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Costume e SocietàLetteratura

L’asino di Vincenzo Guerrisi Parlà contro la “Vil Razza Dannata”

Di Marinella Guerrisi

L’asino è l’animale da soma per antonomasia, la cui storia si è incrociata con quella dell’uomo quale indispensabile compagno nel suo lavoro. In Italia, sino agli anni ’50/’60, veniva ancora usato nelle zone rurali della Penisola e soprattutto nel sud. Oggi questo animale rappresenta un mondo che non appartiene più alla realtà in cui viviamo e sopravvive nei parchi o riserve naturali, poiché a rischio di estinzione. Anche in Calabria l’asino è scomparso da più di cinquant’anni; tuttavia, nelle moderne pubblicità o video che riguardano la regione viene riesumato come immagine iconica, rappresentativa a 360 gradi dell’essenza e storia della nostra terra e dei suoi abitanti.
L’asino, in ragione della sua apparenza distaccata e poco comunicativa, è stato da sempre vittima dei pregiudizi negativi che lo hanno eletto a simbolo dello stereotipo umano legato alla stoltezza e l’ignoranza. L’asino maltrattato, sfruttato, deriso, che all’occorrenza viene usato come un post-it per rappresentare una comunità che si vuol cancellare.
Del pari, tuttavia, si sta creando un rinnovato interesse per questo animale, tanto da rappresentare un punto di onore letterario parlarne o scrivere di lui, in una sorta di ossessione collettiva. Una gara, senza esclusione di colpi bassi, per la conquista del podio equino. È d’obbligo informare gli ignari lettori di questa presunta novella letteratura, che la storia letteraria calabrese vanta un illustre precedente nell’opera di Vincenzo Guerrisi Parlà che, negli anni ’50, fece dell’asino il protagonista di tante delle sue favole in modo unico e originale. Sutta Sutta I e II volume è il serto di gloria, per dirla alla Pasquino Crupi, che firma la prefazione. Gloria dell’autore, che è o sarebbe stata gloria della Calabria, gloria della Nazione, se questa gloria non avesse subito l’inciampo del fitto maglio di una sorta di mafia letteraria che continua a portare avanti i soliti autori quali paladini della salvezza culturale e sociale della nostra regione. Questi prestigiosi autori hanno dato tanto alla Calabria, tuttavia urge il coraggio di affermare che costoro, se ancora non hanno salvato la nostra regione, vi è il legittimo dubbio che la possano salvare in futuro. Aggiungere nuova linfa alla cultura attraverso la scoperta di nuovi autori in Calabria è un delitto, come se gli unici esseri pensanti che la nostra regione abbia avuto, nella sua storia, siano stati quei quattro o cinque di cui si è detto tutto e il contrario di tutto. Grettezza, mancanza di coraggio, ancoramento, senza rischiare, a ciò che è consolidato e noto, nuotare fin dove si tocca con i piedi la terra senza mai prendere il largo! Vil razza dannata! Questi siamo? Non credo! O, almeno, non tutti! Esiste nei calabresi una forza che si genera dall’onestà, dall’integrità morale… dall’intelligenza, dalla cultura che nessuno mai potrà schiacciare nonostante il bavaglio, il giogo o il basto imposti da chi esercita un ingiusto potere, o da chi dissimula la realtà per un proprio tornaconto.
Giogo, Bavaglio, Basto usati in senso metaforico per identificare l’essere umano ridotto allo stato animale. Ma nell’ animale quanto riconosciamo di umano? Nulla! Oppure molto poco. Ma quel poco è bastato a fare vibrare la fantasia poetica di Fedro, Esopo e di Vincenzo Guerrisi Parlà nell’umanizzare gli animali protagonisti delle loro favole… e Guerrisi, per come riconosciuto dal Critico letterario Pasquino Crupi, va oltre i suoi illustri precedessori per avere inserito nei dialoghi animaleschi la figura di un animale principale, l’asino, che si  ripercuote di favola in favola. Favole ove a parlare sono gli animali impersonando un vizio o una virtù umana e l’asino sentenzia con moralità alla fine dei dialoghi, con intelligenza e saggezza. Vincenzo Guerrisi Parlà, in tempi non sospetti, sceglie l’asino, l’animale più bistrattato, per rappresentare la moralità e umiltà dell’uomo onesto, puro nell’anima che piace tanto a Dio, con il quale lui forse si è identificato. L’asino che è rappresentato accanto alla Sacra famiglia nella povertà di una stalla. Povertà e umiltà che Dio premia e nella quale fa nascere Suo figlio Gesù.
La non umana società descritta Vincenzo Guerrisi Parlà è una società piramidale ove all’apice è posto il leone quale capo incontrastato dei subalterni animali. L’asino fuoriesce da questa costruzione sociale poiché, seppur conscio dei doveri verso il suo padrone e incarnando il lavoratore indefesso… si pone libero nel pensiero di sentenziare con moralità sui vari comportamenti… e soprattutto nei confronti del leone che detiene il potere assoluto. Di contro, il leone tiene in considerazione il giudizio dell’asino, lo rispetta, poiché sa che è vero, in quanto non è falsato da alcun timore reverenziale. L’asino di Guerrisi rappresenta il calabrese operoso e onesto che, tuttavia, nella sofferenza della sua condizione, sa alzare la testa per far trionfare la verità. È colui che subisce ma che al contempo reagisce con la moralità e libertà della sua parola, per tentare di cambiare, tra vizi e virtù, una società dominata da… una vil razza dannata!

U leuni e u sumeri

Di Vincenzo Guerrisi Parlà

U leuni dicìa non’haju amuri
i campu i ‘sta manera e stranottatu,
paci non trovu ‘cchjù pè sti doluri…
‘na vota mi mi jarzu riposatu.
Mi curcu e ‘stu curari chi mi vali,
se ogni notti mi ‘nsonnu cosi mali.

Vitti u sumeri e po’ si dumandau:
“Tu chi ti ‘nsonni ‘nta ‘ssi notti toi?
Criu ca nugliu sonnu ti schjantau
e non ti spagni, dormi a undi voi.
Dimmiglia sulu tu menza parola
tu, chi sa’ tantu e a tutti si fa’ scola!”

“Leuni –si rispundìu- u sonnu è fattu,
i si mangìa i fatichi d’a jornata!
jè mi ricogghju e puru ca su spattu,
mi jarzu bonu a’ppressu matinata.
U sonnu meu è chjnu com’allovu
E non mi ‘nsonnu nenti undi mi trovu.

Tu chi cumbini o mundu tanti guai,
ti lamenti ca a notti non riposi?
Quali lavuru tu facisti mai
i ti ‘nsonni non chissi, ma attri cosi?
Se a memoria perdisti, facci lorda,
u mali fattu a notti t’u ricorda!”

Il leone andava dicendo: “Non ho più voglia
di continuare a vivere in questo modo perché non dormo
pace non trovo più per questi dolori…
che una notte io mi alzassi riposato!
Mi corico, ma  coricarmi  non mi giova,
poiché ogni notte sogno brutte cose.”

Vide l’asino e poi gli chiese:
“Tu cosa sogni in queste notti tue?
Credo che nessun cattivo sogno  ti abbia mai terrorizzato
e non hai paura, dormi ovunque tu vuoi.
Dimmi soltanto mezza parola,
tu, che sai tutto e a tutti fai scuola!”

“Leone – gli rispose- il sonno è fatto,
affinché ingoi le fatiche della giornata!
Al mio rientro nonostante io mi senta sfatto,
poi, mi alzo bene il mattino successivo.
Il sonno mio è pieno come l’uovo
e non sogno nulla ovunque io mi trovi.

Tu, invece, che combini al mondo tanti guai,
ti lamenti perché la notte non riposi?
Quale lavoro tu hai fatto mai
da sognare non queste ma altre cose?
Se la memoria hai perso faccia sporca,
il male fatto, la notte te lo ricorda!”

Introduzione a Sutta Sutta vol II

Di Pasquino Crupi

Vincenzo Guerrisi Parlà che ormai cammina alto negli anni – è nato a Bovalino (Reggio Calabria) il 16 agosto 1925 – e sempre con la schiena diritta, ha alle sue spalle un consolidato e organico esercizio di poesia, per nulla smentito da una storia editoriale avventurosamente frazionata e dilatata nel tempo. Pubblica la sua prima raccolta di versi dialettali, Sutta Sutta, nel 1985 (ma quanto al tempo della scrittura, come Sutta Sutta 2006, risale agli anni Cinquanta). Attende ben 10 anni, ed è il 1995 quando, in lingua italiana, dà alla luce la fiera operetta, d’intonazione meridionalista, La leggenda del calabrese e, tre anni dopo, nel 1998, la silloge dialettale Brasi: le braci, ceneri e scintille del suo cuore esulcerato di calabrese, che non ha perso la memoria. Ha ancora molti versi sotto il cuscino insonne, e già pronte altre due raccolte: Caratteri e Mundizzi.
Ora riemerge con il volume Sutta Sutta, che di Sutta Sutta 1985 è la prosecuzione, e che aveva il pregio, per scelta decisa di Vincenzo Guerrisi Parlà, di uscire senza prefattori illustri, chiamati – e anche pagati – a illustrare ciò che illustre non è. E infatti, l’ora anziano Poeta dichiarava in premessa che tra lui e il lettore aveva voluto che non ci fosse nessuno. Ciò che costituisce il contrassegno inconfondibile della poesia dialettale, che riesca a essere anche popolare: il poeta dialettale è la frazione parlante del popolo, e al popolo parla direttamente. Come in Sutta Sutta 1985 era avvenuto. Così riavviene in Sutta Sutta 2006. Il lettore non è affatto obbligato a leggere l’introduzione, da me firmata e, anzi, è affettuosamente invitato a saltarla o, se proprio vuole, a leggerla solo dopo gl’intensi e tersi testi di Vincenzo Guerrisi Parlà.
Si scatenano favole su favole in Sutta Sutta 2006, come già in Sutta Sutta 1985,. Accerchiano il mondo circostante, e mai lo aggirano. Lo affrontano di petto e lo prendono di petto, centralmente, là dove schiuma tutta la prepotenza e l’ipocrisia della non umana società, grande centauro che con la testa accarezza e liscia e con i piedi scalcia contro i più nobili sentimenti, che rimangono quelli cristiani. Parlano gli animali, per lo più bestie domestiche. E da sempre gli animali hanno parlato contro gli uomini e i loro vizi. Precisamente da quando Esopo e Fedro hanno concesso loro la parola effabile, che non è più latrato, raglio, ruggito e così via. Si capisce che Vincenzo Guerrisi Parlà ha i suoi modelli in Esopo e Fedro. Ma, se da loro deriva il genere, nel genere non rifluisce e non ristagna. Non si ripete. E questo è fatto di straordinaria potenza, visto che la favola non è rinnovabile come rinnovabili non sono le specie animali di cui si interessa.
La prima novità che Vincenzo Guerrisi Parlà introduce, sta nella potatura drastica del bestiario di Esopo e Fedro, riducendolo a pochi animali, e solo qualcuno feroce. E, dunque, la seconda novità consiste nella domesticazione delle bestie. Condizione, questa, che rendendo possibile conoscerci quotidianamente e nella quotidianità, rende certo e vero il loro giudizio.
Due novità per il poeta favolista sono già un serto di gloria. Ma Vincenzo Guerrisi Parlà favolista non è solo poeta favolista nuovo. Va oltre la novità, verso l’originalità, e la raggiunge. Egli è il primo e solo nella straordinaria operazione d’interruzione di ciò che caratterizza e sembrava essere il destino del raccontare per favole: l’episodicità. Alla quale non si sono sottratti ne i favolisti antichi né i favolisti moderni e contemporanei, che si esprimono per quadri, tanti quadri, in se compiuti, e ognuno, slegato dal resto. Moralità in sé chiuse. Senza visione d’insieme. Con soluzione di continuità tra l’una e l’altra favola. Come di calendario dove i giorni scorrono l’uno dopo l’altro. Non così Sutta Sutta. Le favole non sono moralità, chiuse in sé, soddisfatte di sé. Disegnano un cammino e mettono in evidenza, per la prima volta nel genere favolistico, l’esistenza di un personaggio principale, nel nostro caso l’asino, che si ripercuote di favola in favola e lascia la porta aperta a una visione organica dei guai del mondo. Quando questo accade, come è accaduto, si è di fronte alla trasformazione della favola in romanzo. Proprio quello che mancava alla letteratura italiana. La menomazione è stata risarcita. E, per ciò stesso, Vincenzo Guerrisi giganteggia nel panorama della poesia dialettale del nostro e dell’altrui tempo come il poeta della rivoluzione epocale della favola. Il serto di gloria è completato dal serto di luce che torna a illuminare il cammino della letteratura dialettale del nostro tempo e del tempo che verrà.
Introduzione originariamente pubblicata su Sutta Sutta vol. II, Pellegrini, Cosenza 2006

Foto: labottegadelvasaio.net

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