. Mi avrebbero richiesto fino ai confini della Terra. Povero illuso! Non sapevo che stavo per diventare il più misero degli uomini. Malvagia avidità, che mai ti sazi, e consumi il bello e il buono del cuore, fino a ottenebrarlo nelle tue brame. Comunque, mentre facevo i miei bei pensieri di ingordigia, si era fatta quasi l’ora di andare al Castello. Prendemmo la strada acciottolata che conduceva a esso, oramai non era più abitato da un pezzo. Il locandiere mi aveva avvisato di stare in guardia, perché tante persone non avevano fatto più ritorno dal Castello, dopo esservi entrate, secondo lui era maledetto. Il ponte levatoio era malconcio e scricchiolante, Febo iniziò a ringhiare, non voleva proseguire. I cani hanno un sesto senso, avrei dovuto fidarmi del mio cane, ma, invece, lo presi in braccio e proseguì, con Tara sulla spalla e trainando il carretto con l’occorrente per lo spettacolo. Arrivammo al portone d’entrata, ne mancavano delle parti, sembrava che qualcosa lo avesse danneggiato con degli artigli mostruosi. Entrammo, con molta cautela, chiedendo permesso. Tutto era tetro e pieno di ragnatele. In fondo alla sala risplendeva una luce e ci recammo in quella direzione. Rimanemmo allibiti nel vedere una tavola riccamente imbandita e un camino scoppiettante, per poterci scaldare. Seduto, però, su una poltrona, stava l’uomo con la mantella nera, che ci diede il benvenuto e ci invitò a banchettare, prima dello spettacolo. Non potemmo rifiutare e una volta saziati fummo portati all’aperto, in un piccolo teatro di poche centinaia di posti, e lì fummo invitati a prepararci. C’erano delle quinte, dove ci potemmo cambiare e, una volta pronti, dissi ad alta voce che potevamo iniziare. La voce dell’uomo ci disse che qualsiasi cosa avessi visto dovevo continuare lo spettacolo o avrei perso la clessidra per sempre. Sempre lo stesso, mi disse di iniziare al suono delle campane della Cattedrale che avrebbero scandito la mezzanotte. Le campane, con suono compatto e cupo, suonarono i dodici rintocchi, come a ricordare che era giunta quell’ora, quel tempo, che tutti fuggivano, che tutti temevano. Ogni finestra di ogni casa venne sprangata, iniziò a piovere una pioggia amara, triste e straziante. Guardai i miei compagni di tante avventure, li strinsi a me, e iniziammo lo spettacolo, in un teatro vuoto. Dopo qualche battuta, resa difficile dalla pioggia battente, sentì un respiro profondo e poco umano provenire dal buio degli spalti. Febo ringhiò più forte che poté, io cercai di calmarlo, ma inutilmente. Una voce tetra e inquietante tuonò:
“Perché lo spettacolo si è interrotto? Voglio che tu e i tuoi amici mi facciate divertire, questa sera!”

Continua…

Foto: agrigentonotizie.it


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