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Attualità

Il vero significato della Liberazione e i totalitarismi in potenza

Pensieri, parole, opere… e opinioni

Giovedì il nostro Paese sarà chiamato una volta di più a commemorare il sacrificio di quanti ci hanno permesso di dare per scontate le nostre libertà personali.
Il 25 aprile 1945 rappresenta infatti un momento epocale che segna la fine di un periodo oscuro e l’inizio di una nuova era di speranza e rinnovamento. Questa data non è solo un ricordo storico, ma un simbolo carico di significati profondi e universali, che risuonano ancora oggi nel tessuto della società italiana e persino oltre i suoi confini (basti pensare al successo commerciale che Bella Ciao è tornata ad avere in tempi recenti grazie alla serie TV spagnola La Casa di Carta).
La celebrazione del 25 aprile, è bene ricordarlo, non è solo un tributo ai partigiani e ai combattenti che hanno lottato per la libertà, ma anche un’occasione per riflettere sulle radici profonde della democrazia e sui valori fondamentali su cui si fonda la nostra società. È un momento di gratitudine verso coloro che hanno sacrificato tutto per difendere la dignità umana, la giustizia e la libertà contro il totalitarismo e l’oppressione.
Allo stesso tempo, la Festa della Liberazione ci ricorda che la libertà è un bene prezioso e fragile, che richiede il costante impegno e la vigilanza di ogni cittadino per essere preservata. È un monito contro il risorgere di ideologie antidemocratiche, discriminatorie e xenofobe, che minacciano di minare i fondamenti della nostra società libera e aperta.
Inoltre, la celebrazione del 25 aprile è un momento di riconciliazione nazionale, un’opportunità per superare le divisioni del passato e costruire un futuro comune basato sulla solidarietà, sull’inclusione e sul rispetto reciproco. È un’occasione per riaffermare l’unità nella diversità e per promuovere la cultura della pace e della convivenza pacifica tra i popoli.
La Liberazione, insomma, ci dovrebbe invitare a guardare avanti con ottimismo e determinazione, a continuare il cammino verso una società più giusta, equa e solidale. È un momento per onorare il passato, ma anche per impegnarci attivamente nel plasmare il futuro, affinché i sacrifici dei nostri antenati non siano mai vani e i valori della libertà e della democrazia possano brillare sempre più luminosi nel mondo.
In virtù di questo lungo preambolo, capirete bene quanto faccia male constatare che, a 79 anni da quel giorno glorioso per la nostra nazione, il popolo abbia preferito calcare tutto un altro percorso rispetto a quello che ci avevano indicato i padri fondatori.
La contrapposizione politica sempre più populista ha offuscato il vero significato della Festa della Liberazione, riducendola a una celebrazione del partigiano, spesso inteso, oltretutto, come fuorilegge filocomunista che ha evitato di essere ricordato per i suoi orrendi crimini di guerra solo per la benevolenza degli storici. Questo fenomeno ha influenzato persino il Giorno del Ricordo, che il 10 febbraio commemora le vittime delle foibe e delle deportazioni, appiattendolo a una sorta di manifestazione Antiliberazione priva del suo intento originario di promuovere la riconciliazione e i valori della pace.
La dicotomia tra partigiani e fascisti, che racchiude in due insiemi distinti e spersonalizzanti un gruppo di persone che, dall’oggi al domani, si erano ritrovate con un fucile in mano avendo un’idea molto vaga delle ragioni per cui erano chiamati a premere il grilletto, è stata recentemente riletta in chiave partitica rendendo legittima una contrapposizione di ideali che rende sempre più tollerato (e non solo tra il popolino) il reato dell’apologia del fascismo.
È in questo quadro che si incasella il malcelato imbarazzo con cui la premier Giorgia Meloni ha celebrato la ricorrenza dello scorso anno (ma voglio confidare che quest’anno prenda una posizione più ferma) e l’agghiacciante censura che la Rai ha operato nei confronti del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile che sarebbe dovuto andare in onda sabato sera durante la trasmissione Che sarà e poi letto con grande determinazione dalla conduttrice Serena Bertone (alla quale voglio esprimere la mia personale solidarietà dovessero trovare conferma le voci secondo le quali il suo programma verrà chiuso alla fine della stagione).
Non vorrei allarmare nessuno, ma l’alba del fascismo fu segnata proprio da una serie di provvedimenti censori della carta stampata e del servizio pubblico che passarono spesso come normalissimi provvedimenti politico/amministrativi ai quali stiamo assistendo anche oggi supinamente già da troppi mesi (la Bertone potrebbe essere solo l’ultima di una lunga serie di volti noti che hanno subito la cacciata dalla televisione di stato come Fabio Fazio, Bianca Berlinguer e persino l’innocuo Amadeus).
Pertanto mi chiedo: quando ancora si potrà tirare, questa corda, prima che si cominciano a mettere in discussione diritti oggi basilari? Invertiremo la tendenza prima o tra altri 79 anni i nostri figli la Liberazione la festeggeranno in un’altra data?

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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