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Costume e Società

Francesco Calfapetra, il garibaldino bovalinese

Di Davide Codespoti

Molti pensano che tra le camice rosse, i volontari garibaldini che formarono la Spedizione dei Mille fino a diventare un vero e proprio esercito, militassero solo Piemontesi, Lombardi, Liguri, Emiliani e Veneti: per certa corrente storiografica revisionista essi rappresentavano gli avventurieri e i mercenari del Nord Italia che venivano a invadere il ricco e pacifico Regno delle Due Sicilie, per poi consegnarlo nelle mani del Regno di Sardegna.
Niente di più falso. Tra i garibaldini militarono anche meridionali che, anzi, a un certo punto, formarono il grosso dell’armata (circa 30.000 su 50.000 uomini) che affrontò nella battaglia del Volturno la controffensiva borbonica, scongiurando la riconquista di Napoli. I calabresi si distinsero molto per valore e per tenacia: alla partenza dei Mille da Quarto erano presenti circa 20 volontari provenienti dalla Calabria, ai quali se ne aggiunsero altri dopo lo sbarco di Giuseppe Garibaldi sulle coste della regione. Uno di essi fu Francesco Calfapetra, giovane possidente liberale che già da prima aveva manifestato sentimenti anti-borbonici.
Francesco Calfapetra nacque a Bovalino il 12 giugno 1830 dal barone Filippo Calfapetra, nobiluomo originario di Radicena (l’odierna Taurianova) e da Rosanna Lentini, gentildonna bovalinese. Il padre era stato un carbonaro e aveva partecipato ai moti del 1820-1821, che avevano indotto il re Ferdinando I delle Due Sicilie a concedere un regime costituzionale, salvo poi abrogarlo dopo l’intervento dell’esercito austriaco.
Insieme al padre partecipò attivamente alla rivolta mazziniana del 1847, promossa dai Cinque Martiri di Gerace (era amico di Gaetano Ruffo), che però fallì e terminò con la fucilazione degli organizzatori il 2 ottobre di quello stesso anno. Successivamente, scoppiati i moti del 1848 nel Regno delle Due Sicilie, e in particolare in Calabria, Calfapetra partecipò alla rivolta, riuscendo a disarmare le guardie di finanza di Bovalino e impadronendosi dell’arsenale custodito nella Torre Scinosa, un’antica torre d’avvistamento seicentesca costruita contro le scorrerie turche e usata all’epoca come caserma delle guardie doganali del paese; doveva portarle ai membri del comitato rivoluzionario formatosi sui piani della Corona, nella Piana di Gioia Tauro, ma appena arrivato questo si era sciolto a causa delle discordie interne e alla mancanza di fondi.
Ricercato per cospirazione e catturato nel 1850, Calfapetra venne rinchiuso prima nelle carceri di Ardore, poi in quelle di Reggio, dove fu punito dalle guardie con la pena del bastone, per aver disegnato la città di Messina assediata da vascelli con bandiera tricolore. Graziato nel 1853, tre anni dopo fu coscritto nel Granatieri reali a Napoli e nuovamente arrestato per aver fatto propaganda liberale tra i commilitoni. Rinchiuso nelle carceri di Castel dell’Ovo, il patriota calabrese vi rimase fino al luglio del 1860, quando re Francesco II, per ottenere l’appoggio di Francia e Inghilterra contro i garibaldini, concesse la Costituzione e liberò i detenuti politici.
Appena uscito di galera, Calfapetra si unì all’esercito garibaldino, militando come capitano nel Reggimento La Porta e combattendo valorosamente, il 1º ottobre 1860, presso Santa Maria Capua Vetere: gravemente ferito, strappò una bandiera di mano a un alfiere nemico, presentandola a Garibaldi, che gli disse: «Voi siete un valoroso!»
Dopo l’Unità d’Italia, entrò nel nuovo esercito italiano, conservando il grado di capitano nel 14º Reggimento di fanteria di linea, stanziato a Milano: nel 1862 sfidò a morte un certo capitano Pastoris, che aveva ingiuriato Garibaldi dopo il suo ferimento e il conseguente arresto sull’Aspromonte, ma il duello non ebbe luogo, per l’intervento del colonello Emilio Pallavicini (colui che aveva fermato e arrestato l’Eroe dei Due Mondi in terra calabrese), che conosceva l’abilità di spadaccino dell’ex-ufficiale garibaldino.
Nel 1863 fu inviato con il suo Reggimento in Puglia, dove combatté il brigantaggio filoborbonico, riuscendo a sgominare la banda di Michele Caruso, responsabile dell’uccisione di più di cento fra militari italiani e Carabinieri, oltre a quella di 67 civili, tra cui donne e bambini. Per questo motivo ricevette la cittadinanza onoraria del Comune di Casalnuovo, presso Foggia. Poco tempo dopo, Calfapetra depose il grado per poter partecipare alla spedizione del garibaldino Francesco Nullo, organizzata per prestare soccorso degli insorti di Varsavia contro il regime zarista, ma non fece in tempo a unirsi agli altri volontari. Nel maggio del 1866 Calfapetra si arruolò nuovamente come volontario per partecipare alla terza guerra d’Indipendenza, combattendo di nuovo con Garibaldi nel 2º Reggimento Volontari Italiani. Partecipò alla battaglia di Bezzecca al comando del corpo scelto dei Volanti, formato dai soldati più giovani, scelti per le marce celeri e destinati ai primi attacchi.
Finita la guerra, Francesco Calfapetra tornò a Bovalino, dove ebbe parte attiva alla vita politica del suo paese: infatti fu per due volte nominato per acclamazione capitano della Guardia Nazionale, e una terza volta venne eletto alla stessa carica. In questa veste, nel luglio-agosto del 1867, divenne responsabile dell’attuazione del cordone sanitario imposto dal governo intorno al limitrofo paese di Ardore, posto in isolamento a seguito dell’epidemia di colera che imperversò in Italia dalla fine del 1866 all’inizio del 1868. Quando nel paese scoppiò una rivolta, originata dalla mancanza di viveri e strumentalizzata dal partito borbonico locale, che spase ad arte la voce che il colera era diffuso dagli untori del governo, il capo della Guardia Nazionale bovalinese impedì che gli emissari ribelli venissero ricevuti a Bovalino, determinando l’isolamento e il fallimento del moto ardorese. Quindi, per esser riuscito a calmare le agitazioni e a mantenere l’ordine pubblico a Bovalino, il sindaco del paese, Nicola Spagnolo, insieme alla giunta municipale, lo premiò con una onorificenza, decretandogli una medaglia d’oro, mentre la cittadinanza gli donò una sciabola commemorativa.
Datosi alla carriera politica, Calfapetra aderì al partito democratico di Sinistra, impegnandosi successivamente in intense attività patriottiche, volte a celebrare il ricordo dei Cinque Martiri di Gerace, divenendo presidente del Comitato che aveva il compito di organizzare manifestazioni commemorative apposite. La prima in tal senso fu celebrata il 2 ottobre 1893 a Gerace: in questa occasione intervenne Francesco Calfapetra in persona, che rivolse un discorso pubblico per onorare i compagni di lotta caduti.
I suoi ultimi anni furono segnati da molti malanni, soprattutto da una forte artrite che lo costrinse spesso a letto: morì infine nel suo paese natio il 19 gennaio 1908, a 77 anni. Nel suo testamento dispose che il suo ragguardevole patrimonio fosse usato a fini filantropici.

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