Di Maria Concetta Valotta
Sotto qualsiasi latitudine, la violenza di genere è una delle più aberranti manifestazioni di violazioni dei diritti umani. Alla sua origine si tenderebbe a riscontrare una mentalità retrograda e ti stampo patriarcale che fomenta retaggi atavici di discriminazione e di pregiudizi di genere. Secondo tale visione, la donna riveste un ruolo subalterno all’interno della società, in ogni sua dimensione. Dall’istruzione al mondo lavorativo, dalle relazioni di coppia, alla cura delle attività domestiche. Una visione gretta che non prevede affatto l’emancipazione della donna dai ruoli prescritti dalla tradizione maschilista e che troppo spesso si manifesta in modo becero in atti di violenza psicologica o fisica.
Gli episodi di violenza contro le donne avvengono prevalentemente nella sfera domestica e tra individui tra i quali esiste già uno stretto rapporto parentale. L’incapacità di sopportare le frustrazioni della vita e le costruzioni dell’ambiente sfociano nei crimini più efferati.
Nell’ordinamento giuridico italiano esistono aggravanti per la violenza domestica e sessuale ma, a oggi, non esiste un reato specifico penale, per il movente di genere. Era proprio l’obiettivo del disegno di legge Zan, che però non è riuscito a essere approvato in Parlamento.
L’istituto europeo per l’uguaglianza di genere, è l’organismo principale di riferimento su questa materia e si occupa di monitorare gli accadimenti riconducibili a comportamenti e reati perseguibili penalmente di violenza sotto vari aspetti, nei confronti delle donne, esclusivamente per via della loro appartenenza di genere.
Tuttavia, riprendendo il testo della commissione d’inchiesta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sulla violenza di genere, ripresa anche dall’Istituto nazionale di Statistica, i dati rivelano come i casi non sono affatto in discesa e che la strada da percorrere sarà ancora lunga, prima di giungere a una mentalità realmente egualitaria e coscientemente rispettosa della dignità dell’universo femminile.
