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Costume e SocietàLetteratura

L’incontro

I racconti della buonanotte II

Di Bruno Siciliano

Sono in macchina, sto tornando da Reggio. È stata una giornata estenuante.
Sto lavorando al mio romanzo con uno sceneggiatore che spaccherebbe il capello a quattro e per ogni scena scritta è capace di calcolarne il budget per la trasposizione cinematografica e l’impatto col pubblico. Non abbiamo ancora finito la prima stesura e se ne prevedono almeno altre tre, se basteranno.
Sono stanchissimo e ho fame, forse mi fermerò in qualche area di servizio a mangiare un boccone e prendere un caffè.
Ho fumato come un turco tutta la giornata e ho la bocca impastata.
Mi devo proprio fermare un attimo, non ce la faccio a guidare fino a casa.
Fra un chilometro c’è un’area di servizio, meno male.
Decelero lentamente, metto la freccia e vedo sul ciglio della strada una ragazza seduta su uno scatolone.
È bellissima.
Ha la carnagione scura, forse una somala, la gamba sinistra leggermente allungata e il seno che sbuca appena dal vestitino vedo e non vedo.
È inequivocabile il suo atteggiamento, sicuramente attende qualcuno che, come me, ha il morale sotto i piedi.
Non vado a zoccole dall’università e non ho certamente la voglia di ricominciare quarant’anni dopo, ma sono stanco e mi farebbe piacere almeno soltanto parlare con quella bellezza esotica.
Accosto, lei si affaccia al finestrino della macchina.
Ha un profumo buonissimo e il suo sorriso mi conquista, non ho capito bene neanche che cosa mi abbia detto, ma le apro la portiera e lei, con insospettabile grazia, si accomoda sul sedile accanto al mio.
Riparto e, con la coda dell’occhio cerco di studiarla. Ha i lineamenti nobili, delicati, e non rozzi come ci si aspetterebbe, ha i modi gentili ed è timida.
Le metto una mano sulla guancia e lei si lascia accarezzare, ha la pelle liscia, morbida e il suo profumo mi inebria.
«Passiamo dal bar, ti dispiace?»
«Si, ho proprio voglia di qualcosa», risponde lei sorniona.
«Mi fai un caffè?» dico, appena entrato, all’omarino tarchiato che si arrabatta dietro al bancone.
«A me un J&B col ghiaccio.»
«Vai sul pesante. A proposito, come ti chiami?»
«Aisha» dice la ragazza quasi schermendosi.
«Ho bisogno ogni tanto di qualcosa di forte.»
«Ma voi Musulmani non bevete alcool!»
«I Musulmani sicuramente non bevono alcool, ma io sono Aisha e da una vita faccio quello che voglio.»
La sua risposta mi zittisce e non so cosa ribattere, a volte sono inopportuno.
Lei ha un bel caratterino e mi sta intrigando da morire.
Consumiamo in silenzio, ma studiandoci a vicenda. Non ho mai incontrato una così.
Le cingo l’esile vita e l’accompagno fuori dal bar, verso la macchina.
Prendiamo posto e le chiedo: «Dove possiamo andare?»
«Dietro quella siepe alta c’è un parcheggio solitario, vedrai, ci saremo solo noi».
Con ansia eseguo docilmente con le mani che mi tremano appena.
Sono almeno quarant’anni che non lo faccio in macchina, ma il sorriso di lei mi tranquillizza.
È dolcissima, mi abbraccia come fossi il suo fidanzato, mi bacia, mi accarezza, le sue mani sono dappertutto.
In un attimo si libera dal vestito rivelandomi il suo corpo bellissimo e perfetto, quello di una dea nera.
A tentoni trovo il pulsante che abbassa lo schienale del mio sedile.
Che Dio benedica fino alla consumazione dei secoli chi ha inventato le macchine spaziose.
Un pffffft elettrico e il sedile in un attimo diviene un piccolo letto a una piazza.
Lei è sopra di me mi bacia sul petto e sale verso la guancia e la bocca che sfiora con le sue labbra morbidissime, poi sono i suoi piccoli denti da scoiattolo a mordicchiare, sicuramente sa come portarmi in paradiso.
D’improvviso un dolore acuto alla sinistra del collo e vedo il sangue defluire rapido e lei che lo raccoglie con la bocca e succhia sulla mia giugulare incessantemente. Cerco di scostarmi, di fermarla ma tutto diventa buio, silenzio e pace.
Non ricordo più nulla.
Un suono stridulo di sirena mi sveglia.
Sono in un letto d’ospedale, delle flebo sono attaccate a degli aghi infilati nelle mie vene, cerco di tirarmi su, ma un cortese dottorino mi mette una mano sulla fronte per farmi posare di nuovo la testa sul cuscino:
«Non si agiti, ha avuto un brutto incidente, stia ancora sdraiato, ha perso molto sangue.
«Andava quasi a centottanta e si è schiantato contro il guardrail facendo fare alla sua macchina almeno tre capriole.
«È vivo per miracolo e senza neanche una frattura».
Guardo incredulo il solerte dottorino, ma non riesco a capire molto, tutto è confuso.
Aisha… Dio, mi manca da morire.
«Non capisco – continua il medico, – cosa possano essere questi due buchi sulla sua giugulare, ho provato a fasciarli ma continuano a non coagularsi. Va beh, ci guarderemo dopo. Intanto le faccio i miei complimenti per la sua fortuna sfacciata.»
Se ne va.
La testa mi fa proprio male, non riesco a ricordare, non riesco a capire.
In bocca ho il sapore del sangue e mi piace sentirlo.
Un raggio di sole entra attraverso le persiane, mi è sempre piaciuto il sole ma adesso ne provo un gran fastidio.
Chiamo l’infermiera per farmi chiudere la persiana.
È bella, è bionda, la pelle delicata e una vena le si ingrossa sul collo nello sforzo di oscurare la stanza.
Vorrei tanto avvicinarmi e morderla là sulla giugulare… dev’essere sublime, chissà che sapore avrà il suo sangue.
Da ieri i miei gusti sono cambiati, ho voglia di Aisha e delle sue voglie e so che sarà così per sempre.
Sicuramente per l’eternità.

Redazione

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