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Costume e Società

Il fatto di lieve entità e la “droga parlata”

Breve storia della Legge sugli Stupefacenti XXVII - Sempre più spesso la giurisprudenza si trova dinanzi a un reato in materia di stupefacenti pur senza conoscere con esattezza le caratteristiche quantitative e qualitative della partita di droga, di cui si sente parlare solo attraverso la capostazione di conversazioni…

Di Serena Callipari, Davide Barillà ed Enzo Nobile

La figura autonoma della lieve entità del fatto in materia di sostanze stupefacenti di cui all’articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica 309/90 si configura sempre con maggiore frequenza nei fatti della cosiddetta droga parlata.
L’espressione droga parlata viene spesso utilizzata nella pratica giudiziaria per qualificare tutte le circostanze di fatto in cui la prova si ricava esclusivamente dai risultati dell’attività di captazione dei vari tipi di conversazioni (telefoniche, ambientali, telematiche).
E in realtà, spesso accade che, in vicende giudiziarie che riguardano reati relativi alla violazione della legge sugli stupefacenti, ormai quasi esclusivamente basati sui risultati delle intercettazioni senza che sia operato il sequestro della sostanza e in assenza della prova che si tratti effettivamente di droga, di quale tipo e di quale consistenza quantitativa e qualitativa, diviene sempre più difficoltosa sul piano pratico l’applicazione della norma e della qualificazione giuridica che debba attribuirsi ai fatti oggetto di valutazione.
Ciò comporta che spesso il contenuto della conversazione non sia idoneo a fornire l’assoluta certezza della tipologia, della quantità e della qualità della sostanza stupefacente ed è impossibile, tra l’altro, accertare l’efficacia drogante della sostanza.
In tali ipotesi, si assume che la mancanza di ogni accertamento sulla droga in questione non potrebbe in realtà giustificare una sentenza di condanna, che risulta emessa in assenza di prove certe da cui ricavare gli elementi relativi al tipo, alla qualità e alla quantità di sostanza, con la conseguente violazione del principio secondo cui l’affermazione di responsabilità penale deve poter superare ogni ragionevole dubbio.
In situazioni di tal genere la giurisprudenza di legittimità si è posta il problema di come qualificare giuridicamente sotto il profilo del diritto sostanziale penale tutti quei fatti in cui non sia possibile ricavare alcun elemento, anche di sola natura indiziante, da cui desumere il dato qualitativo, quantitativo e la tipologia della sostanza stupefacente oggetto del contenuto della conversazione.
Ed è stata proprio la Corte Suprema di Cassazione, 6ª sezione penale, con la sentenza nº 27.434, del 14/02/2017, ad affermare che, se è pur vero che è consentito al giudice di merito, anche in assenza delle analisi chimiche, desumere la presenza del principio attivo di una sostanza drogante da diverse fonti di prova acquisite agli atti, è pur vero che deve, comunque, trattarsi di elementi significativi, in grado di sostituire i risultati di una perizia e nel caso di indizi – come nella specie – devono avere le caratteristiche cui si riferisce l’art. 192, c. 2, Codice di Procedura Penale.
La Suprema Corte prosegue nell’affermare che tali valutazioni devono avere un rigore particolare nei casi, purtroppo sempre più frequenti, in cui i processi in materia di stupefacenti si basano esclusivamente sui risultati delle intercettazioni, senza che sia operato il sequestro della sostanza, quindi in assenza della prova che si tratti effettivamente di droga, di quale tipo e di quale consistenza quantitativa e qualitativa.
Del resto, se il giudice non ha alcun dovere di procedere a perizia o ad accertamento tecnico per stabilire la qualità e la quantità del principio attivo di una sostanza drogante, dall’altro lato grava sul pubblico ministero il rischio di una mancata prova in ordine agli elementi a carico dell’imputato, con la conseguenza che appare corretto, in tali ipotesi, riconoscere la sussistenza del reato di cui all’art. 73, c. 5, DPR 309/90, considerando che il mancato accertamento della percentuale di principio attivo, per la regola del favor rei, deve risolversi nell’applicazione della norma più favorevole.

Tratto da L’ingente quantità e il fatto di lieve entità della Legge sugli Stupefacenti; Key editore
Foto di copertina: ildubbio.news

Redazione

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