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Costume e SocietàLetteratura

Il capannone

La tela del ragno


GRF

Di Francesco Cesare Strangio

Serafino si fece sentire per annunciare il suo arrivo per mercoledì della settimana che doveva entrare. L’iniziativa che i due stavano portando avanti era coperta dal più assoluto segreto onde evitare che altri, molto più forti di loro economicamente, gli infliggessero un sonoro scacco matto.
Puntualmente, mercoledì mattina, Serafino arrivò Košice. Era una splendida giornata del mese di luglio e il faccendiere istriano li aspettava al bar della piazza centrale, dove presero un caffè della miscela che i soci di Aquilino esportavano in Slovacchia. Il gusto era discreto, ma non rasentava la perfezione. La discutibilità del gusto, l’imprenditore l’attribuì alla sbagliata macinazione e alla scorretta pressione della macchina del caffè. Chiese il permesso al barista e prese a regolare il macinino in modo da fare uscire il caffè con una granulometria più sottile.
La macchina del caffè era impeccabile, si trattava della famosa San Marco a pistone: la suprema regina delle macchine da caffè. Ci vollero pochi minuti per regolare la pressione. Ultimata l’alchimia, venne fuori una crema da fare invidia al bar caffè antistante la stazione centrale di Napoli. Dopo aver finito con il caffè, i tre iniziarono a parlare dell’argomento per il quale i due si trovavano a Košice. L’istriano, sulla scorta delle indicazioni fornitegli da Aquilino, prospettò ai due una serie di strutture che apparentemente calzavano a pennello. Il tempo di finire la consumazione e i tre si avviarono, con una Mercedes 2.000 color nero, verso il luogo in cui erano ubicati i capannoni.
Dopo circa quindici minuti arrivarono nella zona industriale e visitarono una serie di capannoni realizzati dal vecchio regime comunista, che si trovavano in ottimo stato di conservazione.
Solo quando ispezionarono la decima struttura trovarono quello che faceva al caso loro: si trattava di un capannone di ultima generazione, realizzato prima della divisione della Cecoslovacchia.
Era un’ottima struttura di acciaio ben lavorato con delle capriate metalliche di ottima manifattura. Le pareti in prefabbricato erano ben strutturate a contenere il caldo e il freddo. Le dimensioni in pianta erano quelle giuste.
I due, valutando attentamente le cose, si resero conto che bastavano poche modifiche per ottenere il massimo della funzionalità. Tra tutte le cose, riservarono particolare attenzione all’impianto idraulico: quanto da loro rilevato si presentava efficiente e in uno stato di ottima conservazione. Nel complesso, bastava che fossero fatte le giuste modifiche e l’intera struttura sarebbe rientrata nei parametri degli standard europei.
Finalmente l’idea di Serafino stava per divenire realtà. Aquilino era visibilmente soddisfatto per come stava andando il programma. Il precorrere i tempi era un buon segnale che portava ottimismo; toccava solo decidere in fretta sul da farsi. Un breve consulto a tre e decisero per l’ultimo dei capannoni della schiera.
L’amico istriano, con poche parole, tracciò la strada che bisognava percorrere per velocizzare l’ottenimento delle varie concessioni. Il giorno dopo i due italiani si recarono dal notaio e costituirono una società con sede a Košice con un capitale sociale, nella moneta locale, equivalente a 20.000.000 di ₤. L’atto notarile costituì l’elemento base affinché l’intermediario si potesse muovere per ottenere la concessione in comodato d’uso del capannone.
Sino allora avevano parlato di tutto meno che del suo onorario. Fu Aquilino a rompere gli indugi chiedendo al faccendiere quanto gli dovevano per la consulenza. L’ammontare della parcella era di 4.000.000 di ₤: tutto sommato si trattava di una cifra ragionevole.
Aquilino, in comune accordo con Serafino, gli diede 2.000.000 come acconto e gli promise che a lavoro ultimato gli avrebbero dato il resto. L’intermediario apprezzò molto la disponibilità dei due, tanto che promise loro che avrebbe anticipato di parecchio i tempi per le concessioni. I due salutarono l’amico e partirono per recarsi a casa.
Durante il viaggio argomentarono tutta l’organizzazione necessaria per attivare l’impianto di produzione. L’istriano, prima di andarsene, aveva consegnato loro una planimetria del capannone con l’ubicazione degli spogliatoi, dei bagni e degli uffici. A Loro restava solo indicare le modifiche da fare, poi i giochi erano fatti.
Un’indagine ricognitiva per stabilire i prezzi di mercato dei mezzi da utilizzare per la distribuzione delle pizze diede esito negativo: erano eccessivi rispetto a quanto si riusciva a trovare nel Bel Paese. Pertanto non avevano altra scelta che acquistare gli automezzi in l’Italia, in quanto venivano a costare la metà.
In base al programma prefissato, i due soci pervennero che per soddisfare la grande distribuzione ci volevano almeno tre camion con una capienza non inferiore a 10.000 pizze. Per le grandi compagnie dei supermercati quella quantità di merce era sufficiente per la sola giornata di sabato.
Le strategie di vendita consigliavano di preparare le pizze con pochi ingredienti base, ognuno poi le avrebbe arricchite come meglio gradiva.

Continua…

Foto: luganoconventions.com


Gedac

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