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“Sangu” e passione: Fabio Macagnino al Caffè Letterario Mario La Cava


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Di Cristina Caminiti

Da lontano la gente sta aspettando fuori in strada. La porta del Caffè Letterario Mario La Cava è socchiusa e la stanza, intima, tenue, accoglie già decine di persone pronte per lo spettacolo. Alcuni arrivano di fretta unendosi al chiacchiericcio frenetico sparso tra il dentro e il fuori: chi accende una sigaretta, qualcuno ride, qualcun altro si accomoda in prima fila, altri ancora, arrivati all’ultimo momento, sono costretti a rimanere in piedi. Non ci sono più posti a sedere, ma poco importa. C’è Fabio Macagnino di fronte a loro, perciò tutto va bene.
Sì, perché quando Fabio prende la chitarra e si avvicina lentamente al microfono allora tutto si ferma. Il tempo non è rilevante, adesso è la musica a gestire il tempo stesso. Accanto a lui Gabriele Macrì accorda silenziosamente e con arte la sua lira e già si percepisce che l’arcana tradizione del passato si farà largamente spazio nella modernità, si siederà comodamente e travolgerà il pubblico con impeto avvolgendolo nella morbidezza e arroganza insieme delle corde.
Ha inizio il concerto. Fabio dà vita ai suoi scritti con voce calda e forte e no, non è un classico concerto di musica tradizionale calabrese in cui il pubblico si limita ad applaudire, cantare e sorridere, ma l’aria che si respira è quella di familiarità con musica e autore. Quell’atmosfera che si respira nella confidenza tra amici che tra un brano e l’altro si scambiano battute, storie e opinioni sui viaggi, sul proprio territorio, su ciò che di bello c’è nella convivialità della gente del sud. È quasi un simposio, osservando l’immancabile vino accanto al tamburo ai piedi di Macagnino, a richiamare anche il titolo nel suo nuovo lavoro, Sangu, contenitore di suoni tradizionali e urbani, un “album cosmopolita”, come viene definito.
Gli occhi del pubblico non si spostano dalle mani che giocano con le corde della chitarra e della lira, le orecchie sono in direzione dei suoni dei fiati vaganti nella stanza e le espressioni della gente sono un continuo richiamo di piacere e soddisfazione. Le parole dei testi arrivano dirette, a volte fanno sorridere, a volte fanno riflettere, sempre sono veritiere. Ognuno ci si immedesima, tutti sono quelle sillabe. È la calabresità che si mostra con il suo folklore, la sua lingua sacra, i suoi accenti e idiomi cangianti di paese in paese, ma che mette tutti in comune accordo perché “tutti siamo calabresi”.
Questo è Macagnino: l’arte che incontra la gente, che si fa persona, come un istrione che recita in mezzo al pubblico per darsi al pubblico. La vividezza del suo genio non mantiene le ceneri della tradizione, ma ne alimenta continuamente la fiamma.


Gedac

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