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Costume e Società

Lea: una favola nera senza fine

Gli anni ’80 sono stati per l’Italia molto tormentati, per quanto riguarda i crimini efferati.
Infatti tra la fine del 1982 e quella del 1983 vengono uccisi 4 giovani: 3 a Bologna e 1 in Calabria. L’unico elemento in comune tra le vittime è l’iscrizione al DAMS, la prestigiosa Università di Bologna delle Arti, della Musica e dello Spettacolo. Chi sono queste vittime? La prima è Angelo Fabbri, ricercatore e allievo di Umberto Eco, assassinato a coltellate in una strada buia del quartiere Santo Stefano, delitto oggi irrisolto. La seconda è Liliana Rossi, uccisa a Crotone, dove si trovava per un lavoro estivo; nel 1988 fu condannato a 4 anni il proprietario dell’Hotel in cui lavorava. La terza è Francesca Alinovi, critica d’arte di fama internazionale dall’animo inquieto e fragile, morta nel suo stesso sangue nel loft di via del Riccio; fu condannato per il suo omicidio il suo allievo-amante, Francesco Ciancabilla. La quarta vittima, invece, è Leonarda Polvani, uccisa il 29 Novembre del 1983. Qualcuno li ha qualificati come I delitti del DAMS, ma è una falsa pista, perché nei fatti non c’è stata nessuna connessione con la tesi del killer seriale. All’epoca dell’omicidio di Leonarda Polvani nessuno di questi delitti era stato risolto, e questo fece dunque pensare che dietro ci fosse uno stesso assassino.

Il contesto

Come dicevamo ci troviamo a Bologna, negli anni ’80, in questo periodo sono in corso i delitti del Mostro di Firenze, la catena degli omicidi neonazisti dei due serial killer italiani detti Ludwig e a Roma, nel 1983, sparisce, dopo aver fatto lezione di musica alla Basilica di Sant’Apollinare, Emanuela Orlandi, una ragazzina di quattordici anni, cittadina vaticana figlia del messo pontificio di papa Giovanni Paolo II.
Dunque un periodo buio per l’intera nazione!
Tanti delitti spietati sconvolgono la quiete della popolazione ma, soprattutto quella bolognese, per una particolare quanto oscura vicenda. Si tratta di una serata molto strana e di una brutta storia, che parla di grotte e di lupi; questa storia è quella di Leonarda Polvani, detta Lea, e sembrerebbe quasi una favola nera ma, purtroppo, non è così perché questa storia è accaduta veramente e i lupi, qui, sono lupi cattivi, di quelli che fanno paura ai bambini.

5 metri per svanire nel nulla

Se si trattasse di una favola, la storia di Lea si ambienterebbe in una foresta incantata o in un luogo misterioso di un paese del nord, e invece questa storia è accaduta in una città, anzi una moderna città italiana, quale è Bologna, precisamente a Casalecchio di Reno; in una magica favola bianca, Lea sarebbe una principessa o una bambina che si avventura in un sentiero nel bosco, ma qui, nella nostra realtà, Lea è una ragazza di 28 anni che, la sera del 29 Novembre del 1983, torna a casa in macchina, verso le 20, dopo una lunga giornata di lavoro dentro il laboratorio di una gioielleria, dove creava gioielli, in un quartiere residenziale tranquillo, a venti minuti dal centro di Bologna. Lea scende nel garage per parcheggiare la sua macchina, come fa di solito, e lascia la macchina nel box dietro a quella del marito, che l’aspetta di sopra, in casa; Lea prende anche una busta contenente una confezione di uova da sei e un pentolino con i resti del pranzo. Dall’imboccatura della stradina che porta dal box fino al cancello del condominio, in cui abita Lea, ci sono circa 5 metri di strada; proprio in quei 5 metri Lea scompare, svanisce come se non fosse mai esistita! Il cancello e il portone d’ingresso del condominio non si aprono e Lea non sale le scale, non infila la chiave nella serratura della porta e non torna a casa. Scompare in quei 5 metri di stradina tranquilla! Il marito di Lea è a casa e la sta aspettando, perché sa che la moglie deve rientrare da un momento all’altro.

Quel maledetto 29 novembre

La mattina di quel 29 Novembre 1983, alle 7:30, Lea si era diretta verso il luogo in cui lavorava, e prima di andarsene, aveva detto al marito che sarebbe arrivata un po’ in ritardo, quella sera; poco male, perché anche il marito sarebbe rientrato tardi per la cena. Ma quella giornata, che era iniziata in modo tranquillo, si trasformò in un incubo, divenne letteralmente una favola nera senza fine! Sono le 20 passate e, a quell’ora, Lea dovrebbe essere già rientrata a casa; il marito è preoccupato, perciò chiama i suoceri, che abitano sullo stesso pianerottolo, e chiede se Lea sia con loro, ma purtroppo non c’è! Anche la madre di Lea telefona ad amici, parenti, conoscenti, ma nessuno l’ha vista. In questo esatto momento la preoccupazione del marito si tramuta in angoscia; scende immediatamente in garage per prendere la sua macchina e andare a cercare Lea e l’angoscia diventa un’agghiacciante paura quando, dietro la sua macchina, vede parcheggiata quella della moglie; tocca con le mani il cofano, che è ancora tiepido. Ma dov’è finita Lea? Dovrebbe essere già salita a casa! Le ore passano, sono quasi le 23 quando il marito di Lea prende il telefono e chiama i Carabinieri per denunciare la scomparsa della moglie.

Il ritrovamento

Per i seguenti 4 giorni non si sa nulla: partono subito le ricerche ma la Lea viene ritrovata solo il 3 Dicembre: è un corpo senza vita, con i vestiti strappati via e un laccio da scarpa attorno al collo. Lea viene ritrovata in un posto orribile e oscuro da due guardiacaccia che, mentre controllano la zona, si avvicinano a una grotta e notano che il filo spinato del cancello è stato tagliato da poco, proprio perché i due fili sono ancora lucidi e non ancora ossidati. Si tratta della grotta del colle della Croara, a San Lazzaro, dall’altra parte di Bologna; una cava di gesso abbandonata, formatasi 8 milioni di anni fa; oggi è una grotta stupenda, che serve come percorso didattico per i bambini perché ricca di minerali ed è inoltre rifugio per una colonia di pipistrelli, tra le più grandi d’Europa. Però, nel Novembre del 1983, quella grotta era assolutamente diversa rispetto a come si presenta oggi: era una grotta nascosta, fuori mano e tranquilla, che proprio per tali motivi serviva per il traffico degli stupefacenti, per il traffico di armi, per le assemblee della malavita e anche per le messe nere dei satanisti; dunque un brutto posto, un posto da lupi!

L’indagine

Le indagi su questo omicidio si presentano sin da subito molto difficili.
Per il medico legale, Leonarda Polvani è morta la stessa notte in cui è scomparsa: non è morta a causa dello strangolamento con il laccio da scarpa, non è stata violentata, né derubata, e non è stata neppure aggredita; Lea è stata uccisa da un proiettile, di una pistola di piccolo calibro, che le ha trapassato il cuore. Accanto al suo corpo vennero ritrovati il pentolino, la borsa e la confezione di 6 uova intatte.
Lea aveva addosso i suoi soliti gioielli: ma resta da chiarire il movente, forse uno sgarro!
I vicini di casa raccontano che fra le 17 e le 18, di quella terribile giornata, sotto casa di Lea, notarono una macchina ferma e un uomo che, sceso dal veicolo, andò a controllare i citofoni. Alle 18:30 quest’uomo sconosciuto ritornò per poi allontanarsi nuovamente. Inoltre alle ore 20 una donna si affaccia e nota una macchina scura: dentro ci sono alcune persone che discutono, una ha i capelli neri è sembra proprio Lea. Dopo il ritrovamento del corpo, arrivano tre telefonate ai Carabinieri: un uomo ha notato una macchina ferma davanti la grotta del colle della Croara, ricorda precisamente la targa, poi richiama le autorità per conferma e richiama ancora per aggiungere dettagli. A chi appartiene quell’auto? La macchina è del proprietario di una discoteca, che viene interrogato ma nega tutto, e inoltre non viene riconosciuto neanche dai vicini di casa di Lea.

Una svolta che conduce a un nuovo vicolo cieco

Dopo due anni arriva la svolta. Uno spacciatore, arrestato per un altro omicidio, racconta di sapere chi ha ucciso Lea, e fa tre nomi: Moreno Pesci, Carmelo Lopes e Angelo Alboino, tre pregiudicati implicati nel traffico di droga. Sono stati loro a rapire Lea e a portarla nella grotta? Alla fine del processo giudiziario i tre imputati, accusati di aver ucciso la Polvani, vengono assolti. In seguito la Cassazione annulla la sentenza di appello e rinvia a un nuovo processo, che li scagiona. Nel 2002 la Corte d’Assise d’Appello di Bologna dispone una nuova perizia sugli abiti della vittima, sul laccio della scarpa e sugli attrezzi usati per rompere il lucchetto che si trovava all’entrata della grotta; sui reperti però vengono ritrovate solo tracce di sangue femminile, quello della vittima. Anche questo ennesimo appello non ha portato quindi al responsabile della morte di Lea. Per il legale della famiglia di Lea, Mario Giulio Leone, l’unica traccia concreta, emersa in questi anni, riporta alla professione della donna, il lavoro nella gioielleria. Ma chi è stato a sparare quel colpo? Molti parlano di un unico colpevole per tutti gli omicidi, altri invece pensano a qualcosa che abbia a che fare con il lavoro in gioielleria; non è stata confermata nessuna ipotesi neanche con l’aiuto del test del DNA. Si tratta di un caso con molte incongruenze. Ancora oggi ci si chiede se la pista intrapresa dagli inquirenti sia stata quella giusta; ci si domanda ancora perché Leonarda non fece alcuna resistenza e non abbandonò il pentolino e le uova: il fatto che le uova fossero intatte anche dopo la sua morte, lascia pensare a un’assoluta mancanza di lotta. E, inoltre, quale rapinatore compie un omicidio pur sapendo che potrebbe rivelarsi inutile per il proprio scopo, ossia quello di entrare in una gioielleria?

Le tante ipotesi e le poche certezze

Molti dubbi pervadono ancora oggi coloro che studiano questo caso: ci si chiede ancora se non si trattasse di semplici rapinatori ma, ad esempio, di poliziotti in cerca di un secondo lavoro, che per sequestrare Leonarda magari le avessero mostrato un tesserino per poi convocarla in Caserma. Sta di fatto che qualcuno l’ha aspettata sotto casa, pazientemente. Alla domanda riguardante la morte di Lea risponde, in un’intervista, l’avvocato della famiglia Leone, il quale afferma testualmente che: Dopo tutto questo tempo abbiamo poche certezze:

Leonarda fu prelevata sotto casa dai suoi assassini; aveva ancora con sé il pentolino con i resti del cibo e le uova, che si era portata in laboratorio. Non la ammazzarono per rapinarla, perché quando fu trovata aveva gli orecchini e anche un orologio d’oro al polso, né per violentarla; inoltre la perizia del Dottor Corrado Cipolla d’Abruzzo ha escluso la violenza ma continuiamo ad essere convinti che quel delitto fu un’esecuzione per uno sgarro. Leonarda si rifiutò di partecipare a una rapina, un colpo organizzato dai malviventi nel posto dove lei lavorava; resistette, con la sua onestà, e venne uccisa!

La madre di Leonarda, Anna Maria, ricorda la vicenda di sua figlia con queste parole:

Sento che la storia vera di mia figlia, la più viva e la più importante, è rimasta sconosciuta; è quella estranea ai fatti della tragedia, è quella narrata nelle pagine del libro “Caro Diario”, che ho scritto attingendo al diario di mia figlia; una ragazza sempre alla ricerca di se stessa.

Il libro, scritto dalla madre di Lea, ricostruisce le giornate in base alle impressioni descritte a penna dalla ragazza, come ad esempio: “Durante le vacanze natalizie mi sono divertita”, e ancora: “Una melodiosa catena di note sta invadendo la mia stanza, possiedo finalmente una radio tutta mia”.
Ancora oggi, dopo 38 anni, il cold case di Leonarda Polvani rimane irrisolto.

Foto: metropolisbologna.it

Vittoria Petrolo

Nata a Locri nel 1992 e cresciuta tra la costa ionica e quella tirrenica calabrese, finito il Liceo Scientifico ha intrapreso la strada della Giustizia, frequentando la Facoltà di Giurisprudenza prima a Catanzaro e poi a Caserta, sognando di indossare un giorno la toga. Amante del sapere ha frequentato corsi di Psicologia Criminale e Analisi della Scena del Crimine, ma ha frequentato anche corsi di Politica Forense e criminologia. Di recente è entrata nella International Police Organization e nella Counter Crime Intelligence Organization, di cui coordina la sezione italiana. Grazie a questa collaborazione ha scoperto il mondo della scrittura e che “mettere nero su bianco” le sue competenze costituisce un’eccezionale valvola di sfogo.

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