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Costume e SocietàLetteratura

La fanciulla misteriosa

Novelle Ioniche


GRF

Di Luisa Totino

Gli operai lavoravano alacremente per terminare, in tempo per l’inizio della Primavera, l’imponente area sacra dedicata a Persefone, la Signora degli Inferi, che tanto cara divenne ai locresi, affinché portasse prosperità e feconda vita alla grande città, divenuta oramai un centro abitato ben strutturato e alquanto animato. Di luoghi sacri già ce n’erano ma questo, nella mente di Diomedes, doveva superarli tutti, per grandezza e solennità. Da anni lavorava alla sua idea e, dopo vari tentativi, finalmente il suo progetto venne approvato e poté iniziare i lavori. Molto meticoloso e intransigente, pretendeva la perfezione assoluta, forse perché la stessa non si rispecchiava nel suo fisico e nella sua vita privata. Era stato sposato, una volta, ma la sua consorte preferì a lui un mercante egiziano, con il quale fuggì senza neanche una spiegazione. Non avendo avuto figli, non gli rimase che il suo incessante e ossessivo lavoro, ma anche una salda fede. Da molto tempo, infatti, seguiva il culto alla Regina dell’Ade, di cui aveva approfondito la storia rimanendone affascinato. Forse fu anche uno dei motivi che lo portò alla realizzazione del sacro luogo.
«Avanti, con quei blocchi, saldateli bene! Controllerò centimetro per centimetro se sarà necessario. Dobbiamo terminare per quando avrà inizio la Primavera, il momento in cui Persefone ritorna sulla terra a far rifiorire e rinascere l’intera Natura!»
Akidès, il capo degli operai, si avvicinò a Diomedes e, con capo chino, in segno di rispetto, gli disse: «Gli operai sono stanchi. Nelle ultime due settimane hanno riposato pochissimo e, in alcuni casi, per niente. Il freddo non giova loro. Ti prego, acconsenti a fermare i lavori per una decade di giorni, così possono rifocillarsi e stare con le loro famiglie!»
Diomedes, alla parola “famiglie” s’incupì. Lui, da molto tempo, non aveva più nessuno ad attenderlo, ma non voleva assolutamente che le sue questioni personali incidessero sulla qualità dei lavori.
«Una settimana, non un giorno di più. Siamo molto in ritardo. Dopo questa pausa non concederò neanche un istante, è chiaro?»
Akidès sapeva che non poteva ottenere di più, ma rimase soddisfatto lo stesso.
«Grazie, grazie! Riferirò la sua decisione. Vedrà, dopo il riposo lavoreranno più speditamente. La Signora degli Inferi proteggerà l’operato in suo onore, ne sono più che convinto!»
Detto questo si congedò da Diomedes. Oramai era quasi il tramonto. Il cantiere, pian piano, si svuotò tra l’allegria e i canti degli operai, alla notizia della settimana di riposo. Diomedes, a sentirli, sospirò, e per un attimo si pentì della sua decisione, ma non se ne andò subito, rimase sotto la sua tenda, a sistemare alcuni rotoli del progetto. A un tratto, nel silenzio che si era creato, sentì come una lenta cantilena provenire dall’esterno. Uscì dalla tenda per vedere di cosa si trattasse. Vide un labile bagliore provenire dal centro del Santuario e si avvicinò, rimanendo dietro una colonna per non farsi vedere. Poteva essere qualche ladro, o qualcuno assoldato dal suo antagonista Korus, per rovinargli il lavoro. Niente di tutto ciò. Vide una fanciulla, inginocchiata a terra e con le braccia alzate, che emetteva una lenta nenia, sicuramente un’invocazione, in un linguaggio che Diomedes non aveva mai sentito prima. Ogni volta che terminava di cantare, si prostrava a terra, e ciò lo fece per due o tre volte. Diomedes, allora, decise di avvicinarsi il più cautamente possibile, per non spaventarla, per dirle di andarsene dal suo cantiere. Quando fu abbastanza vicino, le mise una mano sulla spalla delicatamente. La fanciulla, però, si spaventò irrimediabilmente e si ritrasse da Diomedes, cercando di coprirsi il volto con velo del peplo.
«Non volevo spaventarti, non ho cattive intenzioni. Chi sei? Cosa ci fai qui a quest’ora?» Chiese Diomedes e continuò: «I tuoi genitori sanno che sei qui? Saranno preoccupati di non trovarti a casa, lo sai vero?»
La fanciulla, da dietro al velo, rispose: «Non dire nulla, ti prego, Volevo solo chiedere grazia alla dea perché possa farmi rivedere il mio Arethos solo per un giorno. Una disgrazia nefasta me lo ha portato via. Dovevamo sposarci, ma il giorno prima della nostra unione, si ammalò misteriosamente e, nel giro di una notte, morì. Non ho avuto neanche il tempo di dirgli addio.»
La voce si ruppe in un pianto dirotto e straziante. Diomedes, colpito da quelle parole, le disse: «Non preoccuparti, non dirò nulla, ma ora è meglio che tu vada. Farò finta di non averti vista, hai la mia parola».
La fanciulla, trattenendo il pianto, disse: «La mia invocazione non è conclusa. Se tu mi consentissi di ultimarla, la mia richiesta sarebbe completa.»
Diomedes non era convinto di farla procedere, ma non voleva spezzare il cuore di quella fanciulla più di quanto non lo fosse già, e lui di cuori spezzati ne sapeva qualcosa: «Va bene, ma fai in fretta, qualcuno potrebbe accorgersi della nostra presenza fuori orario consentito!»

Continua…

In foto Ritratto di Fanciulla di Ezio Tambini

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