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Costume e SocietàLetteratura

Le norme di natura pubblica

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri

Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Da Eliano, confermato da Demostene. La norma sopra riportata parla solo al maschile, mentre tutte le norme locresi vengono recitate al maschile e al femminile, per cui la punizione non cambia a seconda del genere, ma è uguale per uomini e donne. Il tutto proviene dalle norme ateniesi, malamente applicate indirettamente a Locri.
Che la norma fosse sia al maschile sia al femminile, ci viene indirettamente confermato da Caronda, laddove prevede in due distinte norme il divieto di aduleterio del marito e della moglie. Ovviamente senza previsione di pena. Così le norme 27 e 28:

  • Il marito ami la propria moglie e abbia da lei figli; eviti l’adulterio.
  • La moglie si mantenga casta evitando ogni rapporto adulterino perché questo provoca lo sdegno dei Numi.

Ne discende che la frase esatta (salvo nostri errori) dovrebbe essere nel modo seguente:

Zaleuco, legislatore di Locri, prestabilì che all’adultero e all’adultera fossero cavati gli occhi.

Oppure più semplicemente la voce era declinata al maschile plurale con intento comunue paritario.
Quanto al termine alònta, che viene utilizzato in originale, non ha un equivalente in italiano e comunque non può essere tradotto con colto in flagrante. Invero, al di là del fatto che Rocci sembra ignorare il termine la radice verrebbe da àllos, che significa altro, diverso, ovviamente dal legittimo compagno di letto.
Questa semplice osservazione non è priva di conseguenze sul piano sostanziale, tanto che ci permette di fare distinzioni, e non di poco, rispetto alle analoghe situazioni in Grecia. Certamente si parlerà delle disposizioni dell’Antico Testamento in materia; tuttavia, in un secondo momento, dopo le cosiderazioni in ordine alla legislazione in Grecia.La seconda osservazione, parte dal fatto dopo il matrimonio presso i Greci in genere era chiamata legittima la compagna di letto, mentre a Locri la compagna di desco. Non si tratta solo di una distinzione verbale, ma di un modo sostanziale di considerare la donna. È facile argomentare che nel primo caso il ruolo della donna non fosse dissimile da quello di una fattrice. La donna era semplicemente lo strumento che serviva a dare figli legittimi.È intuitivo che la compagna di desco era qualcosa di più di una mera fattrice. E ciò per la ragione del diritto di dare il patronimico ai figli; ma anche per la funzione sociale che aveva la donna a Locri nell’ambito del matrimonio.
In tal senso depone il divieto a Locri di prostituirsi. Più precisamente: la prostituzione non era vietata ed era più che tollerata come presso tutti i Greci e a Locri in particolare. Ma, per salvaguardare il decoro della Pòlis, vi era l’obbligo che essa dovesse svolgersi fuori dalle sue mura. Lo ricaviamo dai resti archeologici della Stoà a U, in cui si svolgeva la Festa della Sacra Prostituzione. La Festa della Sacra Prostituzione, seppure un avvenimento religioso, non poteva svolgersi all’interno della cinta muraria. La Stoà a U si è trovata sempre fuori dalla città. Anche quando la cinta muraria si è allargata e vi era la esigenza di inglobare il Tempio di Afrodite, dove si celebrava detta, le mura ebbero un intacco a spada, in modo che si allargassero anche oltre il Tempio, senza che mai questo fosse compreso all’interno della città.
L’adulterio non era punito solo a Locri. Invero, vi sono tracce della repressione in tutta la Grecia, a cominciare da Atene.
Così la legge ad Atene per l’adulterio:

La legge non consente che la donna che sia stata sorpresa con l’adultero si adorni e partecipi alle cerimonie pubbliche nei sacrari, perché ella non contamini, mescolandosi con esse, le donne incolpevoli; se ella vi entri e si adorni, la legge da diritto a chicchessia di stracciarle le vesti, di strapparle via gli ornamenti e di percuoterla, purché si astenga da ucciderla o mutilarla, disonorando per tal modo una simile donna e rendendole impossibile la vita.

La purezza e la verginità, il patrimonio più prezioso di una ragazza, erano condizione indispensabile per il matrimonio. Per questo motivo le fanciulle portavano un abito bianco che simboleggiava la loro verginità e venivano date in sposa prima di aver raggiunto la pubertà (gli antichi ignoravano che l’imene può lacerarsi anche senza aver avuto rapporti sessuali).
Le fonti parlano anche di un ornamento detto adi, una sorta di cintura di castità per le vergini. Poiché in egiziano adi significa parte inferiore, si trattava evidentemente di un ornamento da indossare dalla vita in giù. Appunto, una cintura di castità.
Sempre in ossequio alla affermazione della origine anche semitica delle leggi locresi ci soffermeremo poi su come veniva punito l’adulterio presso gli Ebrei.

Foto: romeguides.it

Redazione

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