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Costume e SocietàLetteratura

L’assassino infame

Storie d’altri tempi


Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

I due Carabinieri, rimasti a piantonare la posta, fecero allontanare le persone, mentre l’ufficiale postale si affrettò a chiudere la porta a chiave: gli era rimasto l’impegno di fare l’inventario dei titoli di Stato presenti nell’ufficio.
Quella mattina entrambi i bar della piazza si popolarono di persone. Ognuno diceva la sua; quello che teneva banco su tutti era, come sempre, il barbiere.
Un signore che abitava nei pressi dell’ufficio postale se ne uscì dicendo: «Erano all’incirca le quattro quando ho sentito una macchina partire a grande velocità verso la periferia Nord del paese.»
Marco ascoltava con attenzione, poiché voleva capire di cosa realmente fosse a conoscenza la gente.
Niente! La gente non sapeva un bel niente. Tutto quello che dicevano non era altro che il frutto della loro fervida immaginazione.
Erano le 11:30 quando, in lontananza, Marco vide arrivare l’ex colonnello medico accompagnato dalla figlia. L’ufficiale sanitario, il farmacista e Mario erano seduti a un tavolino da tè sotto il portico a sorseggiare della birra fresca. Nel vedere il colonnello non poterono fare a meno di voltarsi e salutare padre e figlia. Sul volto, il colonnello medico portava i segni della gravità della demenza. La figlia, vedendosi osservata, si fece rossa in viso. Era da tanto che il colonnello non usciva di casa: probabilmente la notizia del furto all’ufficio postale aveva spinto la donna a uscire e con la scusa aveva portato il padre a fare una passeggiata.
La donna apparteneva a una famiglia che ai primi del ‘900 si era arricchita prestando soldi a interesse, oggi definito tasso di usura. Tanta gente, che si era fatta prestare il denaro per andare nelle Americhe in cerca di fortuna, avendo avuto dalla sua un fato avverso, non era riuscita a restituire quanto aveva ricevuto in prestito e aveva pertanto perso la terra data in pegno. Era stato così che la famiglia della moglie del colonnello si era ritrovata piena di soldi e di proprietà immobiliari.
Come in tutte le greggi vi è la pecora nera, anche in quella famiglia c’era stato un feroce assassino. Tutt’oggi è tramandato che il padre del suocero del colonnello fosse attratto perdutamente dalla bellezza di una ragazza che da poco aveva superato i tredici anni. La passione lo ava portato a oltrepassare l’orizzonte della ragione, facendolo precipitare nell’abisso della follia.
Un giorno, la giovane, la cui bellezza non era riscontrabile in nessun’altra donna fatta eccezione per Maria Fera, era andata a riempire i vasi alla fonte che si trovava poco fuori dal paese. L’uomo l’aveva seguita e, vedendosi rifiutato, era stato sopraffatto da un raptus e l’aveva uccisa con quarantatré coltellate all’addome. Mentre la vita stava per abbandonare la giovane, l’uomo dissacrò sé stesso, possedendo l’adolescente. La stessa notte, nell’obitorio del cimitero, aveva mandato un suo sottoposto a mettere in mezzo alle gambe della povera sventurata dello sterco di animale; un gesto ignobile, che stava a significare che la povera adolescente fosse una prostituta.
Tutta la gente del paese sapeva della sua colpevolezza. Quasi certamente fu più per codardia che per dubbio che il popolo non insorse contro l’infame assassino.
Con la stessa puntualità con cui la morte si presenta al capezzale dei deboli, allo stesso modo si presenta a quello dei forti. Poco prima della sua dipartita da questo mondo, quell’uomo dissacrò ulteriormente la propria dignità lasciando scritto che non c’entrava nulla con la morte dell’adolescente.
Comunque fossero andati i fatti, tutto era stato demandato al tribunale di Dio, poiché quello degli uomini si era dimostrato incapace di imbastire un processo contro di lui. Tuttavia una cosa è certa: nella gente del paese permane tutt’oggi il disprezzo verso la sua memoria.
Mentre stava riflettendo su alcune vicende della storia del paese, Mario volse lo sguardo verso la parte alta della via che dava verso la chiesa e vide arrivare suo zio. Camminava con passo lento e indeciso, a conseguenza del peso degli anni. Aveva finito di celebrare la messa da un pezzo e, come al solito, andava al bar a farsi un caffè e scambiare qualche parola con don Giulio, ch’era solito arrivare qualche minuto prima di lui. Evitava il Bar Primavera per via dei gradini e ancor più per Nicoletta, che lui definiva donna peccaminosa e infedele. Mario si alzò e andò incontro allo zio per rendergli lumi su quanto era accaduto quella notte.
Mario, arrivato dallo zio, non fece in tempo ad aprire bocca che il vecchio prete gli domandò: «Che diavolo fa tutta questa gente in piazza?»Il nipote, prontamente, rispose: «Sono in piazza per via del furto che una banda di ladri ha compiuto questa notte.»«Speriamo che non abbiano perso il tempo portandosi a casa quattro soldi» rispose lo zio.«Pare di no! Dicono che abbiano portato via 500.000.000, anche se la gente parla di 2.000.000.000.»«Come al solito da un pelo ne fanno una trave. Non cambia mai questa gente. Fammi indovinare: il barbiere ne sa qualcosa, della cifra?»«Come no?! È stato lui a diffondere la voce dei 2.000.000.000! L’ufficiale postale aveva parlato di 500.000.000 e lui, tempo un attimo, aveva forzato l’informazione portandola alle stelle. Tanto a lui non costa niente sparare le solite minchiate!»

Foto: primanovara.it


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