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Costume e SocietàLetteratura

La corsa folle di Antonio e Rocco

Storie d’altri tempi

Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Un giorno Antonio Borghese uscì dalla scuola, dove svolgeva mansioni di applicato di segreteria, con un’ora di anticipo per andare al Comune del paese in cui lavorava. Una volta portato a termine quanto doveva fare al Municipio, si recò nella piazza antistante alla stazione ferroviaria in attesa che si facesse l’ora per prendere l’autobus e fare rientro a casa. Antonio era intento a leggere la cronaca, riportata nella Gazzetta del Sud, di un omicidio avvenuto al crepuscolo del giorno prima, quando il suono secco di un clacson richiamò la sua attenzione. Una Fiat 128 di colore rosso si era fermata a pochi passi: al volante c’era Rocco Valpreda. Antonio Borghese si avvicinò e salutò il compare che, con la cordialità di sempre, lo invitò a salire, poiché faceva ritorno al paese. L’auto partì con una certa agilità.
Antonio si preoccupò di raccomandare il compare di guidare con la dovuta prudenza.
Dopo un paio di giri per il centro urbano, prese la via del rientro a casa. L’auto era dotata di autoradio con mangianastri incorporato. Rocco mise la mano nel contenitore della portiera e prese una cassetta con l’immagine di Gianni Morandi. Avvedutosi dell’errore, bestemmiò e la rimise nello stesso posto in cui l’aveva presa. Tra una bestemmia e l’altra aprì lo sportellino del cruscotto e incominciò a rovistare con la mano alla cieca, nella speranza di trovare la cassetta di Little Tony. Antonio iniziò a preoccuparsi per il susseguirsi delle sbandate.
Valutando il rischio a cui si stavano esponendo, Antonio disse a Rocco: «Badate alla guida, alla cassetta ci penso io.»
Finalmente, Antonio tirò dal cassetto quello che Rocco desiderava: la cassetta di Little Tony.
Rocco la prese e tempo un attimo la inserì nel mangianastri, alzò il volume e contestualmente la velocità della macchina. Antonio s’irrigidì e maledisse mille e una volta l’attimo in cui aveva accettato il passaggio.
Antonio prese a parlare con la netta volontà di coinvolgere Rocco nel discorso in modo tale da fargli abbassare il volume e così pure la velocità dell’auto.
Niente di niente! Anzi Rocco lo pregò di non parlare, giacché voleva ascoltare la canzone Cuore matto. Inoltre non poteva permettersi il lusso di distrarsi perché impegnato a guidare. Antonio, con occhi truci, guardava il contachilometri la cui lancetta marcava i 160 km/h, nella speranza che il pilota si rendesse conto che quella velocità non faceva piacere al passeggero.
La strada appariva, per effetto della velocità, molto più stretta del solito; gli alberi, a mezzo metro dall’argine, parevano volergli venire addosso: aggravando, ulteriormente, i nefasti pensieri di Antonio.
Rocco lo rasserenava dicendo: «Compare Antonio, state tranquillo che io sono un pilota provetto, con me non avete nulla da temere.»
Antonio, per non urtare la suscettibilità di Rocco, se ne uscì dicendo: «Non siete voi che mi preoccupate, ma sono gli altri che nella loro incapacità di guidare possono tagliarci la strada portandoci, in un attimo, a bussare alla porta di San Pietro!»
«Pensate alla salute e non alla morte!» rispose Rocco.
Antonio sentiva il rombo del motore come i rintocchi della campana a morto. Nel fare le curve, gli pneumatici emettevano un fischio che sembrava quello della locomotiva a vapore all’approssimarsi di un passaggio a livello.
Finalmente la folle corsa stava per finire: restava solo un rettilineo lungo un chilometro prima di una curva a gomito; cento metri prima della curva c’era la casa di Antonio e Rocco per mettere in mostra la sua bravura di pilota, ritenne opportuno spingere l’auto ben oltre i 160 Km/h.
Antonio, vedendo avvicinarsi sempre di più la curva a gomito, gridò a gran voce: «Siamo arrivati! Frenaaa!»Rocco fece una gran frenata e dalle ruote si alzò una nuvola di fumo che avvolse la Fiat 128. Antonio, per la puzza di gomma bruciata, ebbe il dubbio se fosse in prossimità della fabbrica della Pirelli o all’inferno. La gente del rione, spaventata dal fischio della frenata, si affacciò alla finestra per vedere di che tipo di finimondo si trattasse. Al passeggero tremavano le gambe, come se fosse passato attraverso il bombardamento degli aerei della Luftwaffe. Nonostante il tremore, fece uno sforzo e saltò fuori dall’autovettura e prima di chiudere la portiera, mandò giù il finestrino. Rincuorato dall’essere fuori dell’auto, Antonio Borghese ringraziò il compare Rocco del passaggio e aggiunse, a scanso di equivoci: «Caro compare, se un giorno dovessi perdere il bene della ragione e le chiedessi un passaggio, la prego di non darmelo poiché, essendo oggi nel pieno delle mie facoltà intellettive, sappiate che non mi fareste cosa gradita. Grazie e buona fortuna!»
La mattina di domenica, Salvatore si trovava al bar Carducci per passare un’oretta con i compagni di lavoro.
Ognuno ordinò una birra e, dopo aver brindato, la mandarono giù di un fiato.
«E questa è sete?!» esclamò don Angelo.«Buon giorno, don Angelo. Con la salute come state?». Chiese Marco.
«Discretamente. Grazie!» rispose don Angelo.

Foto: quartamarcia.it

Redazione

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