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I ruderi del Monastero di San Teodoro

Locride… e dintorni in Mountain Bike IV

Di Rocco Lombardo

Una delle cose più belle della Mountain Bike è sicuramente il contatto ravvicinato con la natura incontaminata, la possibilità di raggiungere, respirare e vivere percorsi a contatto diretto con il paesaggio di una terra antichissima ci permette infatti di apprezzare un territorio unico, ricco di sentieri che attraversano boschi e crinali mozzafiato e di antichi tracciati che si integrano e si intrecciano con luoghi ricchi di bellezze naturalistiche, attrazioni archeologiche e culturali, soddisfacendo, così, le esigenze di chi unisce passione per bici e natura alla sete di conoscenza.
Non serve andare lontano o in luoghi inaccessibili per godere delle meraviglie della Locride; l’Altopiano di Monte Varraro è un pianoro (quota min/max 460/635 metri sul livello del mare), agevolmente raggiungibile dalla frazione San Nicola dei Canali di Ardore, attraverso un percorso costellato da querce secolari e da splendide vedute panoramiche a metà strada fra il mare ed i primi contrafforti aspromontani, un balcone privilegiato da cui osservare il suggestivo contesto paesaggistico che interessa ben 4 comuni: Benestare, Careri, Platì e Ardore. Un itinerario suggestivo, che ci permetterà di attraversare una ricca e variegata macchia mediterranea, sino a raggiungerne la sommità del monte dove ammirare i ruderi di un antico monastero basiliano.
Si parte come sempre di buon mattino da Locri per percorrere, in direzione sud, il dromo, ovvero l’antica arteria di comunicazione che univa i centri costieri, lambendo i territori di Portigliola, Sant’Ilario dello Ionio e Ardore Marina; come da consuetudine, preferiamo sempre coprire le distanze attraverso percorsi antichi e poco trafficati, come appunto il dromo, che incrocia, nel territorio di Ardore, la contrada Guardiola-Varcima, da cui inizia la seconda parte del nostro percorso, una strada in salita, dissestata e a tratti sterrata, molto impegnativa, che ci condurrà alle porte del centro storico di Ardore Superiore, un borgo medievale suggestivo di origine greco-bizantina, raccolto su una collinetta tra due valloni, che offre importanti vestigia del suo passato; la pavimentazione in sampietrini ben curata ci conduce dinanzi all’imponente Castello Feudale dei Gambacorta, risalente alla prima metà del ‘600, un struttura ben fortificata nelle torri e nelle mura, di cui è rimasta visibile solo quella sul lato sud, con spettacolare belvedere sul mare.
Raggiungiamo, quindi, la frazione San Nicola dei Canali, una località di origine paleocristiana, da cui si può risalire, in una sequenza di querce secolari, il promontorio di Varraro, immettendosi su una vecchia mulattiera in pietra che collegava le piccole frazioni della vallata con i paesi della Ionica.
Si sale a buon ritmo e ci si immerge gradualmente nell’area più naturalistica e panoramica dell’intero percorso, attraverso sentieri sterrati, querce da sughero e macchia mediterranea tipica. Dopo aver percorso (e sofferto!) un tratto molto ripido in salita, con alcuni strappi anche del 20%, raggiungiamo il Rifugio di Varraro, ove poter riposare, dissetarci alla fonte dell’acqua du Scifo Lauro, scattare qualche foto e poi riprendere la traccia sterrata fino in vetta.
Seguendo la pista, battuta dal passaggio di mezzi agricoli e fuoristrada, si arriva in una località denominata il Muro di Porta Farza, si gira a destra e si prende un vecchio sentiero ripido, (non segnalato!), lastricato naturalmente da pietre sporgenti e sconnesse, solcato da canali profondi e segnati dalle acque piovane, dove la pesantezza alle gambe, anche per l’asperità del terreno, comincia a farsi sentire.
Si continua sul sentiero che taglia la fitta boscaglia, tracciato dal passaggio di greggi di pecore e capre e da mandrie di mucche che pascolano indisturbate, fin quando si apre davanti a noi un primo panorama sulla fantastica valle tra Cirella e Ciminà.
Il tracciato riprende ancora una quota non eccezionale ma da affrontare con tranquillità, incidendo sui rapporti leggeri del cambio, che permette di scorgere tutti i principali gruppi montuosi: il Montalto, Pietra Cappa e il cucuzzolo del vecchio Paese di Careri (Panduri).
Attraversando un bosco di querce da sughero arriviamo su un pianoro protetto su tre lati da profondi dirupi, con numerose querce su ogni lato a nasconderne completamente la vista dall’esterno, ed ecco affiorare i ruderi del Monastero di San Teodoro, un importante e semisconosciuto sito archeologico i cui resti sono stati resi ancor meglio accessibili dai lavori di metanizzazione della condotta che li attraversa: si tratta, con ogni evidenza, di “un edificio cultuale, triabsidato e trinavato”.
Una leggenda ci viene in soccorso:

La mattina dell’8 settembre 1594 la rossa palla di fuoco ha iniziato da poco a far capolino dal placido e silente orizzonte della costa jonica reggina quando diviene chiaro a tutti gli abitanti dei centri collinari disseminati su quella martoriata fascia costiera l’agghiacciante realtà: quelle decine di puntolini neri, ingrandendosi man mano che si avvicinavano alla costa, non possono che essere imbarcazioni di pirati turchi! Gli abitanti di Bovalino Superiore e dei paesi limitrofi, per sfuggire al saccheggio, ai rapimenti e alla morte, fuggirono a piccoli gruppi dirigendosi verso i boschi inaccessibili della montagna. Alcune famiglie seguono un monaco carismatico di nome Teodoro, che aveva dedicato la propria vita alla contemplazione ascetica ritirandosi in un monastero abbandonato in un luogo impervio e difficilmente raggiungibile, dove riparano alla mala sorte e Teodoro si stabilisce definitivamente, fino alla morte, che lo coglie “in odore di santità”.

Fin qui la leggenda del luogo, anche se sull’esistenza del monaco Teodoro niente esiste di documentato, anzi, dal poco materiale che sull’argomento è stato sinora reperito e pubblicato, con buona approssimazione le origini dell’edificio sono da ricercare nella Chiesa di San Teodoro del 1427; rimaniamo comunque estasiati e rapiti dall’estraniante fascino del luogo, un silenzio irreale avvolge tutta la vallata, mai luogo più ascetico poteva essere eletto per secoli quale ritiro spirituale, foto e video di rito per immortalare un panorama unico, dove mare e montagna sembrano davvero un tutt’uno.
Non possiamo tardare molto, riprendiamo a ritroso il sentiero affrontato in precedenza, percorrendo il viale naturale che attraversa il bosco di querce, stavolta in discesa e per alcune centinaia di metri, imboccando la prima biforcazione sterrata a sinistra, scoscesa e resa ancor più insidiosa da alcuni tratti lastricati di pietra viva bagnati, che non offrono particolare grip alle gomme, un sentiero molto tecnico, sconsigliabile ai meno esperti che, in circa una decina di minuti di adrenalinico dislivello tra macchia mediterranea, cancelli, ovili e immancabili pastori maremmani alle calcagna, ci porta a raggiungere le prime case abitate delle Contrade Lauro e Gioppo del Comune di Platì.
Ormai abbiamo ripreso l’asfalto della Strada Provinciale 77, che ci condurrà attraverso alcuni chilometri di piacevoli saliscendi alle porte di Ciminà e, da lì, tramite la gola del passu du Strittu, a incrociare la Provinciale 80 che, a sua volta, dalla frazione Bagni Termali di Antonimina, ci ricondurrà al punto di partenza.
L’intero percorso si articola in una sessantina di chilometri circa, con un grado di difficoltà medio e un dislivello complessivo di circa 950 metri, coperto in circa tre ore e mezzo, pause comprese; si attraversano i comuni di Locri, Portigliola, Sant’Ilario dello Ionio, Ardore, Benestare, Careri, Platì, Ciminà e Antonimia; la parte più tecnica si affronta sulle ripide salite sterrate e sconnesse, coperte dalla fitta vegetazione, che portano in vetta al Monte di Varraro, nonché nella scoscesa e pietrosa discesa che conduce alle contrade Lauro e Gioppo di Platì.
Menzione d’obbligo, da ultimo ma non per importanza, per Giuseppe Piccolo, compagno d’avventura e di rubrica, con cui condividiamo passione per le escursioni in MTB e ammirazione per i sentieri della Locride.
Alla prossima!

Redazione

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