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Costume e Società

Quadri di una esposizione


Edil Merici

Di Mario Staglianò

Chiameremo regime dell’informazione la forma di dominio propria del capitalismo nei suoi esiti estremi e attuali. Dal Panopticon agli Apple Store, dalla sorveglianza e dalla repressione inflessibilmente esercitate sui corpi all’affermazione della libertà e della creatività più assolute promesse, in un gioco illusorio, dal multiverso digitale. Il regime dell’informazione è quella forma di dominio nella quale l’informazione e la sua diffusione determinano in maniera specifica e decisiva, attraverso algoritmi e Intelligenza Artificiale, i processi sociali, economici e politici. Sono quindi le tecnologie digitali a fare la differenza specifica rispetto al passato.
Nella società dell’informazione gli ambienti isolati e chiusi propri del regime disciplinare analizzato da Foucault si dissolvono in reti aperte in cui gli esseri umani non si sentono sorvegliati ma liberi. Paradossalmente è proprio il senso di libertà a garantire il dominio che si compie nel momento in cui libertà e sorveglianza coincidono. Perché gli esseri umani possano essere asserviti è necessario che si sentano liberi, il più possibile liberi, assolutamente liberi. Ecco allora il passaggio dal Panopticon foucaultiano ai cristalli trasparenti del flagship store della Apple a New York, un cubo di vetro, un tempio della trasparenza. Gli individui non sono più costretti ad alcuna visibilità panoptica. Sono essi stessi, invece, a mostrarsi continuamente, incessantemente, compulsivamente, in un continuum in cui la navigazione sulla rete produce dati, l’acquisizione di dati genera profitti e i profitti confermano un ordine economico e sociale segnato dal persistente dominio del capitale. Più i singoli si espongono in esibizioni in cui sono indotti a sentirsi liberi e creativi più diventano, al contrario, controllabili e sfruttabili. Producono se stessi, vale a dire, inscenano se stessi. Si espongono volontariamente alla luce dei riflettori, la bramano, mentre i detenuti del Panopticon cercano di sfuggirle. Tutto è apparentemente in chiaro nel mondo nuovo. La prigione digitale è translucida: il cubo di vetro della Apple suggerisce libertà e comunicazione senza limiti. Ma è un gioco truccato.
Quali gli effetti di tutto ciò?Innanzitutto sul piano della tenuta delle democrazie liberali. Le pratiche e gli assetti istituzionali propri delle democrazie liberali hanno accompagnato e sostenuto la nascita e lo sviluppo del capitalismo. Quello stesso capitalismo che invece ora, nei suoi esiti ipermoderni, liquida in maniera brutale l’impalcatura che lo ha sorretto per sostituirla con un ordine persino più totalitario di tutti i totalitarismi novecenteschi, persino più opprimente degli universi concentrazionari immaginati da George Orwell in 1984 e da Aldous Huxley nel Mondo nuovo.
Nell’era dei media digitali la dimensione dialogica della comunicazione viene sostituita da un processo di diffusione virale dell’informazione che non solo cancella, come già avveniva nell’era della televisione, le procedure razionali di valutazione e di scelta attraverso le quali si produceva l’opinione pubblica ma, molto più radicalmente, annulla i rapporti dell’informazione con la realtà dei fatti. Argomentazioni e giustificazioni non possono essere veicolate da tweet o da meme. La coerenza logica che contrassegna il discorso è estranea ai media virali. Le informazioni hanno una propria verità al di là di verità e menzogna. Anche le notizie farlocche sono soprattutto informazioni. Esse hanno esercitato il loro pieno effetto già prima che abbia inizio un processo di verifica.
I media digitali cancellano l’impulso alla verità e lo fanno attraverso un procedimento di de- fattualizzazione dell’informazione che espelle dalla comunicazione qualsiasi riferimento alla realtà dei fatti. Verità e menzogna stanno sullo stesso piano. Sono, entrambe, informazione; hanno, entrambe, la stessa dignità di informazione. Nel mondo della comunicazione digitale il fine non è, come nella sfera dell’opinione pubblica borghese, l’attivazione di una procedura condivisa di valutazione dei fatti. E nemmeno è, come nell’universo dei mezzi di comunicazione di massa segnato dal predominio della televisione, l’orientamento unidirezionale di masse passive da parte delle élites del potere. Il fine è, invece, la messa al lavoro di individui isolati in un processo in cui profitto e, insieme, controllo sociale, sono garantiti dalla continua, virale, circolazione di dati attraverso la continua produzione di sé cui i fruitori dei social sono condannati.
Siamo davvero consapevoli di quanto stiamo affidando alla Rete? Mentre pensiamo di essere liberi siamo intrappolati in una caverna digitale. Così accade che ci siamo abituati a vedere la Rete, i social, la possibilità di svelare misteri e conoscere ogni singolo evento come un vantaggio, un modo per non dover fare i conti né con il tempo né con l’abilità nel formulare discorsi tipica e necessaria in una democrazia. Siamo davvero sicuri di aver compreso a cosa stiamo andando incontro nell’affidarci così tanto a un mondo fittizio e aproblematico?

Foto di Jorge Láscar from Australia


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