Non serve il suono per avvertire il grido straziante della società
Di Nicoletta Quaranta
Sono veramente poche le canzoni che oggi sono in grado di suscitare in chi le ascolta sensazioni di quiete e sentimenti profondi. The Sound of Silence, a distanza di quasi 60 anni dalla sua incisione, è tuttora uno dei pezzi più belli e travolgenti della storia della musica che, con la sua melodia e con i suoi pochi accordi di chitarra ci trasporta in una dimensione onirica, in un mondo in cui le parole sono superflue. Già il titolo ossimorico, con cui si presenta il brano, allude ai continui contrasti presenti nel testo. La luce fredda e il buio, il silenzio e la parola sembrano essere elementi partecipi della lotta tra bene e male, tra la conoscenza, diffusa dalle parole profetiche, e l’ignoranza delle persone che si inginocchiano davanti alla luce vuota delle insegne. Le parole poetiche del testo ci fanno intraprendere un viaggio tra antichità e modernità racchiuso nella canzone stessa che, a partire dal suo esordio, si rivolge all’oscurità con un affettuoso e amichevole saluto, quasi come un’invocazione alla Musa dei poemi omerici, per poi perdersi nella luce artificiale delle metropolitane e nei corridoi delle case popolari. Le parole che vengono sussurrate da Simon & Garfunkel sembrano alludere al vero e proprio suono del silenzio e alla necessità dell’assenza di rumore per l’uomo: spesso le parole viaggiano nel vuoto, come accade nel celebre dipinto L’urlo di Edvard Munch, in cui non è necessario il suono per avvertire il grido straziante della società. Per noi, che il silenzio l’abbiamo vissuto nelle immagini della colonna mezzi militari che trasportavano le vittime di Covid-19 e del Papa seduto al centro di una Piazza San Pietro desolata, non è difficile avvertire la modernità di una canzone scritta negli anni ’60 e con essa percepire le innumerevoli voci del silenzio e, tantomeno, la grandezza che si cela dietro a esso.
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