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Costume e SocietàLetteratura

Tra ricordi e dilemmi: il destino di Salvatore

Storie d’altri tempi

Di Francesco Cesare Strangio

Tutto, come per incanto, divenne buio sotto l’inflessibile peso dei ricordi del genitore che lo portava a cavalluccio sulle spalle. Quale nefasto vento gonfia le vele della vita? Perché la terra non ferma il suo moto, facendosi inghiottire dalle fauci infernali del sole, così da far cessare le umane lusinghe e le ingiurie dell’inganno?
Dalla morte del padre, per Salvatore, la vita divenne più dura del solito: si era trovato da solo ad arrampicarsi sulle difficili pareti dell’esistenza.
L’arrivo del cugino, che gli aveva proposto di entrare a far parte della ‘ndrina, rese cupo l’animo di Salvatore. Sapeva che Sergio, nell’andare a casa sua, avrebbe preteso una risposta. Doveva mettere in atto la sua eloquenza nell’affrontare l’argomento badando bene di non deludere le aspettative del cugino, ma nello stesso tempo prendere le giuste distanze da quel mondo che non apparteneva al suo modo di percepire l’organizzazione sociale. Era un dilemma che lo martellava pesantemente.
Il consiglio del suo compare, mastro Peppe, fu perentorio: «Usa le belle maniere, ma non aderire a nessuna ‘ndrina, poiché al momento ti sarà fatto vedere il lato bello e accattivante, poi, come tutte le medaglie, ti presenteranno l’altra faccia che non vorreste mai conoscere.»
Stava per avvicinarsi l’ora della verità. Non riusciva a immaginare quale demone animasse i pensieri del cugino. Aveva fatto mille congetture, e in quanto tali, erano andate a vuoto.
Nel suo intimo Salvatore sperava che l’auto del cugino non arrivasse mai nella piazza; il suo più intimo desiderio era che sparisse come uno dei tanti sogni che gli disturbavano il riposo della notte.
La speranza svanì con l’apparire del bolide, rosso come gli occhi di un demone. Dietro di loro, seguivano due carabinieri in motocicletta. L’auto non fece la sgasata del giro precedente; mise la freccia e andò al parcheggiarsi nello stesso posto di prima. I carabinieri accostarono, scesero e andarono dalla parte dell’autista.
Dopo il saluto di rito, chiesero patente e libretto. Prontamente Sergio consegnò ai militi quanto avevano chiesto.
Quello che sembrava più anziano chiese a Sergio: «Lei che lavoro fa?»«Niente! Non svolgo nessuna attività lavorativa.»«E come fa a possedere un’auto simile?»«Mio padre commercia in animali.»
Nel ricevere una tale risposta, il carabiniere prese nota e andò alla motocicletta, sollevò la cornetta della radio e chiese informazioni al comando dei carabinieri del Comune di residenza di Sergio. Non essendoci a suo carico alcuna misura restrittiva, il militare restituì i documenti, dopo avere salutato, i due salirono sulle rispettive motociclette e proseguirono per la loro strada.
Non appena i carabinieri svoltarono l’angolo, Sergio, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, disse: «Meno male che non hanno perquisito l’auto.»
«E se l’avessero perquisita a te che cosa avrebbe comportato?» domandò Salvatore.
«Mi avrebbe comportato dei guai seri. Guarda sotto il sedile del guidatore.»
Salvatore si piegò e diede un’occhiata sotto il sedile di Sergio: c’era una P38 a tamburo.
«Porca puttana!» esclamò Salvatore.
«Se avessero messo il naso sotto il sedile, mi avrebbero arrestato per porto d’armi abusivo.»«Merdaccia! Che razza di vita fai?»«Riprendiamo dopo il discorso!» concluse Sergio.
Sergio parcheggiò il GT Junior a pochi passi dall’ingresso del bar Carducci. Entrati nel locale, accostarono due tavolini e si accomodarono. Teresa, la figlia del barista, si presentò al tavolo e prese l’ordinazione. Da come guardava la ragazza, si capiva che Cosimo, il giovane apprendista muratore, fosse interessato a lei.
A Marco Fera, essendo un acuto osservatore, raramente sfuggivano certe cose. Aveva notato che Cosimo, non appena ne aveva l’opportunità, si recava da solo al bar Carducci e si metteva a parlare con Teresa. Una o due volte, poteva anche essere frutto della casualità; il persistere diede a Marco la certezza che Cosimo si fosse innamorato della ragazza. D’altronde l’innamoramento del giovane aveva un duplice senso. La ragazza, in primo luogo, era bene educata, istruita e di aspetto andante. Il secondo, molto più importante, era che negli anni la famiglia Carducci aveva accumulato un’ingente fortuna tra appartamenti al mare e terreni agricoli. Da quello che si diceva in paese, l’estensione dei terreni si aggirava attorno ai cento ettari; certamente erano una nullità rispetto alle enormi proprietà di sua cugina Elisabetta Lodovico.
Cosimo da sempre si era dimostrato astuto e riservato, non affidava le parole al vento. Quando apriva bocca, sapeva fare ben uso della dote del linguaggio; aveva una capacità al di fuori del comune per accattivarsi la simpatia del prossimo. Se avesse messo gli occhi sulla figlia del Carducci, sarebbe stato solo questione di tempo.
Rocco, come sempre, parlava senza ritegno; amava vantarsi delle sue capacità come muratore e della dote che la natura gli aveva dato nel conquistare le donne: in verità, non riuscì mai a farsi una ragazza.

Foto: wips.plug.it

Redazione

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