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Attualità

La malattia della lettura e la pretesa di cambiare il mondo

Pensieri, parole, opere… e opinioni


Edil Merici

La passione per la lettura è una malattia e ve lo dice una persona ne soffre di una forma piuttosto acuta. La necessità di posizionare a intervalli regolare delle parole davanti agli occhi per un banale stimolo di endorfina, alla lunga, può rivelarsi dannoso per la vista e per la schiena e l’acquisto di quella cura palliativa che comunemente chiamiamo libro per poter trattare la patologia risulta spesso assai onerosa.
Ma la lettura può rivelarsi dannosa in tanti modi. Filippo Bernardini, 29enne londinese di chiare origini italiane, per amore della lettura è finito persino nella lista dei più ricercati dal Federal Bureau of Investigations. Responsabile della compravendita dei diritti esteri presso la casa editrice Simon & Schuster, infatti, aveva ideato un’ingegnosa frode informatica che gli aveva permesso di avere tra le mani, mesi prima che venissero pubblicate, le bozze definitive di tantissimi romanzi successivamente rivelatisi successi internazionali. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tuttavia, scopo finale di Bernardini non era immettere sul mercato nero i manoscritti e potersi così arricchire, ma poterli semplicemente leggere. Per lui, la passione… pardon, la malattia della lettura valeva la candela della privazione della libertà.
In un Paese come il nostro, in cui legge regolarmente solo il 39% della popolazione e, di questa quota, solo il 44% va oltre i tre libri l’anno, non mi stupisce affatto, né mi sento di fargliene una colpa, che una personalità istituzionale, in virtù anche dei molti impegni che certamente affolleranno la sua agenda, non appartenga al novero dei cosiddetti lettori forti (quelli, cioè, che leggono tra i 6 e i 20 libri all’anno). Insomma, in una conversazione tra amici avrei trovato del tutto legittima e anzi degna di lode la frase del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano «Ho ascoltato le storie che sono espresse in nei libri finalisti [del Premio Strega] e sono tutte storie che ti prendono e ti fanno riflettere. Ecco… proverò a leggerli.» Però Sangiuliano questa frase non l’ha pronunciata durante una conversazione tra amici, ma proprio durante la cerimonia di premiazione degli Oscar della letteratura italiana, alla quale partecipava non come semplice ospite, ma come giurato votante. Che io sappia il regolamento del Premio Strega (a proposito, ha vinto Come d’aria di Ada Adamo, edito da Elliot) prevede che i libri finalisti debbano essere letti per poter esprimere il voto su un romanzo che dovrebbe risultare rappresentativo della cultura del nostro Paese anche all’estero, una tema che sappiamo essere molto caro al Governo Meloni di cui Sangiuliano è longa manus.
Le domande che hanno affollato la mente di presenti e spettatori dopo la dichiarazione del ministro devono essere state tantissime e sono sicuramente le stesse che hanno mandato in black out (osservare la foto di copertina per credere) per qualche istante la povera Geppi Cucciari, chiamata a presentare la serata e, soprattutto, a cercare di uscire da un’impasse socio-televisiva tremendamente delicata. Superato l’imbarazzo e le giustificazioni di circostanza, Sangiuliano ha poi cercato di mettere una pezza dichiarando che le sue dichiarazioni erano state travisate, una giustificazione che lascia il tempo che trova in virtù del fatto che (un ammalato di lettura lo sa) quella pronunciata in diretta televisiva non era sembrata una frase dai significati reconditi o aperta a pindariche interpretazioni.
Non ho la pretesa di soppesare il valore di una persona (nemmeno di un ministro, nemmeno se della cultura) sulla base delle sue letture, ma mi sento di rigirare il consiglio che lo stesso Sangiuliano aveva sacrosantamente espresso prima della sua uscita infelice: «Voglio dire di leggere, che è una cosa fondamentale, molto bella, che ti arricchisce, che ti fa vivere dei momenti esistenziali», una cosa che aveva capito a suo tempo anche uno degli autori che più stimo, Philip K. Dick che, ne L’uomo nell’alto castello (a cui continuo a preferire il titolo della prima edizione italiana, La svastica sul sole), in cui immaginava un’America degli anni 60 governata dai Giapponesi e dai Nazisti che avevano vinto la Seconda Guerra Mondiale, fa trovare ai propri protagonisti la forza di cambiare proprio tra le pagine di due libri. Si tratta, nell’ordine del vero Il libro dei mutamenti (o I Ching), testo cinese risalente a 5.000 anni fa che attraverso un sistema di calcolo particolare è in grado di dare dei responsi sulle domande che turbano la nostra esistenza, e il volume immaginario La locusta si trascinerà a stento che, nella finzione letteraria, è un libro proibito che immagina invece che cosa sarebbe accaduto se la Seconda Guerra Mondiale fosse stata vinta dagli Alleati, descrivendo, di fatto, la storia così come si è veramente verificata.
Un gioco di letture e di interpretazioni che convince i personaggi che si muovono sulla scena che lo scacco delle potenze totalitarie che si sono divise il mondo non sia ancora matto e che un mondo migliore si trovi dietro l’angolo o, magari, nelle saldature quasi invisibili del gioiello ideato da un ebreo. Perché leggere, come devo in apertura, è una malattia, sì, ma di quelle malattie che, quando impari a conviverci, ti possono aiutare a vivere meglio o, perché no, a cambiare il mondo…


GRF

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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