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Costume e SocietàLetteratura

Un morso inatteso

Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

«È successo qualcosa?» Domandò il barbiere.
«Niente di grave! L’ha solo morso un serpente alla gamba.»
«Benedetto iddio, adesso come sta?»
«Ha la gamba gonfia. Comunque mi ha raccomandato di stare tranquillo che non è niente di grave!»
Gli occhi del barbiere si posarono sull’orologio, erano le 11.30; non poteva più intrattenersi poiché aveva un appuntamento per un taglio di capelli. Tra tutte le fantasie della mente del barbiere, prevaleva il principio della puntualità.
Finita la birra, Rocco partì per rientrare al cantiere. A conseguenza della mancanza di mastro Filippo, gravava su Rocco la responsabilità della gestione del cantiere.
Appena arrivato, posò la bicicletta di Marco nella stessa identica posizione di quando l’aveva presa.
«Marco!» esclamò Rocco.
«Come puoi vedere la bici è perfettamente integra! E per giunta l’ho messa nella stessa posizione. Sono o non sono il capo mastro?»
Alle parole di Rocco seguì un coro di pernacchie, suono che lo fece andare in bestia.
Rocco, dopo aver guardato l’orologio, disse: «Porca troia, sono le 11:30 e non abbiamo fatto neppure per i fiammiferi…»
Dopo aver dato sfogo alla rabbia, prese la cazzuola e incominciò a intonacare una parete di forati.
Marco si avvicinò a lui e disse: «Aspetta un attimo… Come sta mastro Filippo?»
«Niente di grave!» Rispose Rocco.
«E come mai non è venuto al lavoro?»
«Per dire il vero l’ho trovato seduto sul divano con i pantaloncini corti e la gamba destra fasciata. Comunque mi ha rasserenato dicendomi che è una sciocchezza, niente di più»
«È caduto?»
«No! L’ha solo morso un serpente.»
Marco e gli altri si guardarono come dire: “Guarda un pò che razza di coglione è questo.
Conoscendo il carattere bellicoso di Rocco, preferirono tacere.
«Secondo te, essere morsi da un serpente è cosa da niente?»
«Che cosa ne so? Mio zio ha detto che non è niente e io non ho motivo di dubitare della sua parola.»
«Mi sa che tuo zio si è bevuto il cervello.»
«Come osi?»
«Oso… Oso. Salvatore, inforca la bicicletta e andiamo a vedere come sta mastro Filippo!»
Rocco si sentiva il capo degli apprendisti, a più forte ragione in quanto mancava suo zio.
Il comportamento risoluto di Marco fece sbavare Rocco, tanto che lo portò a dire: «Porca troia, in questo cantiere, quando non c’è mio zio, comando io. Sono stato chiaro?»
«Ma che cazzo vuoi comandare? Tuo zio è stato morso da un serpente e tu stai qui tranquillo a rompere i coglioni con la mania del comando. Tu e Salvatore venite con me, che andiamo da mastro Filippo.»
I due inforcarono le bici e partirono pedalando in modo deciso verso la villa del capo.
Rocco, nel vedere i due partire spediti, guardò gli altri apprendisti e, con autorevolezza, disse: «Cercate di lavorare, al mio ritorno il lavoro deve essere finito. Ho reso l’idea?»
Salì su una delle bici appoggiate al muro e prese a pedalare come un invasato. Guardava i due fuggitivi e pareva volesse fulminarli con gli occhi. Per la sua logica, non poteva permettere che i due arrivassero a casa di suo zio prima di lui: sarebbe stata un’onta indelebile.
Fu così che prese a contare: Uno, due, tre respiro.
La bicicletta su cui si trovava Rocco dava l’impressione di scassarsi da un istante all’altro. Salvatore girava la testa per stimare la distanza che intercorreva tra loro e l’inseguitore.
Rocco aveva sviluppato l’insana capacità di distorcere la realtà tanto da portarlo a pensare che Salvatore, nel voltarsi, si beffasse di lui. La velocità di Rocco aumentava con il passare dei secondi, quando arrivò a un metro dalle ruote dei due, s’incuneò con folle forza, facendoli sbandare paurosamente. Superata la curva, ai loro occhi, si prospettò la villa di mastro Filippo quel giorno, sembrò a Marco, meno bella delle altre volte.
Rocco arrivò al cancello con un paio di metri di vantaggio. Una volta sceso dalla bicicletta, volse lo sguardo verso i due compagni di lavoro e fece un sorrisetto che sembrò più una smorfia che altro. La zia uscì assieme alla figlia Lucia e aprì il cancello. I tre entrarono e appoggiarono le biciclette al muro prossimo al cancello.
Un grosso doberman di guardia alla villa era trattenuto da una catena. Non potendo avventarsi sui tre nuovi arrivati, abbaiò con insistenza, manifestando la sua rabbia.
Rocco si rivolse al cane dicendo: «Stai in silenzio, cretino. Non vedi che sono uno della famiglia? Mi sa che non solo io sono caduto dal letto…»
Rocco, con quelle parole, dimostrò di avere coscienza su quanto gli fosse accaduto.
La Signora Elena fece accomodare il nipote e i due apprendisti.
«Mastro Filippo, come state?». Chiese Marco.
«Non tanto bene. Sento che le forze mi stanno per abbandonare». Rispose, con voce malferma, mastro Filippo. 
«Fatemi dare un’occhiata.»
Mastro Filippo allungò la gamba che stava diventando cianotica. Marco sciolse la fasciatura e vide due fori nella parte posteriore del polpaccio. 
«Porca miseria!». Esclamò Marco.
Subito intervenne Rocco: «Che cosa c’è?»
«Diglielo tu, Salvatore, che cosa c’è…»

Foto: montagnenostre.net

Redazione

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