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Sarà stata anche la mano di Dio, ma la noia è mortale


Edil Merici

⚠️ ATTENZIONE!
Quella che segue non è una recensione, ma un articolo d’opinione che vuole invitarvi a riflettere sugli aspetti di un prodotto cinematografico di tendenza che potreste non aver notato e, perché no, alimentare un dibattito costruttivo…

Ci sarà stato anche l’intervento divino – come ipotizza il titolo – ma vi assicuro che la noia è del tutto terrena. Ho iniziato la visione di È stata la mano di Dio piena di speranze, perché mi era stato descritto come il film dell’anno, il migliore di Paolo Sorrentino, tornato finalmente il regista di un tempo.
«Ti avverto – mi ha detto l’amica esperta di cinema, – piangerai tutte le tue lacrime!»
E io, forse a causa delle sue parole, forse semplicemente perché l’aspettativa era altissima, mi sono messa comoda sul divano con i fazzolettini alla mia destra.
Fin dalle prime sequenze, è palpabile l’emozione dovuta al presunto arrivo di Maradona a Napoli. Fabietto Schisa, il giovane protagonista del film, si interroga sul possibile futuro calcistico dell’uomo nella squadra della città e ne parla a casa. Con questo escamotage, viene presentata la sua famiglia che – essendo il film autobiografico, come dichiarato da Sorrentino stesso – dovrebbe almeno in parte corrispondere a quella del regista. Le aspettative sono altissime: dove sarà nato e cresciuto un artista di questo calibro? Quanto avrà influito quell’ambiente sulla sua creatività?
In realtà, il nucleo famigliare rappresenta proprio il primo elemento di banalità della pellicola: i personaggi sono così stereotipati che potrebbero essere il parentado di chiunque. Il padre è un impiegato in banca che tradisce spasmodicamente la moglie, casalinga annoiata che lo perdona sempre e occupa il tempo facendo scherzi ai vicini di casa mentre attende il ritorno del maritino alla sera. I figli, che non vogliono ripercorrere la strada già spianata che hanno di fronte, aspirano al mondo dell’arte cinematografica. «Ma – direte voi, – che colpa ha lui se ha avuto una famiglia normale?»
Nessuna
. E infatti ho deciso di andare avanti nella visione nonostante le premesse, per capire perché lui stesso si racconti come un predestinato con vicende del passato segnanti a tal punto da cambiare gli eventi della sua vita.
Quasi a metà racconto, viene introdotta tutta la linea parentale che, si sa, qui al Sud è molto ingombrante e spesso folkloristica. In questo caso i personaggi appaiono caricature di ciò che dovrebbero rappresentare e, ovviamente, l’effetto è voluto. Tuttavia, sono così grotteschi da sembrare disumani, finti, irreali. Circensi all’opera per stupire.
«Ma come – potreste allora ribattere, – non è questo il tratto distintivo del regista?»
. Se ne La grande bellezza, ad esempio, i caratteri e le debolezze venivano amplificate, ugualmente riuscivamo a immedesimarci in qualcosa, seppure negativo. Riuscivamo a intravedere l’umanità, fosse anche fallace.
Questa volta no. La scena in cui zii, cugini e parenti vari mangiano tutti assieme è così surreale e spettacolare (in tutte le accezioni del termine) da ampliare a dismisura lo spazio tra spettatore e film. Non siamo mai dentro la storia, ma la guardiamo sempre da fuori. Riconosciamo sì il talento mostruoso degli attori, ma senza mai dimenticare che lo siano. Le immagini scorrono e noi ammiriamo e riconosciamo bravura e ingegno, ma non riusciamo a specchiarci.
Siamo di fronte a una vera e propria performance, sfoggio di abilità e tecnica.
La storia scorre e apprendiamo le peripezie dell’autore: una vita sfortunata, è vero. Ma ancora non comprendiamo a fondo le sfumature che evidentemente hanno fatto la differenza.
Il punto di vista è così personale e focalizzato da apparire limitante: guardiamo tutto attraverso gli occhi di Sorrentino e a volte ciò appare una costrizione che mortifica. Siamo sull’uscio della porta e osserviamo ciò che accade dentro, non possiamo entrare.  Questo non ci permette di provare emozione, di tifare per Fabietto, di trattenere il respiro davanti alle vicende.
È tutto molto bello, ma non dimentichiamo mai che è tutto finto.
Insomma, il film è sensazionale però, a mio parere, viene meno proprio il principio chiave che Sorrentino ci ricorda durante il lungometraggio stesso, attraverso le parole di Capuano:

A me gli ammiratori me stanno ‘ncopp’ ‘o cazz. A me piace il conflitto, hai capito guaglio’. Senza conflitto non si progredisce. Senza conflitto è solo sesso, e il sesso non serve a niente.

Anastasia Cicciarello

Nata a Locri nel 1990, membro effettivo della Millennials Generation, ha iniziato a scrivere prima sui muri con i pastelli, poi a scuola, dove ha incanalato la sua passione e non si è più fermata. Le piace viaggiare ma adora allo stesso modo la strada del ritorno, la bellezza dolorosa e fragile della sua terra. Abita ad Ardore, la cui posizione invidiabile le fa iniziare ogni giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno. Il bisogno di dire la sua l’ha condotta alla finale del concorso AttiveMenti con il racconto “La necessità del superfluo”, a scrivere “Il dolore non mi fa più paura” per la casa editrice Guthenberg e a collaborare con varie testate come hermesmagazine.it

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