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Storia di draghi e delfini: la stanza dall’infinita bellezza simbolica

Di Silvia Turello

La prima cosa che si fa entrando in una stanza è guardarne il tappeto. Nel caso della stanza dei draghi e dei delfini il tappeto è il mosaico, che all’ingresso coincide con un fiore a 12 petali che simboleggiano i dodici dei dell’olimpo e che non sono quindi casuali.
Le persone non entrano perché devono fare la sauna, il loro scopo non è purificare il loro corpo o, meglio, non è solo quello, ma, è stato già detto, lo fanno per purificare la loro anima e iniziare un percorso di conoscenza straordinario che viene suggerito in un modo simbolico dai mostri marini.
Nel 2012 emergono le prime tessere. Si andava sul luogo degli scavi alle 5 di mattina, perché già dalle 8 il caldo avrebbe reso faticose le operazioni. Con il tempo hanno preso forma le creature, un delfino e un drago, un drago e un delfino, un ippocampo e un delfino. Facendoci caso, il drago e il delfino si affrontano, perché sono muso a muso, hanno la coda mostruosa, e questo serve per simboleggiare che sono un gradino più sopra rispetto a noi. Hanno delle code di scorpione. Loro non si affrontano perché devono contendersi qualcosa, ma per essere insieme alla condivisione di un progetto.
Il drago serve a consacrare uno spazio e, in maniera molto semplice, ha un valore apotropaico molto forte. Afferma: “io sono qui a garanzia del bene. Finché ci sarò, il male non entrerà”. E questo rassicura tutti perché, simbolicamente, conferma di trovarsi in un luogo consacrato agli dei, con un guardiano straordinario. Il delfino, invece, simboleggia Apollo.
All’isola di Lesbo nasce un musicista bravissimo, chiamato Orione che, per fare fortuna, deve emigrare. È talmente bravo che decide di andare a Corinto. Quindi parte, inizia la sua carriera e diventa famosissimo, ma la nostalgia della sua terra lo fa tornare. La notte in cui prender quella decisione, in sogno gli appare Apollo, che gli dice: «Orione, attento: sarai rapito, derubato e ucciso. Pensaci». Orione riflette su quelle parole, ma non riesce ad arginare la sua nostalgia, così parte ugualmente.
Viene rapito, derubato, sta per essere ucciso su una nave pirata, ma chiede di poter realizzare un ultimo desiderio: cantare e suonare. Il desiderio gli viene concesso e, quando si mette effettivamente a cantare e suonare, il mare si popola di una distesa di delfini, tutti guidati da un Delfino più grande, Apollo, che se lo prende in groppa e se lo porta con lui. Di questa impresa esiste una meravigliosa statua a Corinto, a ricordare questo evento straordinario. Apollo trasforma Orione nella famosa costellazione. E lui ancora oggi è lì, nel cielo, che continua a suonare.
Il delfino è anche Dionisio, conosciuto dalla cultura latina come Bacco. Viene considerato un dio minore, ma vorrebbe stare un po’ più in alto. Dionisio decide un giorno di travestirsi da viandante e di scacciare i pirati: a causa loro, infatti, non si può partire all’esplorazione di nuove terre.
Sale su una nave pirata nelle sue finte vesti. Cominciano ad aggredirlo e Dioniso manifesta tutta la sua potenza trasformandosi in un possente leone. Si fa riconoscere, ruggisce, terrorizza. I pirati comprendono di averla fatta grossa, e lo capiscono ancora di più quando l’albero maestro della nave si trasforma in una vite, quando la nave diventa un fasciame di erba e i rami diventano serpenti. Ed è lì che decidono di buttarsi in acqua, perché è meglio morire che affrontare la furia del dio. Dioniso compie veramente il suo miracolo più grande. I pirati si buttano in mare e ne escono tramutati in delfini. E saranno condannati per l’eternità a portare gioia dietro le navi, perché quando si vede un delfino, si gioisce. Vedendo un delfino una persona è infatti naturalmente portata a pensare alla dolcezza, alla gioia, alla maternità e alla vita.
Allora il delfino è anche Dionisio, ed ecco dove risiede il potente simbolismo della stanza.
Anche l’ippocampo non si trova lì per caso, perché ha un potere che gli altri non hanno. Lo sapevano anche gli etruschi, che lo raffiguravano nelle tombe, nella quadriga infernale insieme a Caronte. L’ippocampo ha il potere di scardinare il corpo che imprigiona l’anima. Tutto questo insieme è un corteo marino che gira nel soffitto a cassettoni, che non è altro che la proiezione del mare nella volta celeste. Per i greci, infatti, il mare non era blu, ma era rosso. E il cielo si proietta sul mare, e i mostri meravigliosi osannano e fanno da protezione, nello spazio dell’infinito e della ricerca. Il mare è rosso come il sangue e come il vino, il mare è energia, è movimento e vitalità.
Il mosaico ha ottenuto tre primati:

  • il più grande finora trovato in Magna Grecia;
  • il più articolato per la sua composizione meravigliosa;
  • il più antico (risalente al 400/300 a.C.);

I tre primati non valgono nulla rispetto alla bellezza simbolica di cui è rivestito, ovvero che il male non può entrare, perché sta a noi decidere cosa sarà questo spazio. Ed è uno spazio che è sorvegliato da creature meravigliose. E ci insegna anche a riconoscere che anche noi, quando pensiamo di avere accanto un pirata, potremmo in realtà avere al fianco un delfino, e che non si usano gli occhi dell’anima per guardarlo. E poi ci dice che dobbiamo cercare, vedere cosa c’è dopo. Perché già di per sé, l’idea di cercare, è bellissima.

Grazie al professore Francesco Cuteri, mio docente di archeologia medievale all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, per aver scoperto questo straordinario mosaico, e per trasmettere ogni volta una smisurata curiosità sulle nostre origini ai suoi interlocutori, usando piccole dosi del suo grande sapere.

Foto: reportageonline.it

Redazione

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