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Costume e SocietàLetteratura

La campagna

Storie d’altri tempi

Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Marco rimase un pò in silenzio in attesa di mettere ordine nel suo essere e poi disse: «Volevo sapere se a voi risulta che Gladuela abbia un fidanzato o che sia stata promessa in sposa.»«Mi risulta che fino a poco prima che andasse via, fosse ancora libera da qualunque impegno sentimentale.
Senz’altro ti starai domandando come ho fatto a capire che sei interessato alla ragazza.
Ti svelo subito da dove trae origine la mia intuizione: vedendoti fuori che aspettavi mi sono resa conto, sapendo della tua levatura intellettuale, che il tuo interesse non poteva essere rivolto alle rondini che stanno nidificando sotto le gronde del palazzo, ma un altro tipo di rondine di nome Gladuela.
»Di fronte all’eloquenza della madrina Marco si mise a ridere, ammettendo il proprio interesse verso la giovane che era uscita poco prima.
Donna Angelina era figlia di un uomo d’onore della zona. Essendo cresciuta con un certo tipo di educazione sapeva come comportarsi nel parlare ed era abile a intuire cosa ci fosse oltre il muro del visibile.
«Compare mio, t’interessa la ragazza?»«Per dire il vero sì! Noto con vivo compiacimento che a voi non sfugge nulla!»«Se non fossi così oculata, a quest’ora, sarei a mendicare davanti alla porta della chiesa.»
Marco, ancora una volta, ebbe modo di misurare la profondità della madrina e, nel salutarla, le baciò la mano.
Arrivato davanti al cancello di casa, trovò, come sempre, Argo ad aspettarlo; il cane riconosceva a distanza il suono del motore e qualunque cosa stesse facendo la mollava per correre verso il cancello ad accogliere il padrone.
Marco scese, aprì il cancello e, prima di portare dentro l’Ape, diede la mano all’amico Argo che gliela leccò ripetutamente.
Una volta portato in garage il mezzo di lavoro, sempre e fedelmente seguito dal cane, entrò in casa e spalancò porte e finestre; la luce del tramonto squarciò le tenebre che fino a quell’istante regnavano indisturbate nell’abitazione.
Un fascio di luce nella cucina mostrò la danza della polvere sotto il lieve soffio del ventilatore a soffitto.
Marco tirò fuori dal frigo mezzo sgangherato una bottiglia d’acqua e una Coca Cola. Argo guaiva e scodinzolava animatamente in attesa che gli fosse riempita la ciotola di acqua fresca.
«Su, sbrigati a bere che andiamo a farci un giro nel podere!»
Argo, nel sentire che si andava in giro, smise subito di bere e partì.
A trenta metri della casa rurale iniziava la campagna. Erano dieci ettari di terreno pianeggiante che gli era stato tramandato a Marco dal padre che, a sua volta, l’aveva avuto in eredità dal proprio padre.
Le piante secolari di olivo, disposte su un doppio filare, tracciavano il perimetro della proprietà. Le piante si stagliavano alte nel cielo, quasi a lambire le nuvole.
Marco, da bambino, con sua sorella Maria, andava a giocare a nascondino con il nonno all’ombra delle piante. Per tenerli a bada, il nonno narrava loro la storia dei folletti che vivevano indisturbati nel loro regno, proprio sotto le grandi piante. Alcune piante di ulivo avevano un tronco dalla circonferenza di quasi quattro metri e nonno Marco raccontava che proprio lì sotto c’era il castello in cui abitavano il re, la regina e il principino dei folletti.
Ormai a Marco non restava altro che vaghi ricordi, animati da un fuoco il cui calore era stato sostituito dal gelido freddo dello scorrere del tempo.
Il campo di grano era giallo come l’oro e luccicava sotto i riflessi dei raggi dell’ultimo sole. A fine primavera aveva piovuto abbondantemente, le piante erano cresciute rigogliose e le spighe erano rigonfie di grano.
Argo correva come impazzito, lasciando dietro di sé una lunga scia di grano piegato. La meta dell’amico dell’uomo erano le tre grandi querce. Al cospetto dei grandi alberi, era d’obbligo il silenzio poiché le tre querce troneggiavano maestose e possenti su di una piccola collinetta di arenaria alla cui base vi era una sorgente di acqua minerale.
La gente del luogo, fino al giorno in cui fu barbaramente assassinata Giulia, si recava a quella fonte per approvvigionarsi dell’acqua per il fabbisogno domestico.
La memoria degli uomini, anche se portata ad affievolirsi, tramanda l’orribile vicenda della tredicenne che il bruto assassinò. Da quando era avvenuto il delitto, né persone né animali bevvero più di quell’acqua, tanto che era calato sul quel luogo un cupo e raccapricciante alone di mistero che aveva portato la gente del paese a denominare la fonte: “la sorgente del diavolo”.
Argo si fermò a pochi metri e rimase fermo per qualche minuto, poi prese a ululare come se i suoi occhi avessero violato la barriera posta a separare il visibile dall’invisibile.
Marco appoggiò il pollice e il medio sulle labbra, soffiò con forza e ne uscì un fischio. Argo, nel sentire il richiamo, ritornò in sé e prese a correre verso il padrone come se fosse inseguito dai fantasmi.
Prima che il sole si nascondesse dietro ai monti, la gente del paese era già informata del lavoro che Mario aveva commissionato a Marco.
Come sempre, il barbiere ingigantì così le cose che nel paese non si parlava d’altro che dell’albergo da cento camere che doveva sorgere nel podere.

Continua…

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Redazione

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