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La vera natura di Don Ciccio Paterno

Stasi XXI - Francesco Rossi si gode l’ultimo scampolo di ferie prima di rimettersi al lavoro per concludere l’affare con i tedeschi. Mentre gli affari procedono, ha modo di ripensare alle ultime settimane e di riflettere più approfonditamente su alcuni degli ultimi fatti che lo hanno visto protagonista.

Di Francesco Cesare Strangio

Dopo che Francesco Rossi si fu congedato da Don Ciccio Paterno, il treno si mosse gradualmente per poi acquistare velocità. Con l’avanzare del treno, Palermo scomparve alla vista. Erano le otto di sera quando arrivò a Messina, l’ultimo ferry-boat per Reggio Calabria era partito da pochi minuti. Non gli restava altro che prendere quello per Villa San Giovanni. L’imprevisto gli costò un ritardo di tre ore.
Quando arrivò a casa abbracciò la madre che, premurosa come sempre, gli chiese cosa volesse mangiare.
La stanchezza dominava le sue membra, tanto che preferì non mangiare.
La sua missione era compiuta, non gli restava altro che farsi le ferie in santa pace, per poi fare ritorno al Nord. Prima ancora di intraprendere qualsiasi iniziativa, doveva adempiere quanto assunto con i Tedeschi dell’Est: recarsi a Cipro e versare in banca la quota che doveva loro dal ricavato della vendita dei profumi.
I quindici giorni passarono in fretta e arrivò l’ora del rientro. Il viaggio di ritorno fu come al solito lungo e noioso.
Il giorno dopo il rientro andò in ufficio, dove incontrò Gaetano che lo informò dei contratti firmati.
Altrettanto fece il socio, tracciando il rendiconto sulla consegna dei profumi e sull’andamento dell’azienda in generale.
Adesso non gli restava altro che prenotare il viaggio per Cipro, dimostrando puntualità e serietà. Nutriva la speranza di accompagnarsi con il generale, ma Barbara lo informò dell’impossibilità della sua presenza, poiché era impegnato con delle questioni delicate.
Era l’ultimo mercoledì del mese di settembre 1961 quando decollò da Milano Linate in direzione di Roma per poi proseguire per Cipro.
Erano le quattro del pomeriggio quando arrivò all’aeroporto di Nicosia. Faceva un caldo da solleone. Si fece accompagnare da un taxi che gli costò, in lire cipriote, l’equivalente di centomila lire italiane.
Arrivato a destinazione, entrò nella hall dell’hotel Continental e chiese se c’era disponibile una camera per pernottare.
La donna della reception guardò l’elenco e gli assegnò una camera singola che dava sul parco pubblico, dove la gente accaldata passeggiava.
La sera, a pochi passi dall’albergo, c’era un ristorante che cucinava tutto a base di pesce.
Rossi si fece consigliare dal cameriere, che gli portò una pietanza abbondante di polipi, molluschi e spigole; di contorno gli servì cetrioli e pomodorini conditi con olio extra vergine d’oliva.
La mattina, all’apertura della banca, si presentò dal direttore e aprì due conti cifrati, su cui versò quanto concordato con i partner tedeschi.
Il conto cifrato sarebbe una forma di libretto al portatore, garantito da un codice che Rossi si preoccupò di custodire nel caveau della stessa banca, badando di usare due cassette distinte l’una dall’altra.
La sua missione era stata portata a termine. Così facendo, aveva assolto l’incombenza assunta con chi aveva stretto il patto commerciale.
Non gli restava altro che fare ritorno in Italia per recarsi dal Conte Balsamo a Napoli a sugellare quanto avevano concordato con Don Ciccio Paterno. Si trattava di un atto puramente formale; quello che decideva il fattore era come se lo decidesse il latifondista.
Rossi aveva capito subito con chi aveva avuto a che fare in Sicilia. Di primo acchito si rese conto di essere di fronte a un uomo d’onore con una posizione di prestigio in seno a cosa nostra.
Se non ci fosse stato un uomo come il fattore, le proprietà del Conte sarebbero diventate terra di nessuno.
Durante i due giorni di permanenza nell’azienda di Corleone, Rossi aveva notato una serie di cose a conferma di quanto aveva intuito; anche se Don Ciccio non fece nulla per celare la sua posizione in seno all’onorata società.
Da quando l’azienda Naxos aveva deciso di allargare i suoi orizzonti commerciando con l’estero, Rossi aveva avuto a che fare con la politica, servizi segreti e mafia. Una vita oltre il comune.
Come si sa sono questioni di scelta… e lui aveva scelto di oltrepassare le colonne d’Ercole ben conscio dei rischi cui andava incontro.
Arrivato all’aeroporto di Roma, prese una macchina a nolo e si diresse verso Napoli.
Don Ciccio gli aveva dato le indicazioni necessarie per arrivare al palazzo del Conte.
Quando arrivò sul posto, rimase sorpreso dalla dovizia con cui il fattore gli aveva indicato la strada per arrivare dal Conte Balsamo.
La dettagliata precisione dei particolari lo misero in condizioni di non aver bisogno, lungo il percorso, di chiedere informazioni. Data la tarda ora, preferì andare a pernottare in un albergo al centro, onde evitare di disturbare il Conte.
Nell’attesa che si facesse l’ora di andare a dormire, Rossi lasciò la macchina nel parcheggio dell’albergo e si recò a piedi in giro per la città; quando il suo sguardo fu attratto da un locale che portava la scritta: “In questo locale si mangia la migliore pizza del mondo, parole del Re d’Italia”.
Entrò, spinto dalla curiosità, e chiese a un cameriere: «Perdonate la mia curiosità, che significa quanto riportato sulla targa di bronzo?»
Poco dopo si avvicinò un uomo di mezza età, presentandosi come il proprietario del ristorante.

Foto: stateofmind.it

Redazione

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