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Costume e Società

La storia del Dottor Fenyves

Nel libro “Gli amici di Moïse” di Alessandro Hoffmann (edito da Kalos nel 2020), a pagina 126, si legge: “La riscoperta di Fenyves in Italia è merito di Domenico Stranieri, giornalista e sindaco”. Riproponiamo, di seguito, l'articolo scritto nel 2013 proprio da Stranieri.


Edil Merici

Di Domenico Stranieri

Nell’estate del 2013 Magda Fenyves Sadalla arriva a Caraffa del Bianco, in un normalissimo pomeriggio di fine primavera. È con la figlia Ines. Ad attenderli non c’è nessuno. Magda si guarda intorno alla ricerca di qualcosa, una via, un volto. Ha una decisa curiosità negli occhi. La prima persona che incontra è Giuseppina Melina e a lei Magda si rivolge con un sorriso: «Salve, sono la figlia del dottor Fenyves, medico qui a Caraffa negli anni ’30. Anche io sono nata a Caraffa e vi ritorno, oggi, dopo ottant’anni.»
Giuseppina aveva sentito parlare di Andrea Fenyves, le aveva raccontato qualcosa persino sua madre, ancora vivente. In un attimo, come accade nelle piccole comunità, il passaparola diventa strumento di richiamo e così, attorno a Magda, si raccoglie quasi l’intero paese.
Sopraggiunge anche Giulio Mezzatesta, figlio del podestà Rocco, del quale Magda conserva tuttora qualche lettera (in una, in particolare, c’è scritto che Andrea presta “ininterrotto servizio con capacità e bravura superiori a ogni apprezzamento”). Poi la visita alla casa natia, con il suo giardino signorile, quasi contigua alla Chiesa San Giuseppe. Le testimonianze degli anziani a questo punto si combinano e prende forma, come in un film, la storia di Fenyves. Un medico amato, ungherese di origine ebraica, di cui non si è perso il ricordo. Ma cosa ci faceva questo professionista in Calabria nel 1930? Proviamo a ricostruire la vicenda, che passa per un paese di collina che disperatamente tenta di conservare la sua memoria storica e finisce dall’altra parte del mondo, esattamente a San Paolo del Brasile.
Fenyves, dopo essersi laureato all’Università di Padova, si reca a Catania per sostenere un concorso. È preparato ed ha un intuito brillante, così supera l’esame che gli consente di svolgere il lavoro tanto desiderato. Nel febbraio del 1930 occupa il posto di medico condotto in provincia di Reggio Calabria, esattamente a Caraffa del Bianco (che dal 1928 al 1945, insieme a Sant’Agata, Casignana e Samo, faceva parte di un unico Comune denominato Samo di Calabria. La sede del palazzo del Municipio, però, era proprio a Caraffa).
Andrea si adatta subito. È conquistato da quell’altura che si affaccia sullo Ionio, dalle gradazioni di colore del panorama che lascia senza respiro. Qui, dove gli abitanti affettuosamente lo chiamano l’Ungherese, a maggio nasce il suo primo figlio, Alessandro.
In paese, per di più, dal 1897 svolge la funzione di sacerdote l’arciprete Domenico Battaglia, un uomo che dà avvio gratuitamente e senza distinzione di classe sociale all’istruzione di molti giovani (che egli ama chiamare discepoli, alla maniera dei filosofi greci). Da questa prima luce che indica la via della conoscenza, negli anni a seguire si conterà un numero impressionante di diplomati e laureati.
La Calabria non è poi una terra così maledetta!
Addirittura, a Caraffa, per aver curato gran parte della popolazione da una sconosciuta malattia tropicale, Fenyves riceve la cittadinanza italiana da parte del regime fascista.
La gente gli riconosce, oltre alle competenze mediche, anche una grande umanità, che lo rende affabile e molto socievole. Scherza con i bambini e ne apprezza i comportamenti vivaci che considera un segno di buona salute.
Nell’aprile del 1933 nasce Magda, la seconda figlia.
Andrea non pensa di lasciare la Calabria: ha trovato un suo spazio, si sente utile e fortemente motivato. Ma d’improvviso e per molti mesi non percepisce più lo stipendio. La sua condizione diviene esasperante così, a malincuore, la famiglia Fenyves è obbligata a trasferirsi nei pressi di Fiume, a Clana.
Pure qui Andrea è stimato e svolge con passione il proprio lavoro. Ma anche in questo luogo, dopo qualche anno, la situazione muta.
Ecco come Magda, nel suo libro (Camminando con i piedi per terra e gli occhi al cielo) descrive i fatti:

Mio padre lavorava come medico nella piccola città di Clana, nel Nord Italia, vicino Fiume (oggi Rijeka, Croazia). Era molto amato dalla gente, poiché era un professionista che si dedicava ai suoi pazienti, un vero medico di famiglia. Non si interessava di politica, anzi, era totalmente contro il fascismo. Il sindaco della città invidiava il prestigio di Andrea (così immagino…) ed escogitò un piano per danneggiarlo. Fu in questo contesto che si scoprì la sua ascendenza ebraica. Mio nonno, che abitava a Budapest (Ungheria) era ebreo, ma mio padre si era già convertito al cattolicesimo, si era sposato in chiesa e sia io sia mio fratello eravamo stati battezzati.
Fatto sta che un bel giorno, mentre tutti e quattro pranzavamo, alcuni poliziotti armati irruppero in casa nostra e, senza nessuna spiegazione, portarono via nostro padre come se fosse un criminale incallito. Fu una vera tragedia! […] Mia madre cercò aiuto presso i vicini, gli amici, ma la paura è qualcosa di potente e tutti ne erano dominati, anche a causa dello slogan che diceva: “chiunque aiuterà un ebreo sarà considerato nemico della patria e come tale ne subirà le conseguenze”.

La vita della famiglia Fenyves, dunque, è sconvolta d’improvviso, e il bravo medico si trova richiuso nel campo di concentramento di Notaresco (TE). È il giugno del 1940 e Andrea è il nº 129 della lista degli ebrei apolidi. Ma, fortunatamente, questa triste esperienza si conclude dopo sette mesi.
È ancora Magda a raccontare come fu liberato suo padre:

Il parroco di Clana (che peccato non sapere il suo nome!) non lesinava sacrifici per il nostro sostentamento e per tenere accesa la nostra speranza. E così riuscì a fissare un colloquio con un Cardinale in Vaticano e a prendere un treno per Roma insieme a mia madre.

Nel gennaio del 1941, grazie all’intercessione di Pio XII, Andrea fu rimesso in libertà e con la sua famiglia fu ospitato nel Convento di Santa Brigida, sino a quando non arrivarono i passaporti ed il Brasile divenne la sua nuova patria.
Negli anni, sotto il sole dell’America del Sud, Andrea ha sempre parlato delle assolate giornate calabresi, di quel paesino che per il mondo appariva quasi sperduto ma per lui era un piccolo universo. Se non lo avesse lasciato, probabilmente, non sarebbe mai andato in un campo di concentramento anche se, al di là di tutto, a Notaresco poteva finire pure peggio.
Fenyves è morto il 15 marzo del 1980, tra l’affetto dei suoi cari, dopo aver guarito migliaia di persone che, a lui, rimasero benevolmente legate.
A San Paolo, per i famigliari, rappresenta ancora un modello etico di riferimento, un esempio comportamentale da seguire. E di quel medico innamorato della Calabria, ai giovani ne parla soprattutto Magda.
Lei che, partita all’età di otto mesi, ha sempre pensato che un giorno sarebbe ritornata Caraffa. Lei che, dopo ottant’anni, a Caraffa ci è ritornata davvero.

Originariamente pubblicato su domenicostranieri.com


Gedac

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