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Precacore: tra storia, leggende e miti

Locride… e dintorni in Mountain Bike III

Di Rocco Lombardo

Grazie alle strade che si inerpicano verso l’Aspromonte, riusciamo a percorrere in poco tempo distanze che i nostri antenati impiegavano giorni a coprire a piedi, tuttavia, pur attraversando in lungo e in largo il nostro territorio, spesso siamo troppo veloci e distratti per renderci conto di cosa c’è intorno a noi, eccoci allora anche questa domenica pronti a disegnare un nuovo percorso in Mountain Bike, suggestivo e ricco di storia.
Il percorso si snoda tra una verde vallata (non per nulla denominata La Verde) rigogliose montagne e la costa pianeggiante. Man mano che ci si addentra nell’entroterra, percorrendo una dolce e progressiva salita, ci pervade la forte suggestione di essere quasi lontano dal mondo, fino a giungere presso il piccolo borgo di Precacore, l’antico abitato di Samo, che si trova a poco più di dieci chilometri dal bivio posto in corrispondenza della Strada Statale 106 Jonica.
Un luogo dove antichità e modernità tendono a intrecciarsi tra loro, dove storie e leggende popolano le piccole vie, dove il tempo sembra essersi fermato, tra il presente e il passato, una terra che nelle origini fu calcata per prima dai Greci, che lasciarono antiche usanze, antiche culture e persino un linguaggio a noi ancora oggi conosciuto e tramandato, imprimendo un’orma indelebile sulla nostra storia.
Incerte sono le notizie sull’origine di Samo, che il leggendario racconto storico vuole edificata nel 492 a.C. da profughi greci della città greca di Samo, scappati dalle incursioni di Dario, Re di Persia. Arrivati sulla costa Jonica, questi fuggiaschi si sarebbero diretti verso l’interno e stabiliti nella valle della fiumara La Verde, fondando appunto la città in corrispondenza del Monte Palecastro che, per la sua posizione strategica, fu crocevia di notevole importanza e i cui confini si estendevano da Capo Bruzzano fino a Gerace, una parte della Calabria Orientale ricca di numerosi centri di cultura.
Di buona mattina, verificati equipaggiamento ed efficienza delle Mountain Bike, partiamo da Locri per giungere a Bianco, in una domenica di calmierato lockdown caratterizzata da un cielo coperto e grigio. Dopo aver percorso i primi venti chilometri circa, dei settanta totali, interamente pianeggianti sulla SS106, ci concediamo una rituale sosta, con caffè e dolce presso una delle pasticcerie più rinomate della Locride, per poi proseguire sulla Strada Provinciale 69, fino a raggiungere la nostra destinazione, Precacore appunto, un borgo non molto conosciuto, come del resto accade per molti altri antichi e dimenticati borghi della Locride.
Precacore è molto vicina alla Samo attuale, conosciuta anche per i famosi Murales che caratterizzano le facciate delle abitazioni del centro storico, da dove è possibile raggiungere facilmente la nostra destinazione, arrivati infatti in paese, dalla principale Piazza Municipio si segue un primo tratto asfaltato in discesa, si attraversa un antico ponte sospeso su un vallone e si incrocia, a ridosso del greto della fiumara, dopo alcune decine di metri, un suggestivo sentiero sterrato, molto ben segnalato e curato, da cui ci si inerpica sui fianchi del pendio sul quale insistono i ruderi dell’antico abitato; la fatica comincia a farsi sentire ma l’adrenalina del percorso a picco sulla rupe la compensa ampiamente, il panorama mozzafiato, poi, ci ripaga oltre modo del dispendio fisico.
La storia del borgo è affascinante ed è legata indissolubilmente, come detto in premessa, alla fondazione di Samo, l’antico abitato fu più volte oggetto dell’azione demolitrice di diversi terremoti. Menzione particolare la riserviamo a quello del 1638, cui si fa risalire, tra storia e mito, il nome di Precacore; un’antica leggenda racconta infatti di una donna sopravvissuta al terremoto che, affacciandosi da una delle poche case rimaste in piedi, avrebbe esclamato: «Mamma, o mamma, nel vedere la mia Samo così distrutta mi crepa il cuore.»
La città visse quindi, da quell’evento, una nuova storia, finché il ben più triste noto terremoto del 1908 non scrisse la parola fine del borgo e gli ultimi abitanti dovettero abbandonare il sito per riedificarlo nella sede attuale, ove riprese l’antico nome di Samo.
Posto in cima ad un cocuzzolo di roccia, conserva non pochi elementi di incanto e di atmosfera sospesa, costituendo uno dei tanti borghi fantasma della nostra terra, gode di una posizione eccezionalmente panoramica sul maestoso letto ghiaioso della fiumara sottostante, spaziando fino al mare e sui paesi circostanti. Decidiamo quindi, di lasciare le Mountain Bike ai piedi della salita che incrocia i primi suggestivi ruderi, procediamo sulla sterrata che sale ripida e scoscesa tra cisti e arbusti, finocchio selvatico e macchia mediterranea fiorita e profumata.
Rapiti ed estasiati dalla suggestione magica e silenziosa che pervade questo luogo, dai ruderi del castello Pitagora, allo scheletro di qualche antica casa, dalle Chiese di San Giovanni Battista e di San Sebastiano, parzialmente recuperate, ai vicoli caratteristici che lasciano immaginare il borgo nella sua piena vitalità, ci regaliamo l’emozione di un ambiente unico con una vista panoramica incredibile:, mai fotografie e video furono più appropriati, riprendiamo quindi il crinale sterrato, fino a giungere alla Sorgente della Rocca, dove effettuato il rifornimento di acqua. Attraverso il ponte Santa Caterina rientriamo presso l’abitato di Samo, caratterizzato dalla toponomastica stradale dAl doppio nome in grecanico arcaico.
Riprendiamo quindi la Strada Provinciale, superiamo il centro abitato di Samo e, in pochi chilometri, aumenta il dislivello del tracciato, ci imbattiamo infatti, dopo un primo tratto in discesa parzialmente lastricato, in una ripida e sterrata salita, bypassando in parte un frana che occlude il passaggio alle autovetture, per riprendere in cima al pendio l’asfalto della strada che ci condurrà tra le vie del paese di Sant’Agata del Bianco, la cui fondazione è legata a suggestive leggende medievali, che si erge fiero e nobile a testimonianza delle origini bizantine e dei tanti tesori nascosti, il quale, unitamente agli altri due borghi che attraverseremo lungo la via del ritorno, Caraffa del Bianco e Casignana, dal 1928 al 1946, durante la dittatura fascista, venne denominato Samo di Calabria per poi definitivamente riacquisire la denominazione repubblicana come da Decreto Legislativo Luogotenenziale 1º febbraio 1945, nº 58:

I Comuni di Casignana, Caraffa del Bianco, Sant’Agata del Bianco e Samo, fusi con Regio Decreto 31 Maggio 1928, nº 1.504, con l’unica denominazione di Samo di Calabria, sono ricostituiti con la circoscrizione preesistente all’entrata in vigore del decreto medesimo.

La strada Provinciale ci porta quindi ad attraversare il borgo di Caraffa del Bianco, la cui denominazione attuale risulta essere stata imposta nel 1864 dalle autorità del tempo per distinguerla da Caraffa di Catanzaro, attraversando in discesa scorci suggestivi, chiese, piazzette, palazzi e un belvedere mozzafiato.
Dopo solo qualche tornante eccoci infine a Casignana, il cui territorio è compreso all’interno di una delle divisioni territoriali più belle e attraenti dell’intera Locride, tra la particolarità dei colori tipici della costa, alla rinomata coltura dei vigneti del Greco di Bianco, un centro storico anch’esso di rilevante interesse culturale, un’area archeologica di ben 10 ettari all’interno della quale è stata rinvenuta la sontuosa Villa Romana del III secolo a.C., ricca di mosaici e dotata di un complesso termale, nella Contrada Palazzi, località presso cui riprenderemo la SS106, per percorrere a ritroso gli ultimi venti chilometri che ci ricondurranno al punto di partenza.
Per scoprire le meraviglie nascoste di questi ultimi luoghi, soltanto attraversati, ci ripromettiamo di riservare la giusta considerazione in occasione di altre escursioni.

Redazione

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