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Costume e Società

U cani du buccieri, lordu i sangu e morti i fami!*


Edil Merici

Di Frana

*detto della ionica caalabrese: “Il cane del macellaio, sporco di sangue e morto di fame”

Nelle varie vicissitudini della vita (imperdonabile in professioni come, ad esempio, quella del medico, del giudice, dell’ingegnere) capita di esporsi in giudizi fondati sull’esteriorità che alla fine non corrispondono al vero, traendo in errore, a causa della tendenza dell’uomo a dedurre a priori la causa della conseguenza.Ma anche la Bibbia insegna a evitare di giudicare gli esseri viventi, uomini o animali che siano, in modo critico o condannatorio, e trattarli con umiltà, compassione, amore e gentilezza, affinché il condannate non sia più colpevole del giudicato.La nostra storia tratta di un cane particolare, u cani du bucceri, randagio, magro e malandato, che ha deciso di vivere all’uscio della porta di quella macelleria poco sofisticata frequente negli anni’50 e che ancor oggi si può trovare in alcuni paesini dell’entroterra ionico calabrese.È lui (il cane) che si è scelto il suo padrone e, d’altronde, al macellaio ciò non arreca neanche fastidio perché l’animale è educato e mansueto, non si permette di entrare in negozio e non pretende mai niente.È lì, batte da lontano la coda in segno di benvenuto ai clienti in arrivo, che ormai lo conoscono e non lo temono, tanti lo commiserano meditando sul fatto che nei paradisi si entra per favoritismo ma che, se si entrasse per merito, lui resterebbe fuori e che quel cane entrerebbe al posto tuo.Nei ricordi del cani du bucceri riaffiora la sua venuta al mondo quando la povera madre gli disse «d’ora in avanti, se riuscirai a sopravvivere, la tua sarà una vita da cane» frase che non riuscì mai a comprendere veramente dal momento che lui era già un cane… forse sarebbe diventato un cane ricco, da camera, da caccia, da pastore… ma col tempo capì cosa voleva trasmettergli la madre.Speranzoso, aspettava che accadesse qualcosa di possibile, di fattibile, di vero, perché puntare all’impossibile gli avrebbe dato solo delusioni.Eppure si illumina di immenso quando a fine giornata il bucciere, prima di chiudere, pulisce l’ambiente e getta via il secchio con l’acqua rossa di sangue del lavaggio delle carni: lui, scodinzolando, gli si mette davanti, ma il padrone incurante la butta via colpendolo e bagnandolo. All’arrivo di quel liquido sporco è comunque ugualmente contento perché spera di trovare qualche rimasuglio di cibo che lo ripaghi del lavoro della giornata ma, quasi sempre, va male e va a dormire a stomaco vuoto pensando mestamente “domani andrà meglio…”.Non ha un nome, non è molto curato nell’igiene ma la notte, come può, rimane lì a fare la guardia alla macelleria gratuitamente.Arriva l‘indomani l’orario di apertura, vede passare le persone e arrivare i clienti che guarda con occhi improntati a mestizia.Porta un collare arrangiatogli dal macellaio da una sua vecchia cintura, ma quella striscia di cuoio usurata lo rende orgoglioso, perché gli fa credere di appartenere a qualcuno e di avere uno scopo nella vita.La libertà individuale è la maggiore benedizione per un uomo, ma per quel cane era l’ultima parola della disperazione.A quel cane non interessava se il suo padrone è ricco o povero, brillante o imbranato, intelligente o stupido e sa che anche se il macellaio gli ha dato soltanto un briciolo del suo cuore, lui ricambierà dandogli tutto il suo.Di quante persone il bucciere poteva dire lo stesso? Quante persone lo potevano fare sentire unico, puro, speciale? Quante persone lo potevano fare sentire straordinario? Questo malandato cane sì! Lui sapeva ascoltare, e sapeva persino leggere. Non i libri, quelli erano capaci tutti tranne lui, ma sapeva leggere il cuore dell’uomo. Lui era u cani du bucceri… malato di quella riconoscenza che non poteva trasmettere al suo padrone che, in ogni caso, avrebbe potuto contare su un amico sempre migliore anche se fosse caduto in disgrazia.Difatti, i clienti che frequentavano la macelleria non erano tutti uguali: alcuni lo scacciavano in malo modo, altri non se ne curavano per niente come se non esistesse, altri ancora, più sensibili, magari gli concedevano un ciao.Quel cane del macellaio amava i bambini perché nella loro purezza li sentiva vicini, loro spesso cercavano di dargli qualcosa da mangiare ma le mamme, perentoriamente, li allontanavano dal quel cagnaccio sporco, senza nome e né pedigree.Non mancavano i clienti che si lamentavano col macellaio per la presenza di quel cane proprio vicino al negozio.A tal uopo il macellaio cercava di giustificarsi «Si mette sempre qui ma è innocuo…» lo sgridava facendo finta di allontanarlo perché gli era affezionato e aveva pietà per l’animale, in fondo era un suo amico ma mai ammesso nel negozio, a differenza di tante persone che erano in realtà veramente lupi invitati caldamente a entrare in macelleria. Comprendeva, ma la cosa lo rattristava tanto e lo mortificava principalmente quando qualche cliente entrava con il proprio cane: lui no, non era della noblesse dei cani ma miseramente un ultimo della Terra.Un giorno, una di queste famiglie bene con figlioletto e cagnolino entrarono in bucceria e chiesero un pezzo di filetto che il macellaio teneva attaccato alla parete laterale del negozio. Quando andò a prenderlo la carne non la vide più e rivolgendo minaccioso lo sguardo verso di lui, arrabbiatissimo, andò a rincorrerlo con un coltellaccio in mano. In quell’occasione venne salvato dal bambino che disse al padre: «ma vedi che la carne l’ha mangiata il nostro cane non quel cane di nessuno». Il macellaio sentì il fatto e si calmò, ma il nostro il nostro amico passò un brutto quarto d’ora.Negli altri cani randagi, addirittura, nasceva anche l’invidia, perché lo considerano un privilegiato che poteva mangiare abbondantemente con tutto quel pelo imbrattato di rosso di carne: non sapevano che, purtroppo, era tutta apparenza.Ogni tanto il macellaio gli inviava un fischio di chiamata per dargli qualcosa ed era la musica più bella della sua vita, non solo perché finalmente mangiava, ma perché qualcuno si era ricordato di lui, nel suo spazio senza tempo in cui non poteva misurare la vita in amarezze o gioie, successi o fallimenti.Eppure a quel fischio viveva cent’anni in un giorno.Come ogni stagione arrivava il periodo dell’accoppiamento di cui nella sua misera condizione avrebbe volentieri fatto a meno, ma la natura lo comandava sapendo che come ogni anno sarebbe tornato sconfitto, non in grado di competere né esteticamente e né fisicamente con gli altri cani. Tant’è che in ogni stagione dell’amore raramente combinava qualcosa, riuscendo solo ad arrangiare morsi e ferite: nella sua mente la speranza che il periodo passasse in fretta, non faceva per lui!Nel via vai dei clienti sentiva qualcuno rammaricarsi della propria esistenza ed esclamare «una vita da cane!» E il cane non se ne dava una ragione, domandandosi “perché gli uomini dovrebbero fare una vita come la mia?”Vi era un tale a cui recriminavano di non avere mai corso in tutta la sua vita da cane, o l’altro che preferiva la vita da cane usuraio piuttosto che la morte, oppure un uomo che aveva assassinato la propria donna perché ,dopo avere sacrificato tutto per lei, gli faceva fare una vita da cane. Il giorno prima un signore molto malato si rivolgeva al figlio che, ormai grande, non riusciva a mettere la testa a posto: «tra non molto darò l’anima a Dio e Lui sa che ho fatto di tutto per garantirti una vita da uomo, ma credo che in futuro ti tocchi una vita da cane.»U cani du buccieri, riflettendo, pensò che se un uomo cura un cane che muore di fame e lo tratta bene, vivrà per lui e non lo morderà: questa era la differenza principale tra un cane e un uomo. Lui di animo buono e dolce, non conosceva malizia alcuna e, a volte, come succede agli uomini, quelle sue belle caratteristiche venivano scambiate per  stupidità, ma lui capiva che giudicare i difetti degli altri derivava spesso dal bisogno di assolvere i propri lasciamo trascinare più dall’opinione che non dalla vera sostanza dello stato di cose.

Lasciate entrare il cane coperto di fango, si può lavare il cane e si può lavare il fango. Ma quelli che non amano né il cane né il fango… quelli no, non si possono lavare.
Jacques Prévert


GRF

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