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Costume e SocietàLetteratura

L’ultima volta che Aquilino vide Bobbo

La tela del ragno

Di Francesco Cesare Strangio

Aquilino si trovava da solo a lottare su più fronti, ma il più tragico e pericoloso era quello sorto nella mattinata.
Fino a pochi giorni prima tutto girava alla grande; da quando era arrivata la notizia del mandato d’arresto di Serafino, il vento aveva di colpo cambiato direzione, colpendo le fragili vele del vascello dei due italiani.
Bobbo gli confermò di essersi opposto all’ingresso della droga a Košice: per lui andavano bene tutti gli affari di questo mondo, ma non quello, poiché avrebbe annientato la gioventù della città, compromettendo le sorti del futuro. Continuò lamentandosi del comportamento di certi uomini a quali, pur di arricchirsi non frega nulla di portare alla rovina un’intera generazione.
«Si stava meglio quando c’era il comunismo!» esclamò Bobbo.
Prima di andarsene rincuorò l’amico dicendogli che le cose si sarebbero senz’altro sistemate.
Aquilino proveniva dalla terra delle tragedie, in cui l’inganno era il pane quotidiano: si diceva una cosa e nel frattempo se ne strutturava un’altra.
Mentre Bobbo stava per uscire, Aquilino si ricordò di una vecchia storia risalente al VII secolo prima della nascita di Cristo. Avvertendo il bisogno di raccontargli l’accaduto, poiché riteneva che contenesse un messaggio valido per tutte le epoche, pregò l’amico di prestargli la dovuta attenzione per una decina di minuti.
Bobbo si rimise a sedere e l’amico riempì nuovamente i due bicchieri di whiskey, poi prese a raccontare: «Tutto avvenne nei pressi dell’antica Locri, Mare Ionio, a circa metà strada tra Catanzaro e Reggio Calabria. Quando incominciò l’emigrazione dei greci verso le nuove terre del Mediterraneo, quel popolo occupò le aree che presentavano le giuste caratteristiche per prosperare in santa pace. Non sempre trovarono terre che non fossero già occupate da altre popolazioni. Che cosa successe quando gli interessi dei primi cozzarono con quelli dei nuovi arrivati? Come al solito, si stava scivolando sul terreno paludoso di una guerra cruenta. I colonizzatori chiesero un incontro chiarificatore, atto a suggellare la pace tra le due etnie. A quei tempi la pace veniva siglata con il giuramento davanti agli dei. I nuovi arrivati su quelle terre giurarono solennemente che, finché avessero portato le teste sopra le spalle e i loro piedi fossero stati sulla terra, non ci sarebbe stata mai guerra tra i due popoli. A quei tempi era usanza, una volta concordata la pace, fare una grande festa. Bevvero abbondantemente del frutto della vite; i colonizzatori stettero bene attenti a non ubriacarsi. A notte fonda, quando la gente del luogo era ormai vinta dai fumi dell’alcol e dal sonno, i greci buttarono le teste di aglio che portavano nella bisaccia posta sopra le spalle, tolsero la terra che avevano messo tra i loro piedi e i calzari e poi, liberi dal giuramento prestato al cospetto degli dei, trucidarono gli avversari.»
Bobbo annuì, come se avesse capito il messaggio, e ringraziò l’amico per l’avvertimento.
Un paio di giorni dopo, Aquilino incontrò Bobbo e alla domanda se avesse visto Igor, rispose di averlo incontrato e di avergli riconfermato il proprio dissenso all’introduzione della droga in Slovacchia. Quelle parole suonarono per l’italiano come una campana a morto. Quella triste vicenda stava per arrivare al suo apogeo.
Tre sere dopo, al solito bar, Bobbo informò Aquilino di un incontro che si sarebbe tenuto presso il ristorante in cui di solito andavano a cenare.
Quando stavano per salutarsi, l’italiano disse: «La cosa mi puzza d’inganno. A ogni modo ti consiglio di tenere presente la storia della pace tra gli indigeni e i coloni greci.»
Bobbo lo salutò ridendo e lo rassicurò dicendo: «Non andrò da solo, all’appuntamento, sarò bene scortato dai miei amici». L’eccesso di tranquillità che traspariva da Bobbo fece crescere la preoccupazione in Aquilino, giacché “in tutti i manicomi vi sono matti posseduti da tante certezze.”
Fra gli infiniti pensieri che si riproposero al cosciente Aquilino ci furono i grandi misfatti della storia: stranamente tutte le vittime, almeno all’apparenza, prima di essere trucidate si dimostrarono serene e sicure di sé.
Quella fu l’ultima volta che Aquilino vide Bobbo.
Arrivò la sera e quella che seguì non fu una buona nottata, per Aquilino. Messosi a letto, in poco tempo il sonno gli rapì il cosciente facendolo precipitare nella dimensione abissale della follia. Durante la notte si alzò più volte per andare in bagno a urinare e, non appena si rimetteva a letto, quasi subito, cadeva prigioniero del sonno. Puntualmente, dalle profonde e tormentate nebbie dell’irragionevolezza si faceva spazio il viso di Mefistofele per poi, passando attraverso un lento e costante processo di metamorfosi kafkiana, assumere i lineamenti di Igor.
Le ore di quella notte andarono via spinte da un vento di morte; così come Cesare, accecato dal fato fu Bobbo che non diede il giusto peso alle raccomandazioni di Aquilino.
Alle ore 21 della sera successiva quattro professionisti, con buona probabilità uomini dei servizi segreti, giustiziarono, con un colpo d’arma da fuoco alla nuca, i due amici di Bobbo che stavano di guardia fuori dal ristorante, mentre altri due facevano irruzione dentro il locale e, con i micidiali fucili d’assalto AK-47, meglio conosciuti come Kalashnikov, trucidarono Bobbo.

Continua…

Foto: oggicronaca.it


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