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Costume e Società

Dopo l’alluvione di Africo: “Ritorneremo al nostro territorio… un giorno”

Di Francesco Maviglia

Ci fu comunque chi volle restare nei rispettivi paesi ad Africo e a Casalnuovo e vi rimase per parecchio tempo. In molti casi anche per anni, specialmente a Casalnuovo, dove vi furono assai meno danni e il trasferimento è stato molto graduale.
Non c’era un piano organico circa la sistemazione degli sfollati. Solo la mattina di lunedì 29 ottobre si incominciò a vedere l’autorità prefettizia sotto forma di alcuni autobus.
Gli autisti avevano l’incarico di fare la spola e trasferire il popolo di Africo nel comune di Santo Stefano d’Aspromonte, presso Il Grande Albergo di Gambarie. I bambini venivano separati dai genitori e sistemati nella Colonia estiva Leopoldo Franchetti dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, che aveva come presidente Umberto Zanotti Bianco. Anche le bambine, dopo qualche giorno, furono portate nell’asilo, sempre dell’ANIMI, a Villa San Giovanni.
A Gambarie la gente incominciava a dare i primi segni di insofferenza, raccoglieva legna e accendeva il fuoco per riscaldarsi. Per la necessità di integrare il cibo fornito dalla struttura alberghiera, alcuni andavano a cercare resti di patate negli orti adiacenti con il consenso dei proprietari.
Le donne lavavano i panni in un ruscello di acqua gelida, i bambini che erano nella colonia si ammalavano per il troppo freddo in cui venivano lasciati da chi aveva il compito di gestire la struttura di Santo Stefano.
Nel frattempo, con fondi governativi, furono impiantate baracche a Lazzaretto rione Condera, nel comune di Reggio Calabria dove, a dicembre dello stesso anno, furono trasferite una buona parte delle famiglie.
A Condera portarono con loro anche il busto reliquiato di San Leo, risalente al 1739, rivestito con lamine d’argento cesellato. L’aureola (a curuna i Santu Leu) era in argento massiccio, con sei grosse gemme incastonate in modo speculare nel cerchio e fu poi trafugata dai ladri dalla chiesa di S. Salvatore di Africo Nuovo agli inizi degli anni sessanta.
Assieme al Santo Patrono portarono anche la Vara e, uniti, li collocarono in una chiesetta fatta di legno, in cui rimase fino al 12 maggio 1962.
Sempre a Reggio Calabria, ma dentro l’ex caserma Borrace del rione Trabocchetto, portarono all’incirca ottanta famiglie.
La frammentazione del popolo africoto proseguì trasferendo famiglie nei comuni di Palmi, Villa San Giovanni e Fiumara.
Lo stesso iter fu per la frazione di Casalnuovo: prima li misero in vari punti a Bova, molti in una vecchia palestra dell’asilo e vi rimasero parecchi mesi, poi li portarono vicino all’ex seminario in contrada Spina Santa a Bova Marina, dove furono posate altre baracche.
Nel campo profughi di Trabocchetto, inizialmente venivano forniti i viveri cotti da personale del luogo, in una cucina al piano terra dell’ex caserma Borrace. I cibi erano troppo scadenti. Basti pensare alla carne preparata tre volte la settimana, ma che consisteva nel lardo di maiale al sugo!
In poco tempo ci sono stati dei ricoveri in ospedale per problemi intestinali e un giovane padre di tre bambini è morto di peritonite.
Gli africoti, sempre più addolorati per aver perso tutto, allibiti, lontano dalle loro terre, non pensavano che ci potesse essere qualcuno che approfittasse dalle loro disgrazie!
Finalmente trovarono il coraggio di riunirsi e andare in prefettura per esporre quanto stava succedendo nei centri profughi. I funzionari, dopo aver ascoltato le loro giuste ragioni, stabilirono di distribuire cibo crudo. Fu così che venne distribuita a ogni famiglia una cucinetta a carbone forgiata in ferro.
Quotidianamente arrivava un filone di pane a persona, tre volte la settimana veniva distribuita la pasta e la carne cruda. A ogni profugo venivano date 155 lire, equivalenti a circa 2,70 euro attuali.
Vito Teti nel libro Il senso dei luoghi scrive:

Il sussidio concesso nei primi tempi alimenta speranze di chissà di quali mutamenti esistenziali. In una situazione da dopo catastrofe, di frantumazione, di attesa, di sbandamento e di precarietà, si parla del nuovo abitato da ricostruire in questo o quel luogo. In questo contesto di incertezze, di indecisioni, di spinte diverse e spesso contrapposte, riappare sulla scena Umberto Zanotti Bianco.

Quando i giornali di allora portarono alla ribalta l’alluvione in Calabria, incominciarono ad arrivare aiuti, anche dall’estero, perfino dall’Unione Sovietica di Stalin.
Così riporta Costantino Romeo:

Nel 1952 una delegazione Sovietica ha annunciato presso la Camera del lavoro in Piazza del Popolo di Reggio Calabria, di aver portato agli alluvionati calabresi 800 milioni in zucchero, tela e altro.

Ma la Guerra Fredda era in pieno corso e l’aiuto Sovietico non venne molto palesato. Alla fine di febbraio 1952 arrivò a Reggio Calabria il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, fu scelta una commissione formata da tre alluvionati per rappresentare le istanze della popolazione africota, Costantino Romeo era tra questi e così riporta un frammento di quanto esposto al Presidente:

Noi ritorneremo al nostro territorio se non c’e’ altro luogo e dopo che saranno stati fatti i dovuti lavori.

Redazione

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