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Costume e SocietàLetteratura

Matrilinearità: una parità di genere inusuale

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri XL - Dopo aver spiegato perché sia concreta la possibilità che Locri sia stata fondata dalle donne, è giunto il momento di spiegare le ragioni della matrilinearità nell’antica Grecia (e Magna Grecia) e di capire perché questo concetto implicasse una forma di parità di genere che, però, non ha molti punti di contatto con quella modernamente intesa…

Di Giuseppe Pellegrino 

Per Locri non bisogna parlare di matriarcato, ma di matrilinearità. Se Johann Jakob Bachofen non può piacere, in concreto, è l’unico che dà del Matriacato valido contributo non solo per Locri, ma per tutte le epoche storiche che contemplano un tale istituzione, una spiegazione accettabile e logica. La conclusione è maggiormente asseverata dall’uso, presso i Dorici, della facoltà della donna, in accordo con il suo compagno di letto, in costanza di matrimonio di avere figli con un uomo diverso. Si dice sia una previsione legislativa di Licurgo. Ma su Licurgo e la sua esistenza non vi sono pochi dubbi. Invero, era un uso dei Dorici e soprattutto degli Spartani (Origine Laconica dei due popoli) che si giustificava alla luce di avere una prole notevole non solo per le esigenze di guerra, ma per la stessa esistenza della stirpe.
L’aspettativa di vita presso i Greci non superava i 25 anni; la mortalità infantile, le malattie e, infine, le guerre, falcidiavano una popolazione di per sé non numerosa. Da qui l’esigenza di natalità, a prescindere dalla legittimità del matrimonio, che pure presso i Greci era importante, tanto più che si verificava in una situazione che non era di poligamia (lo è divenuta presso gli Spartani quando il Klèros,per la sua disciplina, divenne un misero aiuto economico), ma di sopravvivenza della stessa razza. Nasceva così l’esigenza di individuare i soggetti della famiglia anche, se non soprattutto, in funzione dell’eredità da lasciare. Ora, poiché la prole sicuramente aveva una certezza solo nel ramo femminile, ma non in quello maschile (non per niente il broccardo romano: “mater semper certa est; pater nunquam), ecco che il patronimico certo era quello madrilineare e non quello paterno.
In Europa il patriarcato esiste da più di due millenni: Platone e soprattutto Aristotele lo sostenevano a spada tratta. Il pater familias aveva diritti di vita e di morte su moglie, figli e schiavi. Le famiglie patriarcali costituivano la società divisa in classi e queste lo Stato: la triade era così completa. La chiesa cristiana non fece che ereditare questa concezione, aggiungendo che davanti a Dio si è tutti uguali.
Verso la metà del XIX secolo nacquero due opere antropologiche ed etnologiche che affrontavano da un altro punto di vista la questione del Matriarcato. Si trattava di Das Mutterecht (1861), dello svizzero Bachofen e di Ancient Society (1877) dell’americano Lewis Henry Morgan. Il primo cercò di dimostrare che nella storia più antica l’umanità aveva conosciuto un sistema di parentela e di eredità secondo la linea materna; il secondo affermò che la società primitiva era organizzata come un clan collettivistico e che il clan matrilineare costituiva l’antecedente di quello patrilineare. Entrambi conclusero che nel matriarcato le donne dominavano gli uomini.
Le conclusioni ebbero il conforto dell’etnografo inglese Edward Burnett Tylor, che confermò che l’etnografia conosceva molti esempi di transizione dal clan matrilineare a quello patrilineare, ma neanche un esempio di transizione inversa.
A partire dagli anni ‘50 del secolo breve, le pubblicazioni storico-etnografiche marxiste misero in discussione l’identificazione dell’organizzazione clànica matrilineare col matriarcato, ovvero arrivarono ad affermare che la realtà del matriarcato, inteso come dominio delle donne sugli uomini, non è mai esistita e che i corifei di tale dottrina (Bachofen e Morgan) si erano lasciati condizionare troppo dal bisogno di reagire allo stile di vita della società patriarcale.
Da allora quasi più nessuno crede nell’esistenza di un matriarcato avente le caratteristiche socio-politiche e organizzative di un patriarcato rovesciato. Si pensa anzi che nella comunità primitiva il ruolo della donna fosse tenuto in alta considerazione semplicemente perché esisteva un’ampia democrazia.
Probabilmente gli uomini primitivi s’erano accorti che per pareggiare le conseguenze naturali dovute al bimorfismo sessuale, bisognava riconoscere alla donna maggiori prerogative sociali, specie in considerazione del fatto che il ciclo riproduttivo le privava di tempo e di forze che l’uomo poteva utilizzare in altro modo.
In effetti, un importante problema che la futura democrazia socialista (se mai si realizzerà, e i dubbi non sono pochi) dovrà risolvere, sarà proprio quello dell’uguaglianza fra uomo e donna, che non potrà essere affrontato con gli stessi criteri con cui si sarà risolto il problema dell’uguaglianza fra uomo e uomo.
In questo senso, ad esempio, il fatto che in numerose società primitive gli uomini avessero i loro riti, i loro culti e persino i loro linguaggi segreti, e le donne i propri, non deve essere visto in maniera negativa, anche perché tale separazione dei sessi non veniva messa in rapporto con una rigida divisione del lavoro.
Non dobbiamo infatti dimenticare che, laddove esiste una divisione del lavoro soltanto naturale, determinata più che altro dalle differenze fisiche, nulla può impedire l’intercambiabilità dei ruoli, tanto più che quelle differenze fisiche, nelle comunità primitive, avevano un qualche valore solo in astratto, non certo nei casi specifici.
Pertanto la possibilità stessa di creare statuti sociali diversi va vista in positivo, come un segno della valorizzazione della differenza.

Foto: parentesistoriche.altervista.org

Redazione

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