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Costume e Società

Il serial killer che odiava gli italiani

In ogni Paese e in ogni epoca ci sono luoghi bui che sfuggono allo sguardo, punti ciechi in cui la luce di tutti i giorni non arriva, soprattutto per quelle epoche e quei Paesi che si ritengono più sani e casti e che proprio quei luoghi tenebrosi hanno deciso di ignorare, stabilendo un confine oltre il quale non è più lecito spingere lo sguardo. È proprio qui che si rintanano quegli incubi che turbano i sogni degli innocenti; ogni epoca e ogni luogo, come anche l’Italia, ha il suo incubo, il suo serial killer. Un uomo è seduto dentro la sua capanna, al buio; intorno a lui ci sono solo montagne alte, con la punta ancora innevata, sembra un paradiso, immerso in un silenzio quasi assoluto e pieno, come quel silenzio dentro le orecchie di chi lo ascolta, che viene rotto solo dal vento che, ogni tanto, fischia o mormora. È l’1 marzo 1996, ci troviamo a Merano e, in questo giorno, quel silenzio viene rotto da un fischio, come quello del vento, però più intenso e lungo. È il fischio di una sirena, di tantissime sirene. Sono quelle delle auto della Polizia e dei Carabinieri, accompagnate dal ronzio di due elicotteri che si alzano in cielo: la gente si affaccia alle finestre, chi è in strada alza la testa verso il cielo per guardare; sta succedendo qualcosa di inquietante, perché anche in paradiso la gente ha paura, una paura iniziata da quasi un mese.

L’omicidio di Hans-Otto e Clorinda

L’8 febbraio, infatti, accade una cosa brutta: Hans-Otto Detmering, 61 anni, è un funzionario della Deutsche Bundesbank. Sta passeggiando assieme alla sua compagna, Clorinda Cecchetti, di origine marchigiana, che fa l’impiegata: i due amanti sono in vacanza proprio nella città di Merano, un posto molto tranquillo, che hanno scelto anche per comprare una casa in cui trasferirsi quando Hans-Otto andrà in pensione. Sono arrivati il 3 febbraio, alloggiano all’albergo Il Conte di Merano e, di lì a pochi giorni, torneranno ognuno ai propri impegni. Merano è divisa in due dal fiume Passirio, da una parte si trova il centro e dall’altra strade in salita che portano alla zona residenziale. Quella sera Hans-Otto e Clorinda stanno percorrendo la passeggiata d’inverno, lungo il Passirio: sono le 19:00 circa ed è buio; qualche lampione illumina loro la strada mentre, camminando, chiacchierano in italiano, ma c’è anche qualcuno che si avvicina a Hans-Otto e a Clorinda, un uomo vestito di nero, con un berretto in testa e uno zaino sulle spalle, che li raggiunge in silenzio e, quando è molto vicino, alza il braccio puntando una pistola e spara a Hans-Otto un solo colpo in testa. Clorinda vede il suo compagno cadere a terra e si china d’istinto su di lui, come per aiutarlo, ma l’uomo spara anche a lei, dall’alto verso il basso, sempre alla testa: credevano di essere in paradiso, i due amanti, e invece si sono ritrovati all’Inferno.
Subito arriva la polizia, insieme al magistrato Paul Ranzi, che dispone subito le necessarie indagini tecniche e l’autopsia, anche se è evidente a tutti che si tratti un’esecuzione! Le indagini seguono sin da subito due piste.

Le due piste

La prima è quella passionale: Hans-Otto in Germania era sposato e aveva due figli e le cose con la moglie non andavano tanto bene, infatti aveva deciso di divorziare e la famiglia sapeva benissimo di quell’altra donna con la quale Hans-Otto aveva una relazione da 4 anni. Ma non c’erano problemi economici e la moglie, che faceva la farmacista, era rimasta a lavoro per tutto il tempo, per cui quella ipotesi viene subito scartata; la seconda pista si basa sul lavoro di Hans-Otto, perché è il funzionario di una grande banca tedesca e ha un ruolo molto importante, tanto da far pensare allo spionaggio bancario. Ma Hans-Otto non conosceva nessun segreto bancario, niente che potesse giustificarne l’omicidio, così anche questa pista viene accantonata.
Passano pochi giorni e, dall’autopsia, emerge soltanto che a uccidere i due amanti siano stati proiettili calibro 22.

La testimonianza di Luca Nobile

Il 13 febbraio alla polizia si presenta un uomo di 24 anni, fa l’imbianchino ed è di Merano, si chiama Luca Nobile: quest’uomo parla molto con gli inquirenti e dice che quella sera si trovava proprio sulla passeggiata d’inverno, tra le 18:40 e le 19:20, a fumare uno spinello. In quel frangente ha visto un uomo vestito di nero, con uno zainetto, che afferma di aver visto sparare a una donna e a un uomo; Luca, impaurito, era scappato e si era nascosto dietro un Hotel lì vicino. Aveva visto ancora il killer di spalle e così era nuovamente scappato, imboccando il vicolo che portava fino al Duomo di Merano. Luca Nobile dichiara agli inquirenti che non sapeva cosa fare e così era tornato sul luogo del delitto, dove erano già arrivati i soccorritori ed era tutto illuminato dai lampeggianti, allora aveva deciso di tornare verso il centro di Merano: «Avevo paura!», continua a ripetere; racconta di aver incontrato di nuovo il killer proprio davanti al Duomo, dice di averlo seguito e visto entrare in un negozio, voleva parlarci e chiedergli una sigaretta. Luca Nobile descrive nei dettagli l’assassino: un uomo alto, di circa 30 anni, con la carnagione scura e le guance scavate, senza barba né baffi né occhiali e aggiunge che portava un giubbotto di pelle marrone scuro, con jeans scuri, aveva i capelli corti e ricci. Quando gli chiedono se aveva mai visto quell’uomo, Luca Nobile dice di no e che secondo lui sembrava uno straniero. Il racconto sembra un po’ strano ma la descrizione è così precisa che non la si può certo ignorare, gli inquirenti pensano di essere a buon punto: hanno un identikit e sembra che l’indagine possa risolversi in fretta.

Il caso Umberto Marchiorio

Il 14 febbraio, in tarda serata, la centrale operativa dei Carabinieri di Merano chiama il Pubblico Ministero di turno, Cuno Tarfusser, intorno alle 21:20. Una pattuglia del Radiomobile è intervenuta a Sinigo, un quartiere di Merano, dove è morto un contadino, Umberto Marchioro, che si trova nel cortile di un maso, una casa rurale con un fienile e una stalla, apparentemente per un incidente. Anche il medico legale ritiene che Marchioro sia morto in seguito a una caduta e il magistrato fa rimuovere il corpo senza disporre un’autopsia; il giorno dopo, tuttavia, un altro medico ispeziona il corpo di Umberto Marchioro e si accorge che, in piena fronte, c’è un foro circolare; i Carabinieri chiamano il magistrato, che questa volta dispone un’autopsia, eseguita dallo stesso medico che l’aveva fatta sui corpi di Hans-Otto e Clorinda, durante la quale estrae un proiettile del tutto simile a quelli estratti dai corpi dei due amanti. Per sicurezza il proiettile viene inviato alla scientifica dei Carabinieri per una perizia balistica. La risposta arriva il giorno successivo: tutti e tre gli omicidi sono stati compiuti con la stessa arma, una calibro 22; i due PM, Paul Ranzi e Cuno Tarfusser, capiscono di avere un problema, anzi un incubo di quelli da cui non vedi l’ora di svegliarti: a Merano c’è un serial killer.
In merito agli omicidi di Hans-Otto, Clorinda e Umberto Marchioro, c’è una cosa che tormenta gli inquirenti: Luca Nobile era sul luogo del primo duplice omicidio e abita a Sinigo, a 200 metri da dove Umberto Marchioro è stato ucciso; in certe situazioni le coincidenze non esistono, così Luca Nobile viene sentito nuovamente come persona informata sui fatti; proprio il 14 febbraio, dopo che Nobile era stato accompagnato da una volante alla Questura di Padova per fare l’identikit dell’assassino che aveva visto solo lui; i poliziotti lo avevano riportato a Sinigo attorno alle 19:55 e lo avevano scaricato davanti casa della madre, perché Luca è senza fissa dimora. Secondo quanto racconta agli inquirenti, dopo essere sceso dalla volante, raggiunge la casa della madre, bussa, aspetta qualche minuto e poi se ne va, perché non ha le chiavi e sua madre non è in casa, decide allora di fare un giro per vedere se incontra qualche amico, magari per bere qualcosa insieme, imbocca un sentiero alle spalle della casa, raggiunge la statale Merano-Bolzano, lungo la quale si incammina in direzione di Bolzano e scende di nuovo nell’abitato di Sinigo; questo particolare gli inquirenti lo ascoltano attentamente, perché l’unico sentiero che dalla statale porta a Sinigo passa proprio accanto alla casa di Umberto Marchioro, ma c’è altro: secondo i calcoli, Luca Nobile sarebbe passato di lì tra le 20:05 e le 20:25, proprio l’ora della morte del contadino. Luca Nobile prosegue nel racconto, dice di essere tornato verso Merano attraverso la passeggiata d’estate e poi attraversando via Roma, di aver ripreso la statale a piedi e di essere tornato a casa della madre intorno alle 21, ma ancora una volta non c’era nessuno e per questo aveva deciso di andare a dormire in una tenda, presso un cantiere che spesso gli fa da casa. Anche quel cantiere e quella tenda sono a pochi passi dalla casa di Umberto Marchioro e, anzi, risulta che fino a pochi mesi prima quella tenda fosse proprio nel cortile della casa di Marchioro. Nobile insiste di non sapere neanche chi fosse Umberto Marchioro, ma i magistrati non sono convinti. Indagando, scoprono che Luca ha un precedente penale in fatto di armi, che fa uso di stupefacenti e che c’è anche una contraddizione nelle sue dichiarazioni: era impossibile, quella notte dell’8 febbraio, vedere così dettagliatamente in faccia l’assassino, era troppo buio.

«Bisogna eliminare qualcuno»

Il magistrato autorizza una perquisizione a casa di Luca Nobile, ma non si trova niente, intanto gli inquirenti ascoltano altre persone: c’è un uomo che quella sera dell’8 febbraio stava correndo, come sua abitudine, in zone poco trafficate: lui lo ha visto Luca Nobile ma prima, intorno alle 18:45, una volta sul lato destro e poco dopo dall’altra parte. Sul lato sinistro, inoltre c’è un altro uomo che la sera del 14 febbraio esce alle 20 da casa per portare fuori il cane, come fa tutte le sere, e che esce dal centro di Sinigo per percorrere un tratto della statale in direzione di Bolzano, attraversa la strada e scende lungo un sentiero che passa accanto alla casa di Umberto Marchioro. Quella sera c’è qualcosa di strano, perché a un certo punto, il cane comincia ad abbaiare guardando verso la campagna, l’uomo non ci fa caso e torna indietro, non vede nessuno né sulla strada né sulla statale, nonostante Luca Nobile abbia affermato di essere lì. Poi c’è una giovane donna che, il 21 febbraio, viene contattata dai Carabinieri: è un’amica di Luca Nobile, lo conosce da molto tempo e potrebbe avere qualche informazione interessante. Si chiama Tamara Sebastiani e fa una lunga dichiarazione, nella quale, dopo aver detto di fare uso di stupefacenti, afferma:

L’ho visto maneggiare una pistola, che avevo rubato a mio zio. Mi serviva per comprare l’eroina e Luca in questo mi poteva aiutare!

La ragazza aggiunge anche che Luca gli aveva presentato Umberto Marchioro al quale aveva lasciato la pistola, con la quale l’aveva visto sparare in una zona disabitata, per qualche giorno; Tamara Sebastiani aggiunge che lei e Luca Nobile si trovavano spesso assieme ad altri amici dietro l’Hotel Conte di Merano per fare uso di stupefacenti e che durante una di quelle occasioni Nobile le avrebbe dichiarato che bisognava eliminare qualcuno. A questo punto gli inquirenti ritengono di saperne abbastanza: c’è una pistola, c’è l’amicizia tra Luca Nobile e Umberto Marchioro, ci sono anche delle macchie di sangue che gli inquirenti hanno trovato sulla sua giacca e c’è quell’hotel che è lo stesso di Hans e Clorinda, inoltre c’è quella dichiarazione che suona quasi come una minaccia: “bisogna eliminare qualcuno”.

«Non sono stato io!»

Nobile viene interrogato nuovamente, il racconto del primo omicidio è inattendibile perché è morto prima Hans e non Clorinda, come aveva detto Luca, era troppo buio perché potesse vedere così chiaramente qualcosa e risulta strano che, se fosse stato spaventato quanto aveva affermato di essere, fosse tornato sul luogo del delitto. Questo, unitamente alle tante altre bugie, ai tentativi di sviare le indagini e all’identikit falso, convince gli inquirenti ad arrestare Luca Nobile il 22 febbraio. Il magistrato è sicuro di aver preso l’uomo che ormai tutti chiamano il mostro di Merano che, dal canto suo è soltanto un ragazzo di 24 anni che continua a dichiararsi innocente e racconta sempre la stessa storia:

Non sono stato io, vi state sbagliando, quelle macchie di sangue sono lì per colpa di una rissa, ho dato un pugno a qualcuno, non c’entro niente io!

Anche il suo avvocato insiste sull’innocenza di Luca, che viene interrogato ancora il 26 febbraio perché resta qualcosa da chiarire: ad ascoltarlo in quell’occasione c’è anche il Giudice per le Indagini Preliminari, Edoardo Mori. Luca non si contraddice nemmeno una volta, continua a ripetere la sua storia assurda, ma rimane in carcere in isolamento.

Un omicidio inaspettato

Poi, però, succede qualcosa: sono le 20:30, è il 27 febbraio e Paolo Vecchiolini sta passeggiando in Piazza Duomo, nel centro di Merano, assieme a Ivonne Sanzio, la sua fidanzata. Lui ha 36 anni e fa il ragioniere, lei ne ha 32 ed è un architetto, sono fidanzati da 11 anni, non si sono mai lasciati e stanno così bene insieme che forse anche loro si sentono in paradiso. Quando si avvicina quell’uomo vestito con una tuta nera sportiva, non ci fanno molto caso: ha un berretto di lana nero in testa, uno zainetto sulle spalle, somiglia a molti altri turisti ma non lo è, e fa fuoco su Paolo, un unico colpo in fronte, poi cerca di ricaricare l’arma, ma non ce la fa e Ivonne riesce a scappare, sotto shock perché a terra è rimasto l’uomo che voleva sposare; fugge, Ivonne, ma guarda bene in faccia l’assassino con il quale, per un attimo, incrocia lo sguardo. Quando i magistrati vengono avvisati dell’omicidio non ci posso credere, l’incubo, quindi, non è finito! Trovano per terra un bossolo calibro 22, Winchester Magnum e la prima cosa che fanno è inviarlo alla scientifica dei Carabinieri di Roma.
Il 27 febbraio l’avvocato di Luca Nobile propone istanza di scarcerazione al GIP perché l’omicidio di Paolo Vecchiolini è identico a quello di Hans-Otto Detmering, di Clorinda Cecchetti e di Umberto Marchioro: sono stati uccisi tutti con un colpo alla testa, sparato da un’arma calibro 22, anche il PM dà parere favorevole, sembra impossibile, ma forse Luca Nobile non c’entra niente; il GIP però non è d’accordo, dichiara che non si sa se a sparare sia stata la stessa arma e che non si può ignorare la testimonianza di Tamara Sebastiani; l’ultimo omicidio non scagiona Luca Nobile dagli altri, ci sono troppe incongruenze, troppe cose che non tornano e poi c’è la questione dell’identikit. Ivonne Sanzio, la fidanzata di Paolo che si è salvata, viene ascoltata immediatamente, è precisa, dettagliata: l’assassino è un uomo di 40-45 anni, alto circa 1 metro e 60, esile, un viso magro e allungato, ha i capelli biondi, è stempiato e ha una barba incolta sul viso, di quelle che lasciano scoperte le guance ma si allungano al centro del mento, gli occhi dell’assassino Ivonne non se li ricorda ma le sembrano incavati, aveva uno zainetto, e quando le chiedono se le sembra un cittadino del posto Ivonne risponde di sì, che sembra proprio un uomo di Merano. Ecco dunque l’identikit del killer, totalmente diverso da quello fatto da Luca Nobile, che resta in carcere. In ogni caso c’è un assassino in libertà e gli inquirenti cominciano subito a mostrare in giro il disegno dell’uomo che ha ucciso Paolo Vecchiolini. Il 29 Febbraio, due poliziotti in borghese si presentano con il disegno da un barbiere di Merano, al salone Charlie, che sta a Maia Alta, quartiere residenziale, il proprietario si chiama Karl Anton Daprà,guarda con attenzione il disegno e dice:

Ma questo è Ferdinand, lo conosco, lo conosco da quando eravamo bambini!

Ferdinand Gamper

C’è un uomo solo, seduto su una sedia, dentro una capanna, al buio, a ringhiare insulti. Quell’uomo si chiama Ferdinand Gamper, è nato a Caines, vicino Merano, in Alto Adige, e di mestiere fa il contadino e il pastore, soprattutto in primavera e in estate; sua madre si chiama Luise ed ha problemi psichiatrici, suo padre si chiama Adalbert e con lui Ferdinand non ha mai avuto un buon rapporto. Ferdinand non andava molto bene a scuola e così comincia a lavorare presto; assieme a Richard, suo fratello più piccolo, compra un maso, tentano l’agricoltura biologica ma le cose non vanno molto bene, così Richard va in Germania a fare il falegname e Ferdinand resta in Alto Adige; quando Richard torna, lo fa solo per uccidersi, una morte strana: un colpo solo alla testa, in fronte, per poi cadere su un coltello posizionato a terra. Ferdinand lavora sia in Svizzera sia in Alto Adige. Quando suo padre Adalbert muore da solo, in ospizio, non va al suo funerale; i mesi invernali Ferdinand li trascorre in un fienile abitabile, di proprietà di suo padre a Rifiano, che è un paese vicino a Merano; Ferdinand sta lì da solo, mai una donna, mai un amico, solo suo fratello maggiore Carl, che ogni tanto lo va a trovare, gli chiede se sta bene, se ha bisogno di qualcosa, ma Ferdinand risponde sempre che sta bene così. Carl allora se ne va, lo lascia solo sulla sedia, con le montagne intorno e il silenzio nelle orecchie. Ferdinand Gamper e Karl Anton Daprà andavano a scuola assieme alle medie, a Maia Alta, Ferdinand ogni tanto andava da lui a farsi tagliare i capelli, chiacchieravano insieme e qualche volta sono andati anche a sciare; i due poliziotti ascoltano il barbiere ma per una qualche ragione non ritengono importante la segnalazione, e se ne vanno.
Sempre quel 29 febbraio arriva però un’altra certezza: di quelle che non si possono ignorare: Hans, Clorinda, Umberto e Paolo sono stati uccisi tutti dalla stessa arma da fuoco, calibro 22. Adesso a Merano tutti hanno paura, la sera corrono tutti in casa, nessuno sta fuori quando fa buio, i locali sono vuoti, chi deve tornare a casa dal lavoro lo fa correndo, guardandosi continuamente alle spalle, inoltre i vigili urbani hanno anche istituito un servizio di accompagnamento, hanno sospeso il divieto di circolazione per le macchine nell’area pedonale, cercano di tranquillizzare le persone, ma la gente ha paura e Merano, la sera, si trasforma in una città fantasma.

L’inferno dell’1 marzo

Poi, il 1º marzo 1996 succede un’altra cosa: Rifiano è un piccolo paese di montagna vicino a Merano ed è presente una conca e, accanto un tratto scosceso con alcuni abeti e una cascata che in quel periodo è ancora ghiacciata, ci sono lunghi filari di meli e c’è un fienile abitabile, una tipica costruzione altoatesina, con la base di pietra e la parte superiore di legno, in quel fienile vive Ferdinand Gamper; a pochi metri da quel fienile c’è una casa, la casa di Tullio Melchiorri, che abita con la moglie, la suocera e il figlio, è mattina quando esce un attimo di casa, con i pantaloni di velluto: sono le 9:30, la moglie è in casa e sente uno sparo, corre fuori e vede Tullio a terra vicino al ponticello. C’è sangue dappertutto e, accanto, in piedi, con un asciugamano intorno alla mano, c’è anche Ferdinand Gamper, la donna gli chiede cosa sia successo, chi è stato; la donna torna in casa per chiamare la croce bianca, quindi corre di nuovo fuori con una coperta, cerca di sorreggere la testa di Tullio accanto al quale, anche se lei non se ne accorge subito, c’è un biglietto tenuto fermo da un sasso, perché il vento non lo porti via, che dice:

Sono un italiano emigrante e responsabile di infanticidio, ancora una volta siete arrivati tardi.

Potrebbe sembrare che sia stata la vittima stessa a scrivere il biglietto con molti errori, ma non è così; Ferdinand Gamper, intanto, è tornato in casa, si è chiuso la porta alle spalle, sente la voce della moglie di Tullio che lo chiama ma non risponde; l’ambulanza arriva dopo pochi minuti, non c’è molto da fare, Tullio è morto; intanto, però, succede una cosa: una signora di Rifiano che abitava vicino al fienile di Ferdinand Gamper chiama i Carabinieri, per riferire che Ferdinand è un tipo strano che, soprattutto, somiglia moltissimo all’identikit di quell’uomo che aveva ucciso quelle persone. Un appuntato, il capitano e il maresciallo Guerrino Botte, a cui mancavano pochi mesi alla pensione decidono allora di andare a controllare ma, sono appena partiti quando in caserma arriva la chiamata della Croce Bianca che è andata a soccorrere Tullio, i Carabinieri sono a 500 metri dalla casa di Tullio Melchiorri, così accendono la sirena, arrivano al maso, e trovano Tullio accanto al ponticello, con una coperta sotto la testa e una felpa posata sul viso; il capitano e l’appuntato vanno a parlare con la moglie e intanto chiamano i rinforzi: è necessario fare una battuta a largo raggio, setacciare ogni sentiero e albero perché il killer potrebbe essere ancora lì vicino; sono momenti frenetici, il maresciallo Botte ispeziona i dintorni e si avvicina al fienile, da una finestra del quale parte un colpo d’arma da fuoco con cui Ferdinand Gamper colpisce il maresciallo in fronte, proprio come Hans, Clorinda, Umberto, Paolo e Tullio. Il maresciallo crolla a terra, i suoi colleghi non riescono nemmeno a soccorrerlo perché, dal fienile, Ferdinand Gamper continua a sparare. Alla fine, qualcuno riesce ad afferrare il maresciallo per i piedi e lo trascina via, morirà all’ospedale di Bolzano dopo un tentativo disperato di operarlo; intanto, il fienile di Rifiano, dove si nasconde Ferdinand Gamper, è circondato dalle Forze dell’ordine; alle 11:23 arriva anche l’Unità di Analisi del Crimine Violento, comunemente chiamata la squadra anti-mostro, perché si occupa soprattutto di serial killer; viene presa la decisione di sparare candelotti lacrimogeni dentro il fienile che, però, all’improvviso prende fuoco; alle 11:45 si sente un ultimo sparo, arriva dal fienile, ma non è rivolto all’esterno, passano 10, 20 minuti senza che Gamper spari, 20 minuti di silenzio; i Carabinieri entrano nel fienile che sta bruciando e lì, con una carabina calibro 22, con la canna e il calcio segati, trovano Ferdinand Gamper morto, come tutte le sue vittime, con un unico colpo in fronte; nel fienile vengono ritrovate altre 60 cartucce calibro 22 Winchester, sopra il frigo e dentro lo zainetto; viene accertato che l’arma che ha ucciso tutte quelle persone è proprio quella che Ferdinand Gamper ha usato un’ultima volta per uccidere se stesso: era lui quell’uomo che, per quasi un mese, ha terrorizzato un paese intero, il mostro di Merano.

Un uomo che i mostri li aveva dentro

Ma i mostri, Ferdinand Gamper, ce li aveva dentro. Ferdinand era un solitario, non era affiliato a nessun partito e le sue idee erano soltanto sue, perché c’è un unico elemento che ritorna in tutti gli omicidi: le vittime erano tutte italiane, tranne Hans-Otto Detmering, che però parlava in italiano con la sua compagna quando è stato ucciso; Ferdinand Gamper non sapeva l’italiano, odiava gli italiani, ha ucciso cittadini italiani. Finalmente Luca Nobile viene scarcerato, la sua vicenda arriva fino in Cassazione, dove viene rigettata, senza rinvio, l’ordinanza di custodia cautelare, perché è vero che ciò che ha detto. È strano, però Luca Nobile con quegli omicidi non c’entra; nessuno sa perché abbia mentito, perché abbia dato un falso Identikit; forse Luca Nobile e Ferdinand Gamper si conoscevano e forse è proprio per paura di quell’uomo così strano e oscuro che Luca ha mentito, intanto viene accertata anche la falsa testimonianza di Tamara Sebastiani.
Ferdinand Gamper è solo sia al suo funerale sia al cimitero, dove suo fratello Carl arriva per ultimo e va via per primo, poi la bara di Ferdinand Gamper viene calata nella terra, accanto a quella del padre.

Vittoria Petrolo

Nata a Locri nel 1992 e cresciuta tra la costa ionica e quella tirrenica calabrese, finito il Liceo Scientifico ha intrapreso la strada della Giustizia, frequentando la Facoltà di Giurisprudenza prima a Catanzaro e poi a Caserta, sognando di indossare un giorno la toga. Amante del sapere ha frequentato corsi di Psicologia Criminale e Analisi della Scena del Crimine, ma ha frequentato anche corsi di Politica Forense e criminologia. Di recente è entrata nella International Police Organization e nella Counter Crime Intelligence Organization, di cui coordina la sezione italiana. Grazie a questa collaborazione ha scoperto il mondo della scrittura e che “mettere nero su bianco” le sue competenze costituisce un’eccezionale valvola di sfogo.

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