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Costume e SocietàLetteratura

Le ragioni dell’idea delle leggi

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Zaleuco invita la sua interlocutrice a riflettere sulle ragioni che hanno determinato nel Magistrato l’idea delle leggi e la donna si acqueta.

Passò la notte e venne l’alba. Il Magistrato non si svegliò presto, ma si attardò nel letto. Un sonno profondo, lungo e ristoratore, lo rimise in forze. Andò nella latrina, mise dell’acqua in una bacinella di terracotta, bagnò poco la faccia e la asciugò, poi andò in cucina, dove Imena lo aspettava. Mangiò poco, ma non era nervoso. Imena lo guardava e non parlava. Poi vide lo sposo allontanarsi e andare di nuovo vicino alla latrina. Al muro c’era una lunga corda di cuoio, retaggio dell’antica professione, che egli aveva recuperato, dopo che era tornato in patria, dal vecchio mandriano, per ricordare sempre quello che era stato. Tornò in cucina e con le mani, con grande difficoltà, fece un cappio. La pelle era ormai dura e difficilmente si piegava. Prese prima dell’olio e la unse dove doveva formare il cappio, poi domandò alla sposa se vi era sugna. Imena prontamente prese un vaso lungo di terracotta che era lì vicino. Il Magistrato mise le mani, tirò il grasso bianco, denso di maiale e unse la corda, che ormai stava diventando morbida. Finì di fare il cappio e lo mise al collo. Poi il resto della corda lo avvolse attorno al cinto, si pulì le mani con uno strofinaccio, e si apprestò a uscire. Nessun segno di nervosismo. Imena non smise mai di guardare, con il cuore in tumulto, il Magistrato. Voleva parlare, ma temeva una reazione dello sposo. Finalmente, quando lo vide che stava per uscire, con voce tremula, disse:
«Io conosco il principio di questa storia, Pastore. Tu forse conosci anche la fine. Puoi dirmela?»
«Tu pensi donna che le leggi a Locri Zaleuco le abbia date per soddisfare il capriccio di un uomo ambizioso, o pensi, invece, che gli Dei abbiano illuminato il loro servo per rendere grande la madre patria? Se tu sai la risposta a questa domanda, donna, conosci il principio, ma sai anche la fine» disse il Magistrato senza aspettarsi repliche. Che non arrivarono, perché Imena in cuor suo rispose alla domanda.
Il Magistrato si incamminò verso l’Agorà e passò vicino all’ombra sinistra della forca, che era stata già innalzata. Non volle molto tempo per arrivarci. Salì le scale del Buleterio senza fretta e vi entrò. Il Consiglio dei Mille era già al gran completo e la folla come alla festa di Persefone. Ma come sempre, in queste occasioni, il Buleterio non conteneva la folla e Agesidamo decise per l’Agorà. Vi fu un trambusto per lo spostamento dell’Assemblea, ma soprattutto per la calca che cercava di guadagnare un posto nella Piazza più vicino dove si svolgevano i fatti. Agesilao era presente in prima fila con la spada e coordinava gli altri opliti. Non era un giudizio quello, ma la richiesta che chiunque del popolo poteva fare alla
Dàmos, di adeguare o, sopprimere una legge. Non si vedeva stranamente Senocrito, ma forse era solo appartato. Nessuno era in ritardo e di lì a poco anche Tirso comparve. Non aveva il cappio al collo, un servo lo portava dietro. Anche questo era segno degli Dei, pensò Zaleuco. Il giovane non lasciava neppure un attimo da parte la sua tracotanza. Agesidamo si alzò e Tirso immediatamente mise il cappio al collo. Agesidamo invitò Zaleuco e Tirso ad avvicinarsi e disse:
«Lì vi sono due scranni. Ognuno di voi si sieda. Vedo che entrambi siete venuti con il rispetto che richiede la legge. E vedo che tu, Zaleuco ti sei presentato con il cappio. Dunque, tu vuoi resistere alla richiesta di adeguamento della legge fatta da Tirso?»
«Ho altra scelta, Agesidamo?» rispose con una domanda Zaleuco.
«Bene, continuò Agesidamo, ben sapendo che la domanda non richiedeva risposta. «A te, Tirso, verrà data la parola per i ragionamenti che ritieni di rappresentare al Consiglio sulla necessità di cambiare la legge sull’adulterio a Locri. Poi a te, Zaleuco, il diritto di difendere la tua legge. La pena per chi non è nel giusto la sapete. Dietro di voi sta il Polemarco Zenone, il Magistrato che ha il compito di eseguire la pena.
Alla fine della decisione, la Dàmos, senza ritardo alcuno, si regolerà secondo le leggi di Locri punendo colui che mostrato la sua temerarietà». Così concluse il saggio Agesidamo.
Tirso si si pose al centro dell’Agorà. Girò lo sguardo intorno a sé e guardò tutti negli occhi. Quelli del Consiglio dei Mille, la gente comune, i servi accorsi per la tenzone. Ogni sua mossa sembrava studiata e mirata, ma il suo sguardo sembrava spento. Non sfidò con gli occhi nessuno, ma si mise a fissare con lo sguardo la forca che Agesilao aveva inalzato. Lentamente cominciò, prima rivolto ai Kiloi:
«A voi che siete gli uomini migliori di Locri. A voi, che più degli altri, tenete al bene della patria, io mi rivolgo. Ma mi rivolgo anche al popolo locrese, che sulla sua pelle vive e sconta le giustizie e le ingiustizie di ogni giorno…»

Continua…


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