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Costume e SocietàLetteratura

Norme antisuntuarie

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri

Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Per seguire la cronologia di Platone, Zaleuco per prima cosa previde le norme antisuntarie. In tal senso va l’opera.
Per prima cosa va chiarito il termine antisuntuario. suntüàrio (raro sontüàrio) aggettivo (dal latino sumptuarius, derivato di sumptus -us «spesa», che a sua volta è un derivato di sumĕre prendere, comprare”): Letteralmente riguarda le spese voluttuarie che si fanno, nella fattispecie si fa riferimento con l’espressione leggi s. (più raramente norme s.), in storia del diritto, le leggi intese a limitare le spese voluttuarie e di lusso (dette anche queste, talora, spese s.), emanate dall’epoca dell’antichità classica fino a tempi recenti: le leggi s. greche, romane, della Repubblica di Genova; la volontà signoreggia sulla accumulazione dei capitali, ora sospingendo colle gare del lusso a disperderli, ora colle leggi suntuarie a risparmiarli (Claudio Cattaneo).
Queste sommariamente possono essere così descritte. Di poi si entrerà nel dettaglio con una comparazione delle leggi con il resto della Grecia, di Gortina e anche dell’Antico Testamento:

  1. Il divieto per una donna locrese di accompagnarsi con più di una serva;
  2. Il divieto di vesti milesiane;
  3. Doversi privare degli occhi gli adulteri;

1) Così prescrisse: non più di una serva accompagni una donna di condizione libera, a meno che non sia ubriaca e non esca dalla città durante la notte, a meno che non voglia commettere adulterio, e non indossi gioielli d’oro né una veste ricamata, a meno che non sia un’etèra; e il marito non porti un anello dorato, né un mantello al modo milesio, a meno che non si prostituisca o commetta adulterio.
Ovviamente, il riferimento è sia alle donne nubili sia a quelle sposate, secondo la dizione di cui sopra censurabile. La norma è un divieto per le donne, ma anche per gli uomini: “e il marito non porti un anello dorato, né un mantello in modo milesio, a meno che non si prostituisca o commetta aduleterio”. La norma è interpolata e di difficile attribuzione a Zaleuco. Una donna ubriaca non è cosa diversa di un uomo ubriaco. Ora il divieto di bere vino puro valeva anche per la donna. E la pena era quella del laccio. Dunque, l’ubriacatura poteva anche essere conseguenza di una bevuta notevole; difficile crederci. Non diversamente dall’espressione “a meno che non voglia commettere adulterio”, in quanto a Locri all’adultero e/o all’adultera cavar si debbon gli occhi. Quanto alle Etère, la prostituzione a Locri era ammessa, ma fuori della mura della polis. Controprova, si ripete, è la Stoà ad U, che è stata costruita fuori della mura, tanto che è sempre rimasta fuori della mura anche quando la polis si è allargata, le mura in tale punto sono state costruite a rientrare, onde lasciare il Tempio in cui si consumava la Sacra Prostituzione sempre al di fuori della cinta muraria.
Sulla pena, per violazione del precetto, nessuna indicazione. In astratto potevano essere due: una pena pecuniaria, non nel senso di moneta, ma beni patrimoniali da conferire all’erario; più possibile si trattasse invece di bastonate. Ma se all’adultero e all’adultera cavar si debbon gli occhi, si può concludere che la pena fosse in questi casi specifici (adulterio femminile e maschile) quella del laccio.
Ma, si ripete, per come formulata la disposizione di legge è interpolata e fatta non solo per sentito dire, ma richiamata in tempo nel quale ormai le leggi di Zaleuco erano decadute.

2) Dover le donne maritate vestire bianche vesti nel camminare per il foro coi domestici, e seguite da una ancella. Le altre donne nubili potranno indossare vesti di vari colori.
Lo sfarzo non era tollerato. L’esibizionismo, diremmo oggi, era una fatto di pubblica riprovazione; la stessa ricchezza, anche quando esisteva non andava esibita. La norma non è che il prosieguo logico della norma trattata prima. Il fatto che alle donne nubili non fosse vietato l’uso di indossare vesti colorate, va nella stessa direzione, ma con molta morigeratezza, della norma spartana che invogliava le donne a curare il proprio corpo con gare atletiche, tanto che le stesse negli stadi si esibivano del tutto nude non diversamente dagli uomini.

Redazione

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