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Costume e SocietàLetteratura

Rocco e il mistero dello zio assente

Storie d’altri tempi

Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Mastro Filippo era solito arrivare 10 minuti prima degli operai.
Marco domandò di suo zio a Rocco, che disse di non avere notizie.
La campana dell’orologio della chiesa batté la decima ora del giorno. Un tale ritardo, per il tipo che era mastro Filippo, non si giustificava e quindi lasciava presagire qualcosa di terribilmente grave. Dietro l’insistenza di Marco, Rocco prese la lambretta allo scopo di andare a cercare mastro Filippo. La lambretta era una Piaggio che aveva acquistato di seconda mano per 100.000 ₤; il più delle volte la usava come un motocarro: caricava un paio di quintali di cemento nella parte bassa, tra il manubrio e il sedile, e lo portava al cantiere. Nel giro di pochi mesi, aveva ridotto la lambretta a uno schifo.
Rocco era un somaro che sapeva solo lavorare come una bestia. Gli apprendisti muratori lo chiamavano la bestia umana. Quando si sentiva chiamato bestia, andava su tutte le furie. Rocco era un tipo particolare, però bisognava ammettere che conosceva il mestiere.
Quella mattina, la lambretta non ne voleva sapere di andare in moto. Rocco, a furia di spingere avanti e indietro, allo scopo di farla partire, l’aveva ingolfata. Incazzato come una furia ricominciava a spingere per poi saltarci sopra e ingranare la seconda marcia nella speranza di farla partire.
Tutto quello spettacolo avvenne sotto gli occhi dei compagni apprendisti. Nel vedere con quale rabbia cercava di avviare la lambretta, i ragazzi si misero a ridere. Un tale comportamento dei compagni, Rocco lo percepì come una provocazione e se ne andò fuori di testa: aveva il volto tirato, rosso come un pomodoro maturo.
Istigato dal sorriso ironico dei presenti, gettò per terra la lambretta e corse dentro la baracca in lamiera in cui tenevano gli attrezzi come i badili, i picconi e la mazza. Un secondo dopo uscì dalla baracca Fratelli Dieci, brandendo la mazza. Sotto gli occhi increduli dei presenti, prese la lambretta a colpi fino a ridurla a un groviglio di ferro informe.
Calò il gelo sul cantiere, non si sentiva volare una mosca. Nessuno osò dire una mezza parola. Sapevano tutti del rischio cui andavano incontro. In punta di piedi si recarono al proprio posto e a testa bassa ripresero a lavorare evitando Rocco persino di uno sguardo.
«Marco!»chiamò Rocco.
«Dimmi!» rispose Marco.
«Prestami la tua bicicletta che vado a vedere che diavolo gli è capitato a mio zio.»
«La puoi prendere a patto che me la riporti integra!»«Stai tranquillo che non la prendo a colpi di mazza.»
Rocco saltò sulla bici come un cowboy sul cavallo da domare e partì come un fulmine.
Da come spingeva sui pedali, era chiaro che ancora non avesse sedato la rabbia.
I ragazzi sapevano che non era giusto di testa, a conseguenza di una caduta dal letto quando aveva poco meno di tre anni.
Rocco pedalava scandendo il tempo così: Uno, due, tre, fiato. Uno, due, tre, fiato . Per tutto il percorso non abbassò il ritmo neppure per un istante.
Prima ancora che Rocco arrivasse alla casa dello zio, incominciò a chiamare: «Zio! Zio! Che fine hai fatto?»
Sulla porta di casa comparve la zia che, con inconsueta rapidità, andò ad aprire il cancello.
«Lo zio?» domandò Rocco.«Entra, che sta in casa!»
Una volta entrato, Rocco trovò lo zio seduto sul divano con un paio di pantaloncini corti e la gamba destra fasciata all’altezza del polpaccio.
«Che cosa ti è successo?
«Nulla d’importante!»
«Come mai hai la gamba fasciata?»
«Questa mattina sono andato al cascinale per vedere com’è messo, dato che ho intenzione di sistemarlo!»
«E allora?»
«Dammi il tempo che ci arrivo. Se tu m’interrompi, non finirò neppure per questa sera. Come ti dicevo, sono andato al cascinale e, mentre analizzavo i lavori che bisogna fare, ho sentito un dolore acuto al polpaccio. Mi sono scansato e ho visto una serpe che si allontanava. Ho preso una pietra e le ho frantumato la testa. Tutto qua. Adesso mi tocca aspettare che mi si abbassi il dolore e poi vengo al cantiere!»
Rocco, dopo essere rimasto come sospeso sul vuoto dell’abisso dei pensieri, salutò e prese la via del rientro.
Era il 3 di agosto e il caldo era soffocante, tanto da rendere affannoso il respiro.
Rocco era un giovane stravagante, i particolari erano per lui qualcosa d’irrilevante e di poco conto, che non trovavano alcun riscontro sul piano pratico: il fatto stesso che la gamba di suo zio fosse gonfia, per lui rientrava nella dimensione della normalità.
Prima di tornare al cantiere, decise di passare dal bar Carducci a bere una birra fredda per un po’ di refrigerio al caldo del solleone.
Poco dopo entrò nel locale il barbiere del paese; vedendo Rocco seduto a un tavolo, si avvicinò per salutarlo. Rocco, per cortesia, lo invitò a bere con lui. Il barbiere accettò, senza farsi pregare, e ordinò un chinotto in bottiglia.
Dopo i soliti convenevoli, il barbiere domandò a Rocco come mai a quell’ora non fosse a lavoro.
Rocco, dopo aver esitato un attimo, disse: «Sono andato dallo zio per vedere come mai non era venuto al cantiere.»
La curiosità si fece strada nei meandri della mente del barbiere, che prontamente favorì il suo transito, prestando particolare attenzione a quanto, da lì a poco, avrebbe detto Rocco.

Continua…

Foto: teknoring.com

Redazione

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