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Costume e SocietàLetteratura

Il Mito di Minerva

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Tutti i Miti Greci nascondono delle verità storiche. E l’affermazione che, dopo i Greci non sia stato inventato più nulla, trova nel mito di Minerva un’ulteriore conferma. Perché il mito va letto fuor di metafora.
Zaleuco, si dice, ebbe dalla stessa Dea Minerva l’ispirazione delle leggi di Locri. Ogni mito ha una sua verità indiscutibile, che è bene trovare. La prima è la similitudine tra Zaleuco e Mosè. Quest’ultimo ebbe le tavole da Dio. La conseguenza è che l’autorità e l’indiscutibilità delle stesse nasce dalla loro origine divina. D’altronde, Licurgo le ebbe da Apollo. Lo stesso Aristotele dimostra di credervi, se sosteneva “che quando essi (i Locresi) domandarono al Dio come avrebbero potuto liberarsi dal grande disordine interno, il responso oracolare fu che dovevano darsi delle leggi, e dal momento che un pastore, in grado di introdurre molte leggi eccellenti per i cittadini, fu riconosciuto e interrogato circa il luogo dove le avesse trovate, questi rispose che in sogno le era apparsa Atena. Fu reso perciò libero e designato come legislatore.”L’astrusa e apodittica affermazione di cui sopra va chiarita: il Dio è Apollo e la visita è al Santuario di Delfi (responso oracolare); non è ammissibile equiparare un pastore a uno schiavo. Invero, con il termine Pastore si indicava il Basileus (colui che cammina avanti, che indica il percorso),non diversamente dal Pastore che segna il cammino del gregge. La domanda dove avesse trovato le leggi indica che si presupponevano viaggi; infine, è chiaro che il pastore/schiavo sapeva leggere e scrivere.
Non diversamente, a Sparta, Apollo patrocinava le leggi, in quanto Dio/Sole. Come, d’altronde, per Hammurabi che guarda il Dio Sole per avere l’approvazione sulle sue leggi, per le quali poi riceve lo scettro di Re.
Anche, a dire il vero, Mosè non ricevette alcuna tavola con le leggi. Nell’Esodo, 20,1, così si recita: “Jwh allora pronunziò tutte queste parole.Nient’altro. Mosè li tenne a memoria e li riferì al suo Popolo. Il mito delle tavole è inventato.
Per Mosè ancora oggi le sue regole hanno vita. Per Zaleuco le norme non sono state riformate per oltre 200 anni, tranne forse un’eccezione. Per l’uno e per l’altro lo stesso fondamento. Nessuno può discutere ciò che proviene dalla Divinità: Dio per Mosè; Minerva, dea della Giustizia, per Zaleuco; Apollo per Licurgo e Hammurabi.
Questa concezione dura ancora oggi. Sicuramente sino al tempo dell’Unità d’Italia se Giuseppe Mazzini chiosava che“L’origine dei vostri doveri sta in Dio, la definizione dei vostri doveri sta nella legge”.Ma sul mito di Minerva occorre dedurre un altro principio di civiltà giuridica ancora oggi valido e indiscutibile.
Si diceva, presso i Greci, che quando Minerva presiedeva un collegio di tre Giudici e uno di essi si schierava per l’innocenza e l’altro per la colpevolezza, la Dea sempre si schierava per l’innocenza. Il principio non è dissimile da quello della Costituzione americana, per la quale nessuno è colpevole se la sua colpevolezza non viene dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio. Anche a Locri, seppure non vi fosse alcun giudizio collegiale (a meno di non assimilare la Bolà alla Gerusia, che giudicava in forma collegiale, cosa senza alcuna prova), se non vi era certezza sulla colpevolezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, obbligatoria era l’assoluzione.
Una giuria americana che non vota all’unanimità sulla colpevolezza dell’imputato, lasciando poi al Giudice la quantificazione della pena, provoca non il proscioglimento dell’imputato, ma la sua mancata condanna. Il procuratore che procede dovrà cercare altre e più convincenti prove e portare nuovamente a giudizio l’imputato scampato, giustamente o meno, alle tenaglie del processo.
Il concetto viene racchiuso bene nella locuzione sul voto di Minerva. La locuzione, di origine ellenica, si riferisce al voto di Atena nel processo contro Oreste, reo di matricidio, che era stato giudicato colpevole dalla metà dei giurati del tribunale dell’Areopago. L’Areopago (“Collina di Ares”) è una delle colline di Atene situata tra l’Agorà e l’Acropoli, così chiamata da Ares, il primo omicida della storia greca. Nell’occasione, il voto di Atena ha determinato l’assoluzione di Oreste, per come racconta Eschilo ne Le Eumenidi. La pietra bianca di Minerva, ossia il voto decisivo in un organo collegiale che fosse in stallo per parità di voti su una proposta equamente approvata ed avversata dal medesimo numero di componenti, servì per l’assoluzione, sulla base del principio che se dei Giudici non erano convinti della colpevolezza dell’imputato, ciò aveva in sé il principio del dubbio sulla colpevolezza. Si votava all’epoca con pietre di due colori, una nera l’altra bianca; la prima deponeva per la colpevolezza, la seconda per l’innocenza: il voto di Minerva fu sancito con una pietra bianca.
Il mito, per come sopra raccontato, soffre di una influenza tardo ateniese, quando a giudicare era una giuria popolare, che si pronunciava con il sistema della pietra nera (colpevolezza) e della pietra bianca (innocenza). Spettava poi al giudice irrorare la pena, secondo le sue vedute, avendo, si diceva, in sé la conoscenza (autognotoi).
Va fatta al riguardo un’ulteriore considerazione. Il mito di Minerva, detta anche Atena, da cui il nome della principale polis greca, è più complesso. L’omicidio di Oreste doveva essere giudicato dalle Erinni o Furie, perché un omicidio domestico. Appena Oreste si ripara nell’Areopago e si pone la necessità di un giudizio e di una punizione, vi è disparità di opinioni tra Erinni e Dèi giovani.Per evitare lo scontro, viene dato incarico alla Dea di procedere alla formazione di un Tribunale di gente libera per il giudizio. Il Tribunale si divide in due parti uguali ed il voto di Atena/Minerva è per l’innocenza. Per calmare l’ira delle Furie Atena/Minerva amplia il ruolo delle Erinni, che dovranno da quel momento giudicare su tutti i fatti riguardanti la polis.
Non sembri eccessivo, ma da questo Mito nasce anche il Principio della Terzietà del Giudice.
Dal mito due conseguenze che sono il presupposto delle leggi penali odierne:

  1. La presunzione di innocenza dell’imputato;
  2. L’eliminazione della vendetta privata come forma di sanzione.

In questo caso, fuor di metafora, dopo il giudizio di Oreste, il mutamento dei poteri delle Erinni implica la volontà di elidere la vendetta privata e di affidare alla polis il giudizio per i fatti delittuosi a un Giudice Terzo. Il potere delle Erinni non è più limitato ai delitti all’interno della famiglia, ma a tutti i delitti per i quali vigeva anche il concetto di faida, di giustizia diretta. Infine, le Erinni erano tre: dunque occorreva un giudizio collegiale.
La locuzione Voto di Minerva, altro non è che la traduzione latina dell’Athenas psephos, il coccio che il presidente deponeva per ultimo nell’urna dei Cinquecento, che era l’organo legislativo nella Costituzione di Clistene, che tra l’altro esercitava anche la funzione giurisdizionale.
Solo per un più accurato approfondimento dei termini si precisa che il termine latino psephos corrisponde al greco “sassolino” ma anche “voto”, dato che si utilizzavano dei sassolini per esprimere il voto.

Foto di Andrea Mantegna


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